venerdì 10 gennaio 2014

La storia delle principali opere idrauliche in Toscana: 4 - lo Stato unitario


Dopo la terza puntata, che si riferiva all'epoca Granducale, nella narrazione della storia delle opere idrauliche in Toscana è ora la volta dei fatti (e dei misfatti, ovviamente!) avvenuti dopo l'annessione del Granducato di Toscana al Regno d'Italia, fino ad oggi che del problema se ne occupa soprattutto la Regione Toscana. Una storia con aspetti spesso molto tristi, culminati con il purtroppo non irripetibile disastro del 1966. L'urbanizzazione massiccia, specialmente nel secondo dopoguerra, ha avuto gravi conseguenze perchè non sono stati rispettate le esigenze del reticolo idraulico. Oggi alle bonifiche resistono in parte solo il Padule di Fucecchio, la piana di Castiglione della Pescaia e la laguna di Orbetello. Nelle piane bonificate le poche aree umide rimaste o ricreate spesso sono diventate oasi di protezione per gli uccelli migratori. Purtroppo ancora disastri come quello del 1966 sono in agguato, perchè come nel resto del Paese è stato fatto tanto di quello che non doveva essere fatto per un corretto assetto del territorio e pochissimo è stato fatto di quello che avrebbe dovuto essere fatto. Ma ci sono speranze che la situazione in futuro migliori. 

L'ALLUVIONE DEL 1844 E I LAVORI PER FIRENZE CAPITALE

A Firenze la memoria dell'alluvione che colpì tutto il bacino dell'Arno il 3 novembre 1844 (strano... primi di novembre...) fu offuscata dalle vicende storiche del momento, tra sollevazioni come quella del '48, guerre di indipendenza e altre vicende. Eppure, anche se si è trattato di un evento non al livello del trio terribile (1333 / 1557 / 1966), ha interessato una buona parte della valle dell'Arno e dei suoi affuenti, come è attestato dalla carta prodotta da Alessandro Manetti (1787 - 1865). In particolare si evidenzia come tutta la zona dell'Alveo del Bientina e del Padule di Fucecchio finirono sott'acqua. 

Firenze divenne la capitale del Regno d'Italia nel 1865 e fra le varie infrastrutture create a quei tempi bisogna inserire l'acquedotto, costruito su progetto del Poggi: la novità è che siamo davanti ad uno dei primi casi di città rifornite dall'acqua del fiume. Tale operazione si rese possibile solo grazie alla scoperta di nuove tecniche di potabilizzazione.
Oggi tutto il fabbisogno idrico della città e non solo, è assicurato dall'Arno, con evidenti benefici per una grandezza così significativa per la stabilità degli edifici come il livello della falda acquifera e minori problemi in caso di inquinamento (giova ricordare che negli anni 60 e 70 del XX secolo l'acqua della falda fiorentina sarebbe stata difficilmente utilizzabile a causa della presenza di sostanze nocive alla salute come la trielina). Fino a pochi anni fa esistevano anche dei pozzi ma poi fu scoperto che tanto era acqua di provenienza fluviale, dispersa nel sottosuolo all'uscita della città, quando l'Arno attraversa una zona di ciottolami.
Un aspetto importante dell'Arno a Firenze all'epoca dell'unificazione nazionale era la sua scarsissima profondità, dovuta al forte trasporto di sedimenti e al rallentamento della corrente a monte della stretta del Ponte Vecchio che ha determinato una zona di forte sedimentazione. Ci sono tante immagini che attestano il lavoro dei "renaioli", uomini che con delle imbarcazioni prendevano nel fiume la sabbia per scopi edilizi, con grande facilità data la bassissima profondità.
Questa situazione peggiorò notevolmente quando l'Appennino fu in gran parte disboscato e l'accelerazione dell'erosione provocò problemi a molte aste fluviali.



LE ULTIME BONIFICHE NELLA FASCIA COSTIERA FRA VIAREGGIO E LIVORNO

Per le sistemazioni idrauliche il primo periodo del Regno è stato senza storia, se non per aspetti marginali: Leopoldo II aveva perfezionato, specialmente in Maremma, l'opera di Pietro Leopoldo e quindi, oltre alla zona di Castiglione della Pescaia, nel territorio ex granducale restavano poche altre aree da bonificare, segnatamente quelle fra Pisa e Livorno.

Una altra eccezione era costituita dalla Versilia meridionale. Si erano appena concluse le operazioni nella Versilia Settentrionale (la questione del Lago di Porta) ma rimaneva ancora una estesa zona paludosa nei dintorni di Viareggio: nella zona di Massaciuccoli erano state eseguiti dei tentativi già nel XVI secolo con scarso successo; alcuni interventi sporadici si sono avuti nel XVIII secolo (per esempio un fosso di sfogo a mare a sud di torre del Lago, il "canale della Bufalina"). 

Il prolungarsi della situazione paludosa è dovuto a due motivi fondamentali:
- il territorio fino al 1849 apparteneva al Ducato di Lucca e non al Granducato di Toscana, per cui non poteva essere stato interessato dai lavori dei sovrani medicei e lorenesi
- l'area è caratterizzata da forti apporti di acqua dalle piovose Alpi Apuane e da un tasso di subsidenza particolarmente elevato, tanto che fu
persino tentato nel XVI secolo ad opera di esperti venuti dall'Olanda l'utilizzo di idrovore mosse da mulini a vento. Ma neanche così i risultati furono accettabili
 

Nel viareggino i primi progetti di bonifica del Regno d'Italia datano al 1885 e per effettuarli era stato definito l'impiego di idrovore a vapore. Queste operazioni godevano dell'appoggio dei principali proprietari terrieri ma incontrarono la resistenza dei piccoli proprietari e quindi ancora una volta la situazione rimase quella  naturale o poco più.
Le vere e proprie bonifiche nella zona tra Pietrasanta e Viareggio iniziarono nel 1918 per iniziativa privata e proseguirono negli anni '30. La meccanizzazione è stata la chiave del successo: in questo periodo sono state messe in funzione ben 7 idrovore e realizzato l'attuale reticolo di canali. Senza un apporto di macchinari, come dimostra anche il tentativo con mulini a vento, sarebbe stato praticamente impossibile concludere i lavori.

La storia dell'avanzamento e del ritiro delle zone bonificate nell'area pisana è una storia esemplare delle influenze reciproche fra variazioni climatiche e fasi storiche umane: durante l'età imperiale l'elevato grado di civiltà e le condizioni più aride del Periodo Caldo Romano permisero un inizio di bonifica, che però regredì nell'umido e socialmente depresso basso medioevo. L'alto Medioevo segnò un nuovo avanzamento dei lavori di regimazione da parte della potenza pisana (anche in funzione di evitare l'interramento del porto), complice anche il Periodo Caldo Medievale, ma poi tra le guerre pisane contro Genova e Firenze e l'inizio della più umida Piccola Era Glaciale la zona vide un nuovo avanzamento delle zone malsane.  

Come per la Versilia, anche nell'area intorno a Pisa solo la tecnologia moderna, con l'adozione delle idrovore, permise la definitiva sistemazione del territorio, coronando gli sforzi iniziati già in epoca romana. I lavori, progettati alla fine del XIX secolo, si possono ritenere conclusi solo negli anni '30, nel quadro dello sforzo delle bonifiche operato dal fascismo in tutto il territorio nazionale.

PROGETTI E OPERAZIONI SULL'ARNO ALL'INIZIO DEL XX SECOLO

Negli anni del Regno d'Italia fra le città toscane quella principalmente colpita fu Pisa. Non furono disastri terribili come nel 1966 ma siccome si sono ripetuti parecchie volte fu deciso che non si poteva più andare avanti così.

Negli anni '20 il ricordo delle alluvioni fu preso in maggiore considerazione e così fu presentato un progetto, che ricorda molto nel concetto quello seguito all'alluvione del 1966, in cui si prevedeva la creazione di una serie di invasi nelle aree montane e collinari in modo da regimare le piene; la proposta fu bocciata nel 1926 dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici in quanto non ne era stata ravvisata la funzionalità.
A quel periodo risalgono anche le ultime modifiche al Canale dei Navicelli.

L'ingegner Edmondo Natoni, fra l'altro autore dell'importante lavoro "Le piene dell'Arno e i provvedimenti di difesa", edito a Firenze da Le Monnier nel 1944, mise nero su bianco l'influenza di bonifiche e rettifiche sul regime dell'Arno e che il problema di Pisa poteva essere risolto con la costruzione di un canale che deviasse parte delle acque dell'Arno durante le piene. Progettò quindi lo scolmatore dell'Arno, a difesa della città della torre pendente ancora prima della seconda guerra mondiale. L'opera, lunga una trentina di km, parte con una chiusa a Pontedera e arriva a Calambrone, immettendosi nel Canale dei Navicelli, immediatamente a nord dell'estremità settentrionale del porto di Livorno.
Questa opera è stata completata
solo nel 1976, con il classico ritardo che contraddistingue i lavori pubblici dell'Italia del dopoguerra. Chissà se nel 1966 sarebbe stata utile...

IL XX SECOLO: LA COSTRUZIONE DELLE DIGHE

Fra le opere idrauliche del '900 in Toscana vanno anche citate numerose dighe, di cui la stragrande maggioranza sono utilizzate a scopo idroelettrico. Sono concentrate alle spalle delle Apuane – la zona della Toscana in cui le precipitazioni sono più abbondanti – nei bacini del Magra, del Serchio.
È interessante notare come le dighe per produzione idroelettrica sono 14 e piuttosto piccole, costruite tutte tra il 1910 e il 1957, quindi prima della nazionalizzazione dell'energia elettrica, avvenuta nel 1962.
Le ultime dighe realizzate, Montedoglio sul Tevere (1987) e Bilancino sulla Sieve (1994) hanno scopi di regimazione e riserva di acque e da sole contengono oltre i 2/3 delle riserve idriche superficiali della Regione.
 

Una storia particolare è quella del Lago di Santa Luce, nella valle della Fine, dietro i monti che bordeggiano la costa a sud di Livorno: costruita come riserva di acqua per la Solvay di Rosignano, una delle più grandi industrie della Toscana, grazie alla sua bassa profondità e alla topografia del territorio in breve si è trasformato in un paradiso per gli uccelli migratori, ricostruendo una piccola parte del vecchio paesaggio palustre.

IL SECONDO DOPOGUERRA E L'URBANIZZAZIONE SELVAGGIA 

L'urbanizzazione del secondo dopoguerra ha avuto ben poco rispetto della Natura e soprattutto dell'idraulica. Nella filosofia dell'uso del territorio dell'epoca i fiumi erano utili solo e talvolta come fonte di acqua, ma soprattutto erano considerati zone inutili e ostacoli. Dovunque in Italia (e in Toscana) fiumi e canali sono stati ristretti o intubati con sezioni idrauliche insufficienti; da questo non si sono salvati i canali che erano stati costruiti a scopo di bonifica. Un altro aspetto è che sono stati costruiti quartieri e zone industriali in luoghi dai toponimi che avrebbero dovuto far venire qualche sospetto (tipo: Padule, Pantano, Stagnacci, Foci etc etc). È interessante notare come molte di queste aree nel passato non erano state edificate proprio perchè in posizione depressa e alluvionabile, ma l'aumento della popolazione, la necessità di costruire edifici di varia destinazione e la pretesa di dominare la Natura hanno spinto ad utilizzare anche aree non del tutto idonee allo scopo.

La conseguenza è che buona parte delle urbanizzazioni realizzate nella seconda metà del XX secolo insistono in zone a rischio idraulico, e che con piogge anche non troppo consistenti ci sono come minimo allagamenti di sottopassi o cantine.
Da questo deriva che con una gestione diversa del territorio dal punto di vista idraulico
alcuni eventi alluvionali non si sarebbero mai verificati o avrebbero potuto comportare effetti di minore entità.  

Negli ultimi tempi, complice il riscaldamento globale in atto, questi problemi si sono acuiti specialmente nei piccoli bacini, in particolare in quelli vicini al mare, più esposti al rischio di flash flood. Versilia, Lunigiana, Grossetano – tanto per rimanere in Toscana – sono fra le vittime più illustri del problema. 

L'ALLUVIONE DEL 1966 E LA REGIMAZIONE DELL'ARNO

Ma il '900 è anche – e soprattutto – la terribile alluvione del 1966. Una gran parte dell'Italia fu colpita ai primi di novembre da questo evento che però, per tanti motivi, è passato alla storia, in tutto mil mondo, come “l'Alluvione di Firenze”. Da quell'anno in città il 4 novembre è sempre un giorno di riflessione e ci stiamo preparando alle "celebrazioni" per il 50° anniversario con un apposito comitato. Purtroppo i risvolti pratici di questa mobilitazione annuale non sono ancora ad uno stato di efficienza decente.

Risalgono a questa tragedia le prime istanze sulla cessazione delle azioni di urbanizzazione selvaggia e iniziarono i primi timidi tentativi di salvaguardia del territorio nazionale, anche tramite la “Commissione De Marchi”.
Per l'Arno fu proposta una “cura” simile a quella ipotizzata nel 1926, con una serie di invasi che dovevano servire in prima battuta per laminare le piene ma avrebbero anche consentito in parte di regimare le magre.
 

Perchè finora si è parlato di piene ma anche le magre comportano dei problemi. "ieri" la questione principale era l'impossibilità della navigazione fluviale; oggi l'attenzione è rivolta alla domanda di ossigeno da parte della fauna ittica: minori volumi di acqua significano maggiori densità di pesce e quindi una maggior richiesta di ossigeno per unità di volume. Così spesso alle magre corrispondono anossie generalizzate e conseguenti morie di pesci. Inoltre c'è il problema degli scarichi industriali che diventano una componente troppo elevata delle acque fluviali

Inoltre la dipendenza dall'Arno della città di Firenze e dei comuni limitrofi per scopi idropotabili rappresenta un aspetto di non secondaria importanza, un aspetto che arrivò ad un parossismo drammatico nel 1985, quando una siccità lunghissima diminuì talmente tanto il livello del fiume da non consentire più i prelievi di acqua a scopo idropotabile e si verificarono morie significative in molte zone dell'Arno e dei suoi affluenti. 


La situazione fu tamponata grazie ai laghi dei Renai a Signa, un'area in cui le escavazioni di inerti per costruzione avevano formato una serie di laghetti, tuttora esistenti e in parte riconvertiti a parco pubblico (e anche in altre parti, ancora in concessione a privati). Il fondo di questi laghetti è in parte al di sotto del livello della falda acquifera. Fu costruito il “tubone”, un acquedotto di emergenza che riuscì a risolvere i problemi di approvvigionamento della città prima che le piogge autunnali ripristinassero la portata dell'Arno.

Gli invasi previsti dal piano erano quasi tutti a monte di Firenze, specialmente tra Valdichiana e Valdarno, sia sull'Arno che su alcuni affluenti, ma ce ne dovevano essere anche altri a valle, nella parte alta di alcuni affluenti.
Di tutte queste strutture l'unica entrata in funzione, dopo una gestazione lunga e tortuosa, è rappresentata dal lago di Bilancino, nella parte più alta del Mugello, una diga in terra che ha formato un bacino di circa 5 km quadrati.
Di fatto questo resta l'unico lavoro importante realizzato dopo l'alluvione del 1966, oltre al dragaggio del fondo dell'Arno nella zona di Firenze, con la quale è stata un po' aumentata la portata del fiume in caso di piena. Questa operazione ha comportato dei lavori ai piloni dei ponti ricostruiti dopo la II guerra mondiale e, ovviamente, anche a quelli del Ponte Vecchio che fu risparmiato dalla distruzione. Ricordo che il Ponte a Santa Trìnita e il Ponte alla Carraia sono stati ricostruiti conformemente ai progetti rinascimentali.


 VERSO L'EPILOGO DELLA STORIA: BUONE NOTIZIE?

Oggi finalmente una legge regionale vieta espressamente le costruzioni in zone ad alto rischio idrogeologico: una inversione di tendenza che non può che soddisfare. Ma altre buone notizie, casualmente, sono arrivate proprio in questi giorni mentre sto scrivendo questa storia. Ne parlerò nel prossimo post che quindi avrò una conclusione meno pessimistica di quanto si poteva pensare fino a poche settimane fa. 
No, non torneranno le paludi.... nè i fiumi verranno nuovamente lasciati liberi di fare il loro corso, ma si tenterà di porre rimedio almeno in parte alle conseguenze dei guasti operati negli ultimi secoli al reticolo fluviale.

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