domenica 29 ottobre 2017

Le faglie secondarie (splay faults) attivate dal terremoto del 30 ottobre 2016 nel bacino di Castelluccio



È passato un anno da quando, preceduta da un altro evento significativo il 26, la faglia del Monte Vettore ha provocato il terremoto del 30 ottobre 2016. Nonostante tutto questo evento verrà ricordato per la sua violenza e per le distruzioni, ma non per i morti: questo non è successo per un buon livello dell’edilizia, soltanto perché a causa delle forti scosse che lo hanno preceduto le case, non solo quelle lesionate dagli eventi precedenti,  erano disabitate. La Magnitudo di questo evento è stata tale da provocare vistosi effetti superficiali, e non solo lungo la faglia del Vettore: lungo le pendici del bacino di Castelluccio si può osservare una numerosa serie di piccole faglie accessorie, le cosiddette "splay faults". Nel congresso di Camerino del luglio scorso sui 3 grandi terremoti recenti dell'Appennino Centrale (o, meglio sulle tre grandi sequenze sismiche del 1997, 2009 e 2016) ho potuto rendermi conto realmente di questo aspetto presente nella zona di Castelluccio. In questo post farò vedere una serie di esempi in merito. 



Questo è un post essenzialmente fotografico e quindi, a parte la prima immagine che è una carta degli splay della Alpine Fault in Nuova Zelanda, il testo si limita quasi esclusivamente a didascalie esplicative delle immagini, sotto alle stesse. L'impaginazione è insoddisfacente, purtroppo, soprattutto usando uno schermo grande. Me ne scuso, ma non sono riuscito a fare meglio di così.


Il sistema di faglie di Marlborough, tipico esempio
di ramificazione di una faglia, in questo caso
la alpine Fault che taglia tutta la Nuova Zelanda
Quando tanti anni fa di ritorno da una magnifica escursione sui monti Sibillini passai da Castelluccio rimasi meravigliato da quel paesaggio così bello e assolutamente unico. Invito tutti ad una gita in zona, anche se ora le strade sono quelle che sono: per chi fa un viaggio in Umbria dovrebbe essere una meta obbligatoria. L’immagine di quella piana in mezzo ai monti dominata da una montagna altissima mi si è indelebilmente impressa nella mente. Rimasi molti colpito anche dalle testimonianze di tettonica attiva: il terremoto del 1997 era avvenuto da poco e sapevo benissimo di essere in una delle zone sismiche più importanti d’Italia, anche se negli ultimi secoli, dopo gli eventi del ‘700, la situazione era rimasta abbastanza “calma” (ed è questo aspetto che, per esempio è stato determinante per la distruzione di Amatrice, per la quale i ricordi sismici sono ancora più lontani [1]).
Nell’area di Castelluccio, quella più colpita dagli eventi del 30 ottobre, la fagliazione superficiale è molto evidente, non solo lungo la faglia principale, ma anche lungo altre faglie secondarie, le cosiddette splay faults. In questo post vorrei far vedere alcuni effetti geologici significativi, che specialmente per chi non è addetto ai lavori sono probabilmente sconosciuti e cioè le deformazioni provocate dalle splay faults.
Splay è un termine che riesco a tradurre difficilmente e il concetto di splay fault in Italia è poco noto, e vediamo quindi di specificarlo meglio: si tratta di un piano di faglia secondario che si dirama da quello principale.
In questa carta si vedono, ad esempio, i vari rami in cui si divide la Faglia Alpina nella parte settentrionale della Nuova Zelanda.
Qui ovviamente siamo ad una scala molto minore, ma a Castelluccio ho personalmente visto 3 splay della faglia principale del monte Vettore. Anche i lavori di Galli & C (per esempio [2]) sono stati effettuati lungo uno splay e non sulla faglia principale, così come le numerose trincee scavate in zona da INGV negli ultimi mesi.
Queste foto sono tutte prese da me durante il field trip del congresso “three destructive earthquakes along the Central Apenninic fault system”, a parte una ricavata da Steeet View e una da Tiziano Volatili dell’Università di Camerino lo illustrano in maniera soddisfacente.   


A luglio scorso ho parlato di Colfiorito e della faglia che, bloccando il fiume Chienti, ha formato il lago ora bonificato. Quella delle faglie che bloccano il ruscellamento e ne provocano alle volte persino l’inversione è una situazione comune in tutto il settore umbro – marchigiano e abruzzese, a scala più o meno grande; soltanto che a parte Colfiorito dove ci sono essenzialmente arenarie e argilliti piuttosto impermeabili, la circolazione carsica dei calcari dei Monti Sibillini e della piattaforma abruzzese consente alle acque superficiali di penetrare nel sottosuolo evitando il ristagno superficiale delle acque e la conseguente formazione di laghi. Lo stesso bacino di Castelluccio è letteralmente costellato di doline e senza la presenza di questi calcari permeabili, non avendo un emissario naturale in superficie, sarebbe stato occupato anch’esso da un lago.



GLI SPLAY DI FORCA DI GUALDO



Forca di Gualdo è il limite settentrionale del bacino di Castelluccio ed è già nel territorio del comune di Castelsantangelo sul Nera. Vi sorgeva la cappella della Madonna della Cona, crollata a causa delle scosse del 2016. La strada provinciale che congiunge Castelluccio a Castelsantangelo è ancora chiusa tranne che per gli addetti ai lavori e quindi per adesso quella zona è irraggiungibile  a meno di non fare un lungo tratto a piedi.




Dalla forca una strada bianca porta in una zona dove i due splay sono ben visibili, come è illustrato da questa immagine di StreetView scattata prima degli eventi sismici. 




Nell’immagine vediamo i due splay che si sono attivati il 30 novembre in questa zona: il primo probabilmente solleva la cresta a cui appartiene (anzi, meglio, ribassa la parte avanti). Il rigetto in alcuni punti è di oltre 30 cm. 





È interessante notare che a causa di quel rigetto il primo splay ha bloccato il corso di un piccolo rio, per cui dopo il terremoto si era formato un laghetto, che comunque è stato di breve durata. Mi scuso ma purtroppo non mi ricordo se il prosciugamento sia stato naturale (per scarsezza di precipitazioni, sblocco della soglia o percolamento nel terreno) o dovuto ad un apposito intervento antropico. Nell’immagine ho evidenziato all’incirca l’area che si era allagata. Si vede anche una trincea scavata da INGV per studiare la storia di questo splay.




Il secondo splay si trova alla base di una altura ed è evidente come l’altura stessa sia stata creata da questa faglia che ribassa la parte antistante. 




Questo dettaglio è molto interessante: il dislocamento del 30 ottobre si distingue benissimo perché corrisponde alla parte bianca non ancora alterata, ma la parte alterata costituiva lo stesso (sia pure in parte) uno scalino anche prima del 30 ottobre: l’erosione non aveva ancora eliminato gli effetti dei movimenti precedenti.  




Una conseguenza dell’abbassamento del terreno antistante al secondo splay è, ancora una volta, la creazione di uno sbarramento, e quindi di un lago temporaneo; solo che questo secondo bacino è decisamente più importante di quello determinato dal primo splay perché la quantità di ruscellamento è sicuramente maggiore rispetto a quello del primo splay perché è più a valle del primo e riceve acqua anche da altri sottobacini oltre a quello del primo. È un fenomeno accaduto svariate volte nella storia (e cioè quando un forte evento sismico ha determinato l’abbassamento del piano) ed ha una conseguenza stratigrafica particolare: il lago è un po' meno effimero del primo e ha deposto un po' di sedimenti, e cioè il terriccio che vediamo in quest’altra immagine.  

Il lago si è formato più volte ma è sempre stato effimero: l’erosione della soglia o la circolazione sotterranea hanno sempre consentito prima o poi alle acque di defluire via dal piano.




LO SPLAY DI FORCA DI PRESTA





Un altro splay interessante è dall’altra parte del bacino di Castelluccio, a Forca di Presta, lungo la strada che porta ad Arquata del Tronto. Siamo per poche centinaia di metri fuori dall’Umbria, nella provincia di Ascoli Piceno.

Qui la faglia secondaria corre più o meno parallela ad un precipizio. Però la faglia non corrisponde al precipizio stesso ed è impostata sul pianoro immediatamente prima. Siccome il movimento ribassa la parte opposta a quella del precipizio, ha formato una collinetta, come si vede da questo mio (scadente, lo ammetto...) disegno.
Lo splay comincia dalla strada e ci passa in mezzo all’altezza di una curva, quando brevemente passa lungo una trincea.




Il 30 ottobre 2016 lo splay di Forca di Presta ha letteralmente tagliato in due la strada, abbassando la parte interna della curva di una quindicina di centimetri; per cui la parte esterna ora è contraddistinta dall’asfalto “nuovo”, perché  per ripristinare la viabilità è stato necessario “piallare” questa parte fino a farla arrivare al nuovo livello a cui si è spostata la parte interna. La vediamo nella foto.



Queste altre immagini mostrano l'area dello splay di forca di Presta a sud della strada provinciale 34:





Si osserva la valle che originariamente scendeva verso il precipizio ma che è stata “chiusa” dal sollevamento provocato dallo splay (lungo la faglia si è “curiosamente” impostata una dolina!!) e la posizione della trincea scavata da INGV.





Questa è la trincea scavata da INGV con la traccia di un paleoterremoto che ha dislocato i sedimenti e provocato uno scalino nel quale si sono depositati sedimenti successivi all'evento.





Questo invece è un primo piano della collinetta che si è formata a causa dello splay. Siamo a circa 200 metri a sud della zona della trincea. Alla base della collinetta si nota ancora la fratturazione del terreno avvenuta il 30 0ttobre 2016.



IMMAGINI DELLA FAGLIA PRINCIPALE DEL 30 OTTOBRE 2016




Da ultimo presento anche delle immagini della faglia principale: questa di Tiziano Volatili è stata scattata nell'escursione del congresso di Camerino nella zona a massimo scorrimento cosismico, il celebre Scoglio dell’Aquila, lungo il sentiero delle Fate e quindi lungo la parete occidentale del monte Vettore. Anche qui come per il secondo splay di Forca di Gualdo l’erosione non era riuscita a eliminare i dislivelli effetto di eventi precedenti analoghi a quello del 30 ottobre: di fatto la parte più chiara riflette l’abbassamento cosismico di questo ultimo evento.




Quest’altra immagine della parete del Vettoretto presa dalla Forca di Presta guardando verso Arquata del Tronto evidenzia la faglia lungo le pendici della montagna: non ne ho una presa sul posto ma si nota benissimo come lo scalino contiene all’interno un "canale". Purtroppo non sono andato a vedere il canale in dettaglio.  



E questa, come ultima, è il sito dove la faglia del Vettore interseca la strada provinciale 34 per Arquata, con gli evidenti interventi per eliminare lo scalino formatosi il 30 ottobre 2016.

[1] Tertulliani et al (2016) il terremoto di Amatrice del 24 agosto 2016: effetti nell’area epicentrale e valutazione dell’intensità macrosismica attraverso la scala ems GNGTS 2016 sessione Amatrice
[2] Galli et al 2008 Twenty years of paleoseismology in Italy. Earth-Science Reviews 88, 89 – 117

mercoledì 25 ottobre 2017

"Atlas of Underworld": un sito che descrive il mantello terrestre punto a punto


È stato recentemente presentato l’ennesimo tool scientifico online. Molti di questi tool sono dei database che contengono – riassunte – preziose informazioni che quindi diventano facilmente recepibili e consultabili senza dover fare lunghe ricerche. Voglio parlare dell’Atlas of Underworld perché è un qualcosa di veramente utile per chi ha bisogno di informazioni sommarie (ma anche più approfondite) sul mantello terrestre. Sviluppato da noti ricercatori dell’università di Utrecht questo sito si presenta come un qualcosa di dinamico, aperto non solo alla veloce evoluzione dello stato dell’arte della ricerca scientifica sul mantello, ma anche al contributo di tutti i ricercatori che in questo modo possono dire la loro nella pagina specifica di ogni argomento.

La tomografia, scomponendo un corpo in strati sovrapposti l’uno con l’altro, riesce ad evidenziare le caratteristiche dell’oggetto esaminato in tre dimensioni anziché in due. È intuitivo come in campo medico abbia rappresentato, ad esempio, un grande avanzamento rispetto alla radiografia, che – appunto – dà un’immagine solo bidimensionale e in genere ha una risoluzione non eccelsa: e infatti la TAC, tomografia assiale computerizzata, è diventata uno degli strumenti diagnostici più usati. Ma si può ovviamente tomografare qualsiasi oggetto, basta avere la tecnica giusta.

Velocità e riflessione delle onde sismiche da [1]
La tomografia sismica è una sorta di TAC dell’interno della Terra e sfruttando il comportamento delle onde sismiche consente di modellizzare con una discreta risoluzione il mantello.
L’origine della tomografia sismica si può far risalire al 1909, quando Andrija Mohorovicic intuì che i due diversi tempi di viaggio delle onde sismiche emesse da un terremoto risentito localmente nei Balcani erano causate dalla loro rifrazione avvenuta in una superficie di discontinuità delle proprietà elastiche. Quella discontinuità che il grande sismologo serbo scoprì in questo modo è il limite fra la crosta ed il mantello e in suo onore si chiama “discontinuità di Mohorovicic” o, più sinteticamente “la Moho”. Come si vede dalla immagine esemplificativa qui accanto [1], dallo studio dei tempi di arrivo delle onde sismiche vengono determinate zone in cui queste si muovono a diversa velocità, corrispondenti a zone che si differenziano per uno o più parametri da quelle circostanti. Le differenze possono essere le più varie (temperature, quantità di acqua e altri fluidi, composizione mineralogica e/o chimica).
Per i geologi e i geofisici che studiano il mantello terrestre la tomografia sismica è uno strumento di eccezionale importanza, perché consente di “vedere” le differenze interne del guscio intermedio del nostro pianeta. Il mantello terrestre infatti è ben lungi dall’essere un qualcosa di omogeneo, come dimostrano innanzitutto le differenze geochimiche nei magmi delle varie dorsali mediooceaniche (ne ho parlato di recente a proposito della dorsale di Gakkel nell’Oceano Artico).
Con la tomografia sismica in particolare si ottengono ottimi dati sulla posizione di varie anomalie. Le figure principali che si riescono ad osservare sono:
  • i Superswell o LLSVP (Large Low Shear wave Velocity Provinces – grandi province a bassa velocità delle onde di taglio) del mantello terrestre, le due aree più calde che oggi sono poste sotto l'Africa e il Pacifico meridionale (ne ho parlato qui)
  • i vecchi slab risultato delle subduzioni: in una collisione fra due placche una di loro scende nel mantello e si tratta di un corpo più freddo, più rigido e di composizione diversa dal mantello circostante; quello che, appunto, viene definito con il termine “slab” 

L’IMAGING DI UNO SLAB. Quando è ancora sufficientemente rigido uno slab è visibile grazie all’attività sismica (anzi, la prima individuazione delle subduzioni è stata rappresentata proprio dai “piani di Benioff”, le sole zone in cui si addensano gli ipocentri dei terremoti a profondità superiore ai 60 km): nel mantello circostante non si verificano terremoti perché si deforma asismicamente); purtroppo a causa del cambiamento delle condizioni fisiche, anche nello slab da una certa profondità in poi cessa l’attività sismica perché a causa della pressione anch’esso si deforma in maniera duttile e non più fragile. Quindi se da quel punto in poi diventa impossibile individuarli dai terremoti, le differenze termiche e di composizione rispetto al mantello circostante rimarranno e quindi la sua presenza viene rilevata grazie agli scostamenti nei tempi di viaggio e nella direzione delle onde sismiche.
Quindi grazie alla tomografia sismica la presenza in profondità, addirittura fino alla base del mantello, degli slab è accertata e accettata da parecchio tempo
Quello che mancava era un database generale di questi oggetti, database che è stato presentato in questi giorni.
Si tratta dell’Atlas of Underworld, un tool su base GoogleMaps come diversi altri (per esempio il da me ampiamente utilizzato Iris Earthquake Browser).
Atlas of Underworld è stato descritto da un articolo appena uscito su Tectonophysics [2] ed è un progetto dell’Università di Utrecht, curato da Douwe G. van der Meer, Douwe J.J. van Hinsbergen, Wim Spakman e Thomas J.M. van der Linden. Si tratta di ricercatori molto noti per i loro lavori sulla dinamica del mantello e sulla ricostruzione dei movimenti delle placche (li ho citati spesso anche io su Scienzeedintorni).

I terremoti profondi avvengono esclusivamente in zone di convergenza di zolle, lungo i piani di Benioff 

COME È FATTO L'ATLAS OF UNDERWORLD. L’Atlas of Underworld fornisce notizie sul mantello e sulla tettonica a placche degli ultimi 300 milioni di anni ed è dotato di una robusta bibliografia, che verrà aggiornata di continuo.
Il cuore del sito sono appunto gli slab, che vengono elencati per posizione su base GoogleMaps, ma anche in ordine alfabetico, di età e di profondità. C’è poi una sezione di modellistica.
Interessante è anche l’interfaccia dinamica: ogni slab ha il suo proprio forum in cui chiunque può aggiungere informazioni, impressioni, bibliografia e quant’altro ritenga utile sull’argomento (quelli a cui piace parlare forbito direbbero che c'è un "approccio bottom-up") 
Nella sezione “updates” vengono segnalate, oltre alle novità del sito, anche tutti i nuovi commenti sugli slab.

Nell’Atlas of Underworld vengono censiti ben 94 slab! Questo ci fa capire che ci voleva davvero  un sito che descriva organicamente il mantello, mettendo in sequenza tutte le informazioni che fino ad oggi andavano ricercate una per una! È quindi un prezioso aiuto sia per chi studia direttamente il mantello ma anche (e soprattutto!) per chi ha bisogno di notizie, anche sommarie, in proposito. 

LE NOTIZIE FORNITE DA ATLAS OF UNDERWORLD. Per vedere come funziona prendiamo uno slab a caso. Può suscitare curiosità, ad esempio, la presenza di una struttura del genere proprio sotto la dorsale medio – atlantica. Vediamo quindi cosa dice l’Atlas of underworld in proposito. 
Cliccando sulla carta il simbolo dello slab si entra nella pagina dedicata ad Atlantis (questo è il nome con cui viene indicato).

La posizione di Atlantis sulla mappa di Atlas of Underworld
Ma si può ricercare anche in ordine alfabetico, di età presunta e di profondità


Innanzitutto ci sono delle immagini: carte e sezioni che inquadrano la struttura, compresa la fascia crustale deformata che dovrebbe essere legata alla formazione di Atlantis.

Le immagini a supporto dello slab "Atlantis

Segue poi una descrizione coincisa ma efficace della sua posizione attuale e del contesto geodinamico in cui si è formato, corredata dagli opportuni riferimenti bibliografici che consentono quindi di approfondire al massimo cosa si sa su questo slab. Da ultimo la sezione “forum” dove chiunque può dire la sua su questo specifico argomento.

Cosa mi piacerebbe venisse implementato nel sito?
Per esempio tre sezioni, una in cui vengano evidenziate le caratteristiche geochimiche desunte dalla composizione dei magmi mantellici (ad esempio le aree con particolari anomalie), una sui punti caldi e una sulle LLSVP.
L'Atlas of Underworld è quindi uno dei più importanti tools per chi ha a che fare con la storia del nostro pianeta e la sua attuale dinamica.

[1] Rawlingson, N.: Lecture 16: Seismic tomography -I Australian National University 

[2] Van der Meer et al (2017) Atlas of the underworld: Slab remnants in the mantle, their sinking history, and a new outlook on lower mantle viscosity Tectonophysics, in press




domenica 22 ottobre 2017

Quando a parlare di terremoti non sono geologi… le competenze non sono un optional



Qualche volta mi sono soffermato su personaggi dalle cognizioni geologiche “poche ma confuse” che si trovano in rete, una galassia di dilettanti allo sbaraglio o presunti geni della geofisica venuti fuori dal nulla dal dopo-terremoto del 2009 quando è scoppiata in rete la sismomania. La situazione è in seguito ulteriormente peggiorata, per raggiungere vette inconcepibili da menti normodotate dopo gli eventi del 2016: una proliferazione incontrollata di gruppi che parlano di terremoti nei modi più disparati. Un mio amico ha scovato nel web una vera chicca: una intervista ad uno dei vari personaggi privi di cultura geologica specifica ad una televisione privata abruzzese l’indomani del terremoto di Amatrice. L’intervistato ha commesso molti errori ma il punto interessante che mi domando è perché, con tutti i geologi a disposizione nelle università, in un momento così difficile si intervista una persona del genere e non un geologo… ma siamo alle solite: nell’informazione italiana e nella imperante cultura da bar sport la competenza è un optional.



Il gruppo Facebook Geologi.it fino all’agosto 2016 è stato un luogo virtuale in cui geologi discutevano essenzialmente fra loro di geologia applicata (terre, frane, alluvioni, idrocarburi, problemi della professione); da quel momento a causa dei terremoti dell’Italia Centrale il gruppo ha visto l’entrata di migliaia di utenti non geologi. Per la moderazione e per altre persone come me è stato un piacere che, sia pure a causa di tragici eventi, molte persone si siano avvicinate alle Scienze della Terra, cercando e trovando un sito nel quale l’obbiettivo è informare con rigore scientifico. Il problema è che alle volte tocca riportare “ordine” nelle discussioni, nel senso che se da un lato ci fa molto piacere che i non geologi facciano delle domande (anzi, sono i benvenuti) dall’altro si deve pregare gli stessi di non esprimere giudizi né rispondere alle domande (tantomeno sputare sentenze), in quanto 99 volte su 100 sono imprecisi o peggio. E quindi oltre a rispondere alle domando tocca anche fare la fatica di contraddire quelli di cui sopra. Il bello è che talvolta la persona che è stata corretta si offende pure… Purtroppo la stessa cosa succede “fuori” da Geologi.it e , fatto gravissimo, questi personaggi riescono ad avere visibilità nei media, oltre a ricavarsi dello spazio nei social network.



Mi sento spesso con degli amici che risiedono nelle Marche ed in Abruzzo, di cui alcuni geologi, altri no. Uno di loro, non geologo ma molto attento al “rigore scientifico in materia”, Massimiliano Fiorito, è una persona di buon senso che sa benissimo che chi parla senza cognizioni specifiche in Geologia (e non solo) porta spesso a deragliare dalla logica scientifica. Di più, è una persona che svolge un prezioso ruolo di osservatore di tutta quella galassia di cui sopra.
Recentemente Massimiliano mi ha segnalato una intervista risalente al 25 agosto 2016, rilasciata da un certo Massimo Valle in veste di “presidente di Terry-1 Italia”. Una definizione estremamente pomposa per un qualcosa che per adesso sembra essere solo un gruppo facebook (chiuso… non fosse che arrivasse lì dentro qualcuno per criticare in modo scientifico e a cui non si sa rispondere.…). Per quanto riguarda il nome, “Terry” dovrebbe essere il diminutivo di terremoto (giudizio critico: tavanata linguistica…). Tutto sommato, comunque, anche se si tratta di un classico “dilettante allo sbaraglio”, in possesso di gravi lacune scientifiche, ampiamente dimostrate dall’intervista, in questo sottobosco Valle è fra i “meno peggio” in quanto cerca di tenersi, in genere, il più lontano possibile dai santoni della previsione dei terremoti. 
Eppure il tizio è riuscito a convincere il comune di Roccaraso a costruire una stazione sismica (la cui realizzazione, comunque, è stata curata da una persona competente in materia). Nel mentre che più stazioni sismiche realizzate e curate in modo serio ci sono meglio è, non ho capito bene a cosa possa servire specificamente questo impianto: Valle ripete di continuo che è utile in ottica di “prevenzione” e non mi è molto chiaro, all’attuale stato dell’arte della ricerca scientifica, come, di preciso, possa esserci un rapporto fra un sismografo e la prevenzione. L’accelerometro dovrebbe comunque essere, molto opportunamente, collegato alla rete del Dipartimento della Protezione Civile.


Insomma, per parlare del terremoto del 24 agosto 2016, il giorno dopo la scossa principale una emittente abruzzese (Onda TV, di Sulmona) non intervista un geologo, ma questo Massimo Valle. Si tratta della ennesima dimostrazione del modo assurdo in cui l’informazione scientifica viene gestita nel nostro Paese, dove chiunque può dire la sua (specialmente se non sa niente dell’argomento di cui parla…). Una amara considerazione è che con tutte le varie università della zona (Camerino, Urbino, L’Aquila, Teramo, Chieti) dove lavorano fior ricercatori conosciuti in tutto il mondo e con tutti i geologi professionisti locali venga dato da una televisione e dal comune di Roccaraso lo spazio ad un signor nessuno privo di competenze scientifiche, né più né meno come alcune amministrazioni locali hanno dato credito a Giampaolo Giuliani e alla sua fondazione.



L’intervista è infatti un chiaro esempio del concentrato di inesattezze (ad essere benevolo) che capita di esprimere ai non geologi, inesattezze che si rivelano veramente deleterie sia per chi ha trasmesso, che fa una pessima figura come addetto all’informazione, e soprattutto per chi, non geologo, ha sentito questa marea di cose imprecise pensando che siano la realtà dei fatti e ricavando quindi una serie di concetti errati.



Massimiliano ha trascritto questo campionario di assurdità geologiche. appuntando meticolosamente tutte le ehm ehm… inesattezze e, così facendo, oltre ad aver perso una serata, mi ha dato una mano notevole a scrivere questo post (ganzo: posso dire di avere un “collaboratore”)...  Allora, insieme ad altri amici come Natalia De Luca, PhD dell’università dell’Aquila, autrice fra l’altro di interessanti e serie ricerche sul radon (ogni riferimento a presunti ricercatori indipendenti in materia è puramente NON casuale), abbiamo deciso di rendere pubblico tutto ciò su Scienzeedintorni. Per chi volesse, su youtube si trova a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=qopphhTcW2Q



I PUNTI SALIENTI DELL’INTERVISTA



Gli eventi sismici dei 15 giorni precedenti nell'area
interessata dalla sequenza dal 24 agosto in poi
Solo nei primi sei minuti di questo video vengono pronunciati dei concetti completamente sbagliati, che riportiamo punto per punto.



VALLE: il terremoto di stanotte (riferimento a quello delle 3,36 del 24 agosto 2016) è stato preceduto da uno sciame nei 15 giorni precedenti.

Assolutamente falso. Innanzitutto uno sciame sismico è una serie di eventi dovuti alla stessa struttura sismica in cui la M massima viene raggiunta diverse volte, a differenza di una sequenza "normale" in cui una scossa a M maggiore viene seguita da una serie di repliche. Dai dati pubblici di INGV risulta invece che nell'area c’è stato per anni un livello di sismicità di fondo su valori assolutamente normali e costanti, prima che gli eventi del 2016 modificassero drasticamente il quadro: limitandosi ad una M uguale o maggiore di 2, nei 15 giorni precedenti nell’area in esame si contano 4 eventi: tre scosse nella zona di Preci: M 2.0 il 7, M 2.2 l’8, e M 2.2 il 16 e un evento M 2.0 a Serravalle del Chienti la sera del 23. Sostenere la presenza di uno sciame sismico pare francamente un po' esagerato.

VALLE: all’ora di pranzo è avvenuta la seconda scossa di Mw 5.4

Evidentemente il signor Valle pranza alle 4,33 del mattino.
 Forse lavora di notte?


VALLE: stiamo monitorando la faglia coinvolta ma non possiamo prevedere la sua evoluzione
Sottolineo l'encomiabile sforzo di evitare qualsiasi previsione: sarebbe un aspetto normale ma conoscendo i vari personaggi in circolazione nel sottobosco della geofisica da iutiùb iunivèrsiti ci tengo a sottolineare che ne ha detta una giusta... 
Per il resto è un ottimo esempio di frase completamente senza senso: stiamo chi? monitorare cosa? Con quali competenze? E con quale scopo? In che modo? E soprattutto quale faglia?

VALLE: Ho fatto un sopralluogo sulla faglia del Pizzalto che è lunga 9,3 km visibili in superficie alla ricerca di percussori
Non si capisce cosa possa esserci nella faglia del Pizzalto che abbia una qualche attinenza con gli eventi del 24 agosto, avvenuti qualche decina di km più a nord e su una faglia diversa, pur se appartenente allo stesso sistema. Poi c’è anche una grave inesattezza: l’espressione superficiale della faglia del Pizzalto ha una lunghezza pari a 13 km e non 9 [2].
Inoltre non è per niente chiaro cosa Valle abbia fatto: dopo quasi 40 anni di Geologia non conosco il concetto di “percussore” applicato alla sismologia né, facendo un semplice giro con un motore di ricerca. ho trovato alcunché. Ho quindi pensato che volesse intendere “precursori”. 

Ci chiediamo allora quali possano essere dei precursori sismici visibili lungo una faglia: siamo come per il punto precedente alla solita presentazione di un concetto estremamente vago, ma che per chi non sa niente di Geologia può sembrare una cosa importante. Per cui o si è confuso o ha seri problemi con l’italiano (e in ogni caso li ha con la Geologia…).

VALLE: Ho cominciato gli studi sulla faglia del Pizzalto, prima dell’Università di Chieti
Mettendosi nei pani di un ascoltatore che non sa nulla di tutto questo, il messaggio è: “oh, lui sta studiando la faglia! Grande! Mica come quei fannulloni dell’Università di Chieti”. Calma e gesso... Peccato che per Valle di studi su questa faglia (svolti anche – che caso! – da ricercatori dell’Università di Chieti) se ne trovano diversi, basta andare a guardare la bibliografia scientifica in merito, per esempio fra quella indicata in [1]. Le referenze da [2] a [6] sono semplicemente una selezione dei lavori sull'argomento svolti da ricercatori chietini, da soli o in compagnia di altri studiosi appartenenti ad altre università. Insomma, si tratta di strutture studiate da parecchio tempo e che dunque anche i geologi avevano deciso prima di Valle che sarebbe stato il caso di studiare. Le domande che ci si pone sono se Valle sapesse dell’esistenza di questi lavori (evidentemente no...) e, anche qui, in cosa consistano i suoi studi e quali siano i loro obbiettivi.


Questo, pubblicato nel 2016, è l'ultimo lavoro uscito sulla faglia del Pizzalto in cui
sono coinvolti geologi dell'Università di Chieti. L'ultimo di una lunga serie...
VALLE: la Majella non fa grandi terremoti da 101 anni

101 anni prima del 2016 era il 1915: all’epoca, come è noto, ci fu il terremoto di Avezzano e quindi deve essersi confuso con la Marsica....
L’ultimo evento che ha coinvolto direttamente la Majella, probabilmente nella parte esterna della struttura, è stato il terremoto Mw 5.6 del 26 settembre 1933, mentre l’ultimo terremoto devastante sicuramente addebitabile alla sorgente sismica della Majella è quello Mw 6.6 del 3 novembre 1706: evento interessante dal punto di vista della cronologia sismica perché culmine temporale di una crisi che interessò anche negli anni immediatamente precedenti Norcia, Cittareale e L’Aquila.

Tutto questo solo nei primi sei minuti di trasmissione.
Poi seguono altre “cose discutibili”.
Saltiamo la parte relativa ai comportamenti da tenere durante e dopo un sisma e passiamo al 14° minuto.

VALLE: i terremoti superficiali, a differenza di quelli profondi, vengono percepiti in un’area più estesa
Qui siamo all’ABC della geofisica e, purtroppo per Valle, succede l’esatto contrario: a parità di Magnitudo, a parità di risentimento in superficie più l’ipocentro di un terremoto è profondo, maggiore sarà l’area in cui viene risentito. Senza parole… e questo sarebbe un “esperto”...


VALLE: Mancano i sismografi dell’INGV nell’area peligna
Affermazione completamente falsa. Per esempio ce n’è uno a Introdacqua.


la non certo intensa attività sismica in Italia con M 2+ il 22 e il 23 agosto 2016:

Eventi con M uguale o superiore a 4.0 il 23 agosto a livello mondiale


VALLE: il giorno prima del 24 agosto osservavamo un’insolita calma sismica a livello mondiale con un massimo di magnitudo 2.3 registrato. Invece tremava moltissimo la nostra penisola, soprattutto Amatrice.

Che l’Italia in generale (e Amatrice in particolare) “tremassero moltissimo” è completamente fasullo. Basta vedere i dati: 5 eventi con M superiore a 2 distribuiti in tutto il territorio nazionale, “business as usual” il 23 agosto 2016. Nell'immagine qui sopra ho inserito anche gli eventi del 22, tanto per mettere qualcosa in più.
Venendo agli eventi della stessa data a livello mondiale: se secondo Valle l’Italia tremava moltissimo (falso...), il resto del mondo quel giorno non avrebbe registrato eventi con M superiore a 2.3. Una controtendenza che se vera sarebbe decisamente curiosa; peccato che sia completamente falsa: nell’immagine qui a sinistra, ottenuta da una ricerca nel database dell’Iris Earthquake Browser vediamo gli eventi a M superiore a 4 registrati il 23 agosto nel mondo (ovviamente le date e gli orati sono riferite al tempo di Greenwich!): 18 eventi con M superiore a 4, di cui 5 con M superiore a 5, fra i quali si registrano un M 6.0 e un M 5.8 in Indonesia orientale. Cosa dire? Nulla.. il tutto si commenta da sé...


CONCLUSIONEL’informazione distorta, la totale ignoranza in materia e la megalomania rese pubbliche, sono quasi sempre più dannose della non informazione. Chi ha il ruolo di “somministrare informazione” prima di dare la parola a qualcuno dovrebbe quantomeno accertarsi della competenza scientifica di chi parla e non in base a quanto dice il soggetto stesso. Eppure al giorno d’oggi dovrebbe essere possibile riconoscere un esperto da un presunto esperto.

Sarà un caso che solo in Italia ci siano stati Di Bella, Giuliani, Stamina e, dal 2009 ed in particolare dal 2016, la pletora di santoni che parlano di terremoti?


ULTIME NOTIZIE: dobbiamo registrare una ennesima dimostrazione di incompetenza da parte del soggetto. Questo è un suo screen in cui lancia i soliti giudizi allarmistici. Peccato che, evidentemente, non sia a conoscenza del fatto che i Campi Flegrei sono uno dei vulcani meglio monitorati al mondo, e viene raccolta sistematicamente in continuo una enorme mole di dati. Ho saputo anche io che il sensore che misura la temperatura in continuo alla fumarola di Pisciarelli non funziona da qualche tempo. Questa fumarola si trova all’esterno del cratere della Solfatara e non viene sostituito non per via del tragico incidente, ma perché non ci sono le condizioni per avvicinarsi in sicurezza. Quindi è ineccepibile dire che questo dato specifico manchi. 

Ma il sistema di osservazione di un vulcano attivo è necessariamente molto articolato ed è costruito tenendo conto del fatto che gli strumenti possano rompersi o smettere di trasmettere i loro dati (specialmente quelli che operano nei pressi di ambienti estremi come i campi fumarolici). Per cui per un dato mancante ve ne sono decine e decine che invece continuano ad essere osservati regolarmente, e quindi la perdita di un singolo sensore non inficia la sorveglianza nel suo insieme, come dimostra l'esame dei bollettini pubblicati settimanalmente che non si sono certo fermati... 
Quanto ai fatti esposti (moria di pesci, apertura nuovi punti di emissione fumarolica) da chi e dove sarebbero stati documentati?
E a proposito della moria di pesci: almeno fino a qualche anno fa uno dei segnali sismici più frequenti in zona era rappresentato dalle esplosioni a mare effettuate dei pescatori di frodo nel golfo di Pozzuoli... Non credo che i costumi siano cambiati tanto, da allora..


BIBILIOGRAFIA CITATA

[1] Galadini, F., Galli, P., 2000. Active tectonics in the central Apennines (Italy) — input data for seismic hazard assessment. Nat. Hazards 22, 202–223 (e referenze bibliografiche contenute all’interno)
[2] Lavecchia et al 2006 studio della pericolosità sismica della Regione Abruzzo
[3] Barchi et al (226) Sintesi delle conoscenze sulle faglie attive in Italia Centrale: parametrizzazione ai fini della caratterizzazione della pericolosità sismica. monografia del GNDT
[4] Delli Rocioli et al 2013 Seismic slip history of the Pizzalto fault (Central Apennines, Italy) using in situ 36Cl cosmogenic dating Geophysical Research Abstracts Vol. 15, EGU2013-12959, 2013 EGU General Assembly 2013

[5] Miccadei e Parotto 1998 Assetto geologico delle dorsali Rotella - Pizzalto - Porrara Geologica Romana 34, 87-113 
[6] Tesson et al 2016 Seismic slip history of the Pizzalto fault (central Apennines, Italy) using in situ-produced 36Cl cosmic ray exposure dating and rare earth element concentrations
ultimo movimento importante 1315/12/03 


giovedì 12 ottobre 2017

La dorsale di Gakkel, i suoi strani tufi e il limite fra Eurasia e America Settentrionale nell'Artico e in Siberia


In questi giorni sono venute fuori delle strane storie su un supervulcano nell’Artico. Ovviamente le cose non stanno per niente così. Inoltre si tratta di un sito che si arrampica sugli specchi per contestare nientepopò di meno che … il riscaldamento globale dando, non si sa come mai la colpa a del vulcanismo allo scioglimento dei ghiacci... L’occasione viene comunque opportuna perché così ne approfitto per parlare di una dorsale medio-oceanica come la Gakkel, che se fosse situata in una zona meno disagevole (per il freddo e per la copertura di ghiaccio) sarebbe stata molto studiata in quanto possiede delle caratteristiche piuttosto peculiari, essendo la dorsale a minore velocità di espansione attualmente esistente.

L'OCEANO POLARE ARTICO. Innanzitutto per un inquadramento regionale occorre parlare dell’Oceano Polare Artico in generale. Farlo è un po' difficile perché siamo tutti abituati a guardare la Terra in prospettiva verticale mentre invece per osservare bene questa zona occorre guardarla dall’alto. Ho provato con Google Earth a fare la carta qui accanto, dove si vedono i limiti di zolla e i vulcani attivi.
Fondamentalmente l’oceano Artico si può dividere in due bacini distinti, quello dell’Amerasia, apertosi nel Mesozoico e il più giovane Bacino Eurasiatico che si è formato nel terziario a partire dal tardo Paleocene per l’espansione del fondo oceanico dovuta alla dorsale di Gakkel.
I due bacini sono separati dalla dorsale Lomonosov, una fascia stretta di crosta continentale che individua una vasta area a profondità minore. la Lomonosov è una struttura lunga e stretta cha fatto da margine passivo prima per l’apertura del bacino amerasico e poi per quello eurasiatico. Quando ancora il bacino euroasiatico doveva aprirsi si trovava accanto alla piattaforma continentale del mare di Barents, quindi era il prolungamento verso nord della piattaforma continentale del mare di Barents, a nord della Scandinavia e della penisola di Kola.
Sulle sponde dell’Oceano Polare Artico affiorano rocce deformate da eventi orogenici piuttosto antichi, il più recente dei quali dovrebbe essere l’orogene di Taymir: si trova sulla ampia penisola omonima della costa siberiana, e la sua costruzione si è conclusa nel mesozoico inferiore quando la Siberia si scontrò con il blocco di Kara (all’epoca parte di un territorio ben più esteso ora disperso, appunto, dalla successiva apertura dell’Oceano Artico).
La storia del bacino amerasico è complessa (e ancora un po' controversa): per fortuna se si parla della dorsale di Gakkel e del bacino eurasiatico non occorre infilarsi nel ginepraio che sono le ipotesi sulla sua storia: segnalo solo che ha dei rapporti con la HALIP, una delle tante Large Igneous Provinces cretacee. Di recente qualche lavoro ha tentato, proficuamente, una sintesi, per esempio quello di Døssing et al (2013) [1].

IL BACINO EURASIATICO. Il bacino eurasiatico, è invece – per fortuna – più semplice dal punto di vista geologico e geodinamico: si tratta di un bacino oceanico a tutti gli effetti, la cui crosta è il risultato dell’espansione a partire dalla dorsale di Gakkel. Questa dorsale oggi è l’ultimo, estremo, ramo del grande sistema interconnesso di dorsali medio-oceaniche del globo terrestre, ma è interessante notare come quando è iniziata l’espansione del bacino Euroasiatico (e quindi la attività di questa dorsale) oltre 55 milioni di anni fa, nel tardo Paleocene, la dorsale Gakkel si è trovata in una posizione isolata: Europa e America Settentrionale erano unite dalla Francia in su perchè l’Atlantico settentrionale ha iniziato ad aprirsi nel settore nordeuropeo poco dopo, a partire dalla messa in posto dei basalti della Provincia Magmatica dell’Atlantico settentrionale (NAIP). ci sono poi voluti altri 20 milioni di anni prima che Svalbard e Groenlandia si separassero fra loro, 35 milioni di anni fa. La separazione fra Eurasia e America settentrionale a nord dell’Islanda e la formazione del settore oceanico che congiunge l’oceano Artico all’Atlantico per la sua complessità fa invidia anche al bacino amerasico, anche se è meglio compresa perché si trova in una zona meno difficile da studiare: tanto per dire, nei 1500 km che separano Islanda e Svalbard esistono ben 3 piccole dorsali attive (Kolbeinsey, Mohns e Knipovich), una dorsale fossile (Aegir), 3 punti caldi fra certi e probabili (Islanda, Jan Mayen e Yermak) e persino un microcontinente (Jan Mayen), la cui storia ricorda quella di un altro microcontinente da tutta un’altra parte (quello delle Seychelles) e varie faglie di importanza regionale. Anche la stratigrafia e il tipo di crosta di alcune di queste aree, specialmente quelle settentrionali come a nord delle Svalbard il plateau di Yermak, sono ancora piuttosto incerti [2] 

Carta del bacino Eurasiatico da [4]: come si vede il bacino è più largo ad ovest
dove la velocità di espansione è maggiore
ANATOMIA DELLA DORSALE DI GAKKEL. La Gakkel si estende per circa 1800 km tra la Groenlandia settentrionale e il mare di Laptev che bordeggia le coste centrosettentrionali della Siberia e nel quale la dorsale prosegue in un'area soggetta ad estensione ma che (ancora?) non ha iniziato ad aprirsi al punto di produrre crosta oceanica: il rift del mare di Laptev, essendo un rift allo stadio iniziale sarebbe un eccezionale laboratorio per capire come un continente si rompe e da un rift si sviluppa una divergenza fra i due lati della crosta continentale: solo nel corno d'Africa abbiamo attualmente una situazione simile[3]. Purtroppo come per la Gakkel il problema del mare di Laptev è la sua difficile accessibilità. 
Il sistema dorsale di Gakkel - rift del mare di Laptev costituisce il limite di placca fra America settentrionale ed Eurasia, limite che prosegue verso l’interno della Siberia, dove mostra di essere trascorrente, fino alla cintura di fuoco del Pacifico: non tutti sanno che la parte più nord-orientale della Siberia è nella placca nordamericana! Nella carta qui sotto generata con l’Iris Earthquake browser si nota bene la sismicità lungo il margine fra le zolle, che dall'oceano prosegue nell'interno della Siberia. 

La valle assiale della dorsale di Gakkel è molto ben definita, vi si trovano molti centri vulcanici ed è sede di una intensa attività sismica a bassa profondità, che però fono a pochi anni fa è stato difficile rilevare a causa della distanza. In questa immagine tratta da [4] si vede come il bacino Eurasiatico è più largo nella parte occidentale che, non casualmente, è quella che si espande più velocemente.
Ho detto che se fosse in una zona più ospitale sarebbe una delle dorsali più studiate; il motivo è che si tratta della dorsale a minore tasso di espansione attualmente esistente, con valori compresi tra 0,6 e 1,5 centimetri all’anno. È quindi un termine estremo nel sistema e per questo sede di alcune caratteristiche particolari, previste dalla modellistica:

  • uno spessore crustale minimo, compreso fra i 5 e i 2 km, ma nella zona meno attiva arriva addirittura a 1,5 km
  • una attività vulcanica e tettonica simile a quella della dorsale medio – atlantica, sia pure in tono minore, giustificato dalla bassa velocità di espansione
  • la valle assiale (la depressione che troviamo nelle dorsali medio-oceaniche) è più profonda ed evidente che altrove (altra conseguenza della bassa velocità di espansione) ed è contraddistinta da numerosi edifici vulcanici. Il suo fondale si trova fra i 3500 (nella zona occidentale) e i 5500 metri di profondità


La sismicità con M>5 al limite fra la placca euroasiatica e quella Nordamericana
tra la parte meridionale della dorsale di Gakkel e la Siberia
elaborazione da Iris Earthquake Browser
Da un punto di vista sismo-tettonico e vulcanico la dorsale di Gakkel si può dividere in tre distinte zone di cui due, quelle laterali, sono molto attive, mentre in mezzo si trova un segmento in cui l’attività è più sparsa. 
È interessante notare come ci siano divergenze nel chimismo del vulcanismo fra le due zone estreme: sotto la parte ad ovest, verso la Groenlandia, il mantello da cui provengono i magmi ha la cosiddetta “anomalia DUPAL” [5]. Si tratta di rapporti diversi dal normale nella composizione isotopica di piombo e stronzio. L'anomalia è presente anche nell’attività basaltica delle Svalbard, che si è protratta fino a tempi molto recenti (100.000 anni fa). L’anomalia DUPAL è frequente nell’Oceano Indiano e, talvolta, nell’Atlantico meridionale ma mai nell’emisfero settentrionale. La sua origine è piuttosto controversa; nell’oceano Artico è probabilmente dovuta al fatto che questi magmi si sono originati da un mantello che stava sotto ai continenti.
Il limite fra i magmi contenenti l’anomalia DUPAL e quelli “normali” è piuttosto brusco ed è posto nella zona centrale, quella a minore attività vulcanica.

I MAGMI E I TUFI DELLA PARTE ORIENTALE DELLA DORSALE DI GAKKEL. Nella parte orientale della dorsale ci sono dei normalissimi basalti MORB (basalti di dorsale medio – oceanica). Una spedizione del 2007 ha studiato una zona che nel 1999 era stata interessata da una serie di eventi sismici correlati con una eruzione vulcanica: la valle assiale è caratterizzata come altrove dalla presenza di parecchi crateri vulcanici, tipicamente larghi tra 1,5 e 2 km e alti tra 300 e 500 metri [6]. Ma c’è stata anche una sorpresa: sono stati trovati dei tufi. Appurato che si tratta davvero di tufi e non di hyaloclastiti (frammentazione post – eruzione della parte superiore delle lave basaltiche), e che la loro provenienza è locale, la cosa ha destato un po' di stupore vista la profondità di oltre 4000 metri in cui si trovano: la formazione di tufi nei mari a profondità maggiori di qualche centinaio di metri è considerata generalmente molto difficile a causa della pressione idrostatica, la quale sarebbe sufficiente a bloccare la fuoriuscita violenta dei gas, il fenomeno che è alla base della formazione dei tufi. Le superfici butterate caratteristiche dei cuscini di lave basaltiche eruttate a grande profondità sono proprio dovute all’intrappolamento dei gas sulla parte alta del cuscino a causa della pressione idrostatica.
Ora, è evidente che se questi tufi ci sono c'erano le condizioni perché si formassero. La spiegazione più plausibile è la presenza di un tenore molto alto di CO2 in questi magmi [7], valore che nel lavoro sulla spedizione del 2007 è stato stimato in circa il 14% contro l’1,4% di un normale basalto MORB
Si badi bene: questi tufi non sono una cosa molto grande, essendo spessi al massimo 15 cm.

Da tutto questo qualcuno ha dedotto che sulla dorsale di Gakkel ci sia il rischio della presenza di un supervulcano… confondendo (volutamente?) il tenore di gas con la pressione (che poi, la pressione da sola basta per “fare” un supervulcano?). Ora, pensare a 15 cm di tufi come traccia della possibile presenza di un supervulcano e che un supervulcano possa essere prodotto dove si producono dei normalissimi basalti MORB di dorsale medio-oceanica non è neanche fantageologia, ma idiozia totale… Ma da gente negazionista del riscaldamento globale possiamo aspettarci questo ed altro…

[1] Døssing et al 2013 On the origin of the Amerasia Basin and the High Arctic Large Igneous Province—Results of new aeromagnetic data Earth and Planetary Science Letters 363 (2013) 219–230
[2] Geissler et al 2011 The Yermak Plateau in the Arctic Ocean in the light of reflection seismic data—implication for its tectonic and sedimentary evolution - Geophysical Journal International 187, 1334-1362
[3] Mazur et al 2015 Extension across the Laptev Sea continental rifts constrained by gravity modeling Tectonics 34, 435–448
[4] Berglar et al 2016 (2016) Initial Opening of the Eurasian Basin, Arctic Ocean. Front. Earth Sci. 4:91. doi: 10.3389/feart.2016.00091
[5] Goldstein et al 2008 Origin of a ‘Southern Hemisphere’ geochemical signature in the Arctic upper mantle Nature 453, 89-93
[6] Sohn et al 2008 Explosive volcanism on the ultraslow-spreading Gakkel ridge, Arctic Ocean Nature 453, 1236 - 1238
[7] Head & Wilson 2003 Deep submarine pyroclastic eruptions: theory and predicted landforms and deposits. J. Volcanol. Geotherm. Res. 121, 155–193