venerdì 8 dicembre 2017

L'origine di Animalia e le principali parentele fra i gruppi che lo compongono



Il 2017 ha visto uscire alcuni lavori che si sono occupati delle parentele fra i vari gruppi che compongono Animalia usando dati genetici. I dati sono in qualche modo sorprendenti perché propongono una visione che comporta una sovversione della vecchia ipotesi di quella che possiamo chiamare la "complessità crescente": gruppi dalla struttura più semplice come spugne e placozoi potrebbero essersi originati da gruppi che dall'inizio del Cambriano mostrano una complessità maggiore. Quindi o la complessità è emersa più volte o in qualche caso è stata persa. Comunque è confermato che l'esplosione del Cambriano è avvenuta quando Animalia era già presente e non da poco.



LA RICOSTRUZIONE DELL'ALBERO DELLA VITA. Per ricostruire la storia e l’evoluzione della vita (attuale e fossile), e quindi in buona sostanza le parentele e le divergenze da antenati comuni, fino a non molti decenni fa gli unici criteri possibili erano la morfologia delle forme esistenti e di quelle fossili e la loro distribuzione nello spazio e nel tempo. Il che non è sempre esaustivo specialmente guardando al passato, considerando la scarsità di testimonianze fossili: la percentuale di organismi con parti dure di cui è rimasta traccia è davvero scarsa (ed è scarsissima specialmente fra gli altri animali che vivono sulla terraferma), per non parlare di quella quella degli animali dotati solo di parti molli. Inoltre con la paleontologia abbiamo notizie di una linea solo dalle sue prime testimonianze fossili, che, appunto, ci forniscono un dato minimale e cioè il classico “non più recente di”. Un problema enorme, ad esempio, per ricostruire la storia più antica dei Primati, animali arboricoli che vivono in un ambiente dove la fossilizzazione è praticamente impossibile. 
Negli ultimi decenni per questi scopi si sono aggiunti i dati molecolari, con i quali si riesce  a diminuire le indeterminatezze dovute alla mancanza di testimonianze fossili, avendo a disposizione un po' di materiale genetico con cui si possa fare dei confronti. Ciò può essere fatto anche con specie estinte da sufficientemente poco tempo, come è successo per i neandertaliani o per gli ultimi mammiferi placentati estinti dell’America meridionale (litopterni e notoungulati). 
Il fatto che ci sia un accordo generale fra dati biologici, paleontologici e molecolari era prevedibile, ma andava provato; comunque qualche volta delle sorprese ci sono effettivamente state ed è interessante notare come questi dati apparentemente sorprendenti sono talvolta stati confermati da nuovi reperti fossili; un caso esemplare è quello dei cetacei.
Sia le analisi morfologiche che quelle genetiche sono svolte con un classico approccio bayesiano (cosa sulla quale non metto bocca non essendo il mio campo… mi limito a linkare cosa dice Wikipedia in merito...) per cui i risultati di queste analisi non sono sempre univoci: metodi di calcolo, una velocità variabile del tasso di mutazione, una quantità di campionamenti differente o maldistribuita in vari gruppi possono portare a risultati differenti e, aggiungo, alle conseguenti vivaci polemiche. Non insisto su questo punto non essendo assolutamente un esperto di queste metodologie; diciamo che di queste analisi sono, comunque, un fruitore interessato.


L'ORIGINE DEGLI ANIMALI: BEN PRIMA DEL CAMBRIANO. Fra tutti questi studi genetici uno che mi interessa particolarmente è l’origine di Animalia: quella che dal XIX secolo è nota come “esplosione del Cambriano” (espressione con cui si crogiolano al sole gli antievoluzionisti che non hanno capito niente di tutto questo) altro non è che una gigantesca radiazione evolutiva, svoltasi in un tempo relativamente breve ma non istantanea, in cui assistiamo alla definitiva affermazione di animali dotati di una struttura complessa. Durante questo fondamentale episodio evolutivo sono già rappresentati la maggior parte dei grandi raggruppamenti di animali, i “phila”, anche se ci sono alcuni fossili molto discussi, probabilmente perché appartengono ad un qualcosa che può essere ancestrale a più raggruppamenti.  
Ho detto che “compaiono nella documentazione fossile”, perché la loro complessità faceva, appunto, presagire una storia pregressa, confermata successivamente dai dati dell’orologio molecolare.
I problemi fondamentali per questa ricostruzione dal punto di vista paleontologico sono essenzialmente due: la non abbondanza attuale di sedimenti di quella remota epoca e la mancanza di organismi con parti molli. A questo secondo aspetto per fortuna hanno posto in parte rimedio degli intensi fenomeni di anossia che hanno permesso in alcuni casi la conservazione di fossili di animali molli, come nel caso dei leggendari Burgess shales.

Uno Ctenoforo
I risultati dell’orologio molecolare portano alla conclusione che alcuni esponenti di Animalia fossero già presente prima dell’esplosione del Cambriano, la quale è stata semplicemente una occasione che  ha reso possibile a queste forme una facile e completa colonizzazione del globo terrestre. Sulle cause di questo fenomeno ci sono parecchie ipotesi ed è stata sicuramente un evento complesso, tra cambiamenti geologici, atmosferici e faunistici. Anche io ho delle idee in proposito, ma dato che sostengo che per dire una cosa bisogna avere in mano dei dati, per adesso preferisco astenermi.


La scoperta di alcuni fossili di probabile appartenenza ad Animalia e di alcune tracce ed impronte databili appunto all’Ediacariano (635–541 Ma) ha confermato il quadro. La cosa però non è semplice: nell’Ediacariano la vita era molto diversa da quella attuale, con forme di vita che a noi appaiono quasi “aliene”.  Alcune di queste dovrebbero appartenere ad Animalia mentre molte altre sono state classificate come “Vendozoa” (le cosiddette ”faune di Ediacara”). Ne segue che le idee su cosa fossero quelle forme di vita sono ancora estremamente variegate e i Vendozoi in senso stretto per una buona parte dei ricercatori – ma non per tutti – non sono neanche animali (è un discorso molto complesso di cui evito qualsiasi accenno in questa sede)

Purtroppo non essendoci discendenti attualmente riferibili a questi esseri, trovarne il posto nell’albero dei viventi è difficile e, in ogni caso, non è possibile applicare nessun metodo genetico.



I PRINCIPALI RAGGRUPPAMENTO DI ANIMALIA. È evidente quindi che, problema dei Vendozoi a parte, la biologia molecolare rimane allo stato attuale delle cose l’unico sistema per capire quando e come gli animalia si sono diversificati.

Innanzitutto è meglio per i non addetti chiarire la terminologia.


METAZOI: l'insieme di tutti gli organismi pluricellulari Eucarioti compresi nel regno animale. In pratica Metazoa è sinonimo di Animalia, che comprende cinque linee principali:



1. PORIFERI: banalmente, si tratta delle spugne, ma bisogna essere scientificamente corretti. Non hanno apparati di nessun genere e il nutrimento arriva all’interno grazie all’acqua che circola nei pori. Anche l’organizzazione cellulare e quella fra gli organismi è tipica ed esclusiva.
2. PLACOZOI: altra linea di Animalia molto semplici. Sono talmente diversi dal resto di Animalia che per qualcuno sono addirittura un sottoregno a se stante. A dir la verità non sono neanche particolarmente numerosi, dato che in questo momento ne è nota una sola specie, Trichoplax adhaerens, studiatissima a causa della sua unicità e che mostra una varietà genetica notevole. Non hanno un nome comune.. per saperne di più consiglio questo meraviglioso post di Lisa Signorile
3. CTENOFORI: sono degli esseri che vivono nei mari, dotati di ciglia che servono loro per nuotare, come fanno tanti protozoi (anzi, sono gli esseri viventi più grandi che usano le ciglia per muoversi). Alcuni sono dotati pure di tentacoli. Si potrebbe essere portati a pensare che siano piccoli, e difatti in genere sono lunghi al massimo qualche cm, a parte qualcuno come le “cinte di Venere” del Mediterraneo che passano il metro. Come le meduse, con le quali sono stati a lungo confusi, sono ammassi gelatinosi e siccome le ciglia si dispongono come i denti di un pettine, sono note come comb jellies (gelatine a pettine… in inglese le meduse sono jellyfish, letteralmente pesci gelatinosi) e hanno una cavità interna che contiene il sistema digerente, con la bocca ad una estremità del corpo.
4. CNIDARI. Sono i coralli e le meduse. Ai miei tempi si chiamavano celenterati… ma all’epoca anche gli Ctenofori erano compresi in questa denominazione: il momento che si è reso evidente che le “meduse a pettine” fossero un’altra cosa questo termine è stato abbandonato. 
5. BILATERI: tutti i gruppi visti in precedenza non hanno una simmetria bilaterale: le spugne non hanno una forma propria, i Placozoi sono poco più che un foglio che cambia di forma di continuo, Cnidari e Ctenofori hanno una simmetria radiale e in qualche modo potrebbero sembrarlo. I veri Bilatera hanno invece una simmetria bilaterale ben precisa e, indicando solo i phyla principali, si dividono essenzialmente in 3 macrogruppi:

  • Deuterostomia (Cordati, Emicordati ed Echinodermi)
  • Ecdysozoa (Arthropodi e Nematodi)
  • Lophotrochozoa (Molluschi, Anellididi, Briozoi)



A queste definizioni affianco il termine EUMETAZOI: bilatera, cnidaria e ctenophora insieme formano (anzi, formerebbero) gli eumetazoi (al solito il prefisso “eu” è piuttosto antropocentrico..  all’interno delle forme viventi facciamo parte degli “eucarioti”, nei metazoi (o animalia) siamo all’interno degli “eumetazoi” e, tra i mammiferi, siamo compresi negli “euteri”...)



Le parentele fra i principali raggruppamenti di Animalia in [2]:
si vede come il criterio dominante è la maggiore complessità cellulare
L'ORIGINE DI ANIMALIA E LE PARENTELE AL SUO INTERNO. Allora, ricapitoliamo: all’inizio del Cambriano troviamo esponenti di quasi tutti i phila attuali di Animalia, ma i reperti fossili più vecchi sono scarsi e spesso interpretati in maniera controversa (in particolare qualcuno è visto a seconda dei ricercatori come un esponente di Animalia o di Vendozoa). Alcuni reperti consistono in delle semplici tracce fossili di animali che vivevano scavando il fondo marino, spesso attribuite ad attività di qualcosa riferibile ad anellidi basali. Ne segue che la genetica delle forme attuali è l’unica via praticabile per capire l’origine di Animalia e soprattutto le relazioni fra i 5 gruppi principali.


Nella marea di lavori che se ne occupano fra i più recenti non solo confermano che i primi Metazoi sono ben più antichi del passaggio Ediacariano – Cambriano, ma addirittura portano la loro origine al Toniano, il primo periodo del Neoproterozoico (1000–720 Ma) [1]. Quindi Animalia (comunque ancora senza esponenti di Bilatera) sarebbe comparso addirittura prima della definitiva ascesa a valori simili a quelli attuali dell’ossigeno atmosferico e della seconda brusca caduta del CO2 atmosferico  che ha determinato gli episodi di Terra  - Palla di Neve del Criogeniano, quando la Terra fui coperta dai ghiacci anche nelle zone equatoriali (720–635 Ma).



La soluzione più logica vorrebbe che i poriferi siano il gruppo più antico, perché sono quelli dotati di struttura più semplice. Insomma, è giustificata dal fatto che le spugne (ma anche i placozoi) sono privi di caratteristiche condivise, a livello elementare, dagli Eumetazoi, come forma propria, neuroni, muscoli e apparato boccale – digerente. Queste innovazioni, quindi, sarebbero comparse nell’antenato comune di tutti gli Eumetazoi. Gli antenati dei Placozoi si sarebbero staccati da quelli degli Eumetazoi un po' dopo quelli delle spugne [2].

Si tratta del punto di vista teoricamente più logico. Il problema è che i dati genetici nei lavori apparsi nel 2017 non sono d’accordo su questo; in particolare emerge nuovamente il “caso – ctenofori: già nel 2007 era stato ipotizzato sulla base di dati genetici che il quadro di “complessità crescente”, e cioè l’ordine spugne →  placozoi → ctenofori → cnidari →  bilateri poneva qualche problema genetico, in quanto gli ctenofori sembravano essere il gruppo più antico [3], ma gli Autori stessi del lavoro espressero dei dubbi sul risultato. 
La filogenesi di Animalia secondo [6]
Un lavoro comparso su Nature Ecology Evolution nel 2017 considera nuovamente le meduse a pettine come gruppo più antico [4]. Questo, ovviamente, ripropone in maniera clamorosa un problema non da poco: se alla base di Animalia ci sono gli Ctenofori o le caratteristiche comuni degli eumetazoi sono venute fuori due volte (a partire dall’apparato digerente) dopo la divergenza fra Ctenofori e gli altri Animalia o tali caratteristiche negli antenati di spugne e placozoi sono andate perdute andando incontro ad una “semplificazione”. La prima ipotesi è chiaramente contraria al principio della “massima parsimonia”, ma ha un risvolto affascinante anche in chiave di astrobiologia: le mutazioni sono frutto del caso ma non è casuale che alcune si fissino e altre no e in un essere pluricellulare che si muove saranno favorite le mutazioni grazie alle quali certe funzioni come la bocca e gli organi sensoriali principali tendono a trovarsi nella porzione anteriore del corpo. Però la seconda ipotesi è, tutto sommato, più possibile, specialmente se queste caratteristiche erano ancora in via di definizione. La prima ipotesi necessita, per essere dimostrata, di una struttura ed una origine embrionale diversa delle varie funzioni del corpo tra cnidari e gli altri Eumetazoi, a partire dall'apparato digerente che, comunque, appare un pò diverso fra gli Ctenofori e gli Cnidari. 
Altri ricercatori, sempre nel 2017, in due lavori diversi comparsi su Current Biology considerano invece valido il fatto che le spugne siano i primi esponenti di Animalia, ma il problema di una "diminuzione della complessità" anzichè gli Ctenofori riguarda i Placozoi. Un gruppo sostanzialmente francese ha utilizzato ben 1719 geni evidenziando un antenato comune fra le spugne da un lato e il gruppo Placozoi + Eumetazoi dall’altro. Gli Ctenofori verrebbero fuori come gruppo evolutosi in parallelo agli altri tutti insieme solo se vengono presi i dati di poche spugne. Comunque anche in questo caso gli Ctenofori si distaccano dagli altri gruppi prima che gli antenati dei placozoi si siano staccati  da quelli di cnidari + bilateri [5]. 
Allo stesso risultato arriva una ricerca pubblicata da un team anglo- franco – tedesco in cui spicca il “nostro” Davide Pisani, classico caso di cervello italiano che ha trovato la sua realizzazione all’estero, ora a Bristol [6].
È evidente che in questo modo il problema che in [4] si pone per spugne e placozoi in questi ultimi due lavori si pone lo stesso, anche se limitatamente ai placozoi, ai quali i mancano alcune caratteristiche comuni agli eumetazoi: le hanno perse con il tempo o sono venute fuori indipendentemente negli Ctenofori da un lato e nel gruppo cnidari + bilateri dall’altro? 


Quindi dal punto di vista genetico le ricerche stanno risolvendo il caso dell’origine di Animalia, anche se i risultati sulle parentele dei gruppi sono ancora in leggera discussione. Quanto all’età del gruppo, è assodato dunque che la loro storia inizia qualche centinaio di milioni di anni prima dell’esplosione del Cambiano, che è stata semplicemente una occasione di sviluppo di cui il gruppo ha ampiamente approfittato. 



[1] Dohrmann & Wörheide  2017 Dating early animal evolution using phylogenomic data Scientific Reports | 7: 3599 | DOI:10.1038/s41598-017-03791-w 
[2] Ax P. 1996. Multicellular animals: a new approach to the phylogenetic order in nature, Vol. 1. Berlin (Germany): Springer. 
[3] Dunn et al 2007 Broad phylogenomic sampling improves resolution of the animal tree of life. Nature 452,745–749 
[4] Whelan et al 2017. Ctenophore relationships and their placement as the sister group to all other animals  Nat Ecol Evol. 2017 Nov;1(11):1737-1746. doi: 10.1038/s41559-017-0331-3 
[5] Simion et al 2017 A Large and Consistent Phylogenomic Dataset Supports Sponges as the Sister Group to All Other Animals. Curr Biol. 2017 Apr 3;27(7):958-967. doi: 10.1016/j.cub.2017.02.031

 
[6] Feuda et al 2017 Feuda et al., Improved Modeling of Compositional Heterogeneity Supports Sponges as Sister to All Other Animals, Current Biology (2017), https://doi.org/10.1016/j.cub.2017.11.008


martedì 28 novembre 2017

La triste vicenda del Gran Sasso e la necessità di comunicare la Scienza


Come introduzione, copio quanto scritto da Federico Carta, fisico italiano attualmente dottorando a Madrid, che riassume bene la situazione:

MEDIOEVI CONTEMPORANEI, UNA SCHEMATICA STORIA TRISTE IN 15 PUNTI:

1) Nel Bel Paese esiste una montagna, chiamata Gran Sasso
2) Sotto alla montagna esiste una grande caverna, costruita dall'uomo
3) Dentro alla caverna esistono dei laboratori di ricerca di prestigio internazionale, in fisica delle particelle
4) In primavera si farà un nuovo esperimento, chiamato SOX. Non sto a spiegare a cosa serva, tanto non vi importa nulla comunque. E' un esperimento unico al mondo, e la cosa figa è che "ce lo invidiano tutti", perché non lo fanno mica i giapponesi, i russi o gli americani. Lo facciamo noi
5) L'esperimento SOX, per funzionare, usa 40 grammi di una sostanza radioattiva, chiamata Cerio-144
6) Anche un sasso emette radiazioni. Anche vostra nonna lo faceva, e per un bel po' ha continuato anche dopo morta. Anche la cacca del cane. Non è che se una cosa emette radiazioni allora è cattiva per forza: io a mia nonna le voglio bene! Altro esempio, sorgenti radioattive sigillate, proprio come quella di SOX, vengono usate oggigiorno in vari ospedali per eseguire diagnosi o terapie varie
7) Nel caso di SOX, la sostanza se ne sta li ferma ed emette radiazioni. Questo è ESTREMAMENTE DIVERSO rispetto a quello che si fa in una centrale nucleare, dove invece una sostanza radioattiva viene bombardata con particelle più piccole, e "si spezza"
8) Accostare il nome SOX al nome Fukushima è un errore grossolano (direi un errore scientemente voluto per fare effetto, con una disonestà intellettuale devastante NdR). SOX non può "esplodere", nemmeno volendo deliberatamente ed impegnandosi sul serio affinché succeda
8bis) La sostanza radioattiva sta chiusa dentro due contenitori concentrici di acciaio, con pareti di 20 cm, in grado di resistere temperature di 1700 gradi, a prova di terremoto, a prova di inondazione, a prova di frana, a prova di vulcano, costruite appositamente per SOX soddisfacendo i massimi standard di sicurezza internazionali
9) Nadia Toffa un giorno si sveglia, e decide che tutto questo è scandaloso. Fa una puntata di del suo programma Le Iene, in cui spiega perché secondo lei l'esperimento SOX è pericoloso
10) Le Iene non è un programma di informazione, ma semplicemente un programma di intrattenimento. Tipo il Wrestling, ma un po' più finto
In molti, però, non se ne rendono conto
10) Decine e decine di fisici, teorici e sperimentali dell' Istituto Nazionale di Fisica Nucleare si esprimono pubblicamente, argomentando come mai l'esperimento è assolutamente sicuro. Gente che ha studiato insomma
11) Decine e decine di fisici, teorici e sperimentali, non sono poi esseri umani coglioni, e cercano anche loro di sopravvivere: non andrebbero a lavorare ogni giorno in un posto che reputano pericoloso
12) Il servizio di Nadia Toffa fa scandalo. La gggente impazza, e scende in piazza. Il cugino di mio cugino mi ha detto che se il cerio va nell'acqua divento analfabeta funzionale anche io. Oddio, non voglio!
13) Il movimento 5 stelle abruzzo vota al'unanimità che l'esperimento debba essere fermato. E a meno di colpi di scena e clamorose marce indietro, così sarà
14) Io vengo preso per il culo da amareggiati colleghi di tutto il mondo, per la stupidità dei miei compaesani
15) Ora chiedetevi di nuovo come funzioni la fuga dei cervelli.
E sopratutto perché.
Peace.


La commissione regionale vota contro SOX una risoluzione dai 5 stelle:
ignoranza o paurosa demagogia da parte degli altri partiti?
Il rischio è davvero il medioevo, la rivolta contro la Scienza e il ritorno a magia, astrologia e superstizioni in genere, con l'università della vita e la iutiùb iunivèrsiti che prendono il posto delle istituzioni ufficiali. Come è superstizione la paura per quello che succede al Gran Sasso, dove quei 35 grammi di Cerio 144 stanno diventando la sostanza radioattiva più famosa d’Italia, grazie a un personaggio che vive per fare confusione e il servizio con lui fatto dalle Iene, trasmissione televisiva questa che ha già la coscienza sudicia sia con la storia di Stamina (uno dei più ignobili casi di abuso della credulità popolare, tantopiù sfruttando la mancanza di conoscenze scientifiche di persone disperate perché malate di male incurabile e/o familiari di) che con quella di Blu whale. Ma che continua purtroppo ad essere seguita... 
Insomma, l’Augusto personaggio (di nome e di fatto) intervistato da quel programma fintamente giornalistico si mette a blaterare di ipotetici ed assurdi rischi che correrebbero popolazione, falde acquifere e quant’altro a causa dell’esperimento noto come SOX.
Non sono un fisico né un esperto di leggi, e quindi non discuto dell’esperimento da nessun punto di vista, perché non ho nessuna autorevolezza in materia. Però, facendo parte del mondo scientifico, non solo ho ragione di pensare che non ci sia niente di pericoloso, ma invece sia, al contrario, una ottima cosa per la ricerca italiana. Perché me lo assicurano gli scienziati, perché il laboratorio ha resistito ai terremoti e non ci passa dentro nessuna faglia, perché è più difficile che escano da quel contenitore in tungsteno quei pochi grammi di sostanza radioattiva di quanto è difficile una fuoriuscita di materiale radioattivo, o una sua asportazione, da un macchinario di ospedale: aboliamo allora la medicina nucleare perché è pericolosa e almeno una volta si è verificato, con almeno 4 morti, un furto di materiale radioattivo?
L'assurdità di questa storia sono i dubbi lanciati nell'etere senza prove scientifiche e legali che supportino le accuse, apparizioni in trasmissioni che riportano solo una parte della discussione senza contraddittorio, una strategia che mira maggiormente al sensazionalismo e al danno inferto che alla risoluzione del (sospetto e ancora non provato) problema. 
Beatrice Magnani, una geologa italiana che vive, studoa ed insegna negli Stati Uniti, scrive "ed e' forse questo che rattrista di più. Il fatto che "ambientalisti del pressappochismo" stiano velocemente erodendo la credibilità di esperti che lavorano per una simbiosi sostenibile tra uomo e ambiente, appiattendo la gamma di competenze in un unico paesaggio di mediocrità in cui tutto e' valido e possibile finché non è provato il contrario.
Purtroppo tra poco gli esperti non ci saranno piú, o almeno verrano nominati solo nel momento di attribuire la colpa di falsificazione dei dati.
Così come l'INGV rischia di venir sommerso da chi pretende di assegnare la magnitudo per alzata di mano, in base a come si è mosso il suo letto" (confondendo l'energia liberata con l'accelerazione cosismica e quindi pretendendo persino di misurare in pesche quello che va misurato in arance.., NdR).
Constantin Bandinelli, un ragazzo appena iscritto a Scienze Geologiche che mi ricorda per passione e voglia di imparare il sottoscritto alla sua età mi ricorda che Galileo diceva nel 1630 "bisogna rifare i cervelli". Discorso quanto mai attuale. Il problema di fondo è che Galileo voleva far fare ai cervelli un "salto in avanti", qui abbiamo bisogno di evitarne un "salto all'indietro". Oggi si crede che essendoci internet basti rovistarci dentro per essere dotti su un argomento, senza preoccuparsi di come si cerca e di cosa, tantomeno dell'autorevolezza di quello che si legge.
Basta vedere la questione delle fake-news, alla quale il servizio delle Iene appartiene completamente.

Il mitico comunicato sul "tunnel da Ginevra al Gran Sasso"
IL BEL PAESE E I SUOI PROBLEMI. In nessuna altra parte del mondo un esperimento del genere verrebbe visto come un rischio; anzi sono convinto che la popolazione locale sarebbe orgogliosa di ospitare una cosa del genere e ne parlerebbe con entusiasmo.
Ma noi siamo il Paese delle bufale, dell’anti-scienza… un Paese dove da secoli l’italiano medio deve barcamenarsi tra il Monsignore, il signorotto e i notabili che lo circondano, un Paese di sudditi (paradossalmente sono più “cittadini” Olandesi, Belgi e Britannici, pur vivendo in una monarchia anziché in una Repubblica…) in cui ciarlatani, vati, oracoli e sibille sono più ascoltati degli uomini di Scienza. 
Non è un caso se noi siamo la patria di Di Bella, Stamina, Giuliani ed altri apprendisti stregoni previsori di terremoti, il Paese dei NO-TAV, NO-TAP, NO-TRIV, NO-VAX, No inceneritore, No a tutto, dei terremoti causati dalle “trivelle (continua a non essermi chiaro se il termine trivelle si riferisca a “perforazioni” o a “pompaggi” o a tutti e due), se non addirittura causati dal fracking (peraltro vietato per legge a furor di popolo: peccato che non essendoci in Italia le rocce adatte per farlo è come aver vietato nel territorio nazionale la caccia all’orso bianco…). E per questo siamo il Paese del Nimby all’eccesso, dove partiti politici “alternativi” sposano in pieno queste cause per meri fini elettoralistici.
E siamo un Paese in cui nelle Regioni Rosse le cooperative dello stesso colore dominano l’economia, come la domina in quelle bianche la Compagnia delle Opere (ogni riferimento ad un “past-president” della Lombardia è puramente voluto) e nessuno si scandalizza o invoca conflitti di interesse quando esponenti di queste cooperative entrano nelle giunte regionali, come nessuno ritiene che persone che hanno come riferimento l’Opus Dei possano ricoprire ruoli importanti nell’economia, nella politica e nell’informazione (per non parlare di personaggi in odor di mafia), ma viene considerata una enorme macchia essere un Massone...

Fondamentalmente questa storia è frutto di 3 problemi. 
La percentuale di PIL i ricerca & sviluppo in Europa:
notate chi sta sopra e chi sta sotto di noi e traete le conseguenze
1. UNA CLASSE DIRIGENTE DA OPERETTA. Il primo problema che abbiamo, ovviamente, è la scarsa autorevolezza della peraltro scadente classe dirigente italica, di cui quella politica è la punta dell’iceberg. Classe allevata a raccomandazioni, ma non di quello più capace come succede nel resto del mondo, ma dell’amico del cuggggino, che poverino, ha bisogno di lavorare… e una qualità essenziale del cuggino è l'essere stupido.. così nessuno corre il rischio di essere sopravanzato...
Questo porta ad una totale sfiducia nelle istituzioni, fra le quali ci sono anche quelle scientifiche, e in grandi consensi a chi si rivolge espressamente contro queste istituzioni. Lo so: pare ridicolo, che gli scienziati siano considerati “classe dirigente”, visto il disinteresse della politica e non solo nei confronti di Scienza, tecnologia e ricerca in materia. Quanto al rapporto politica – scienza, proprio il Gran Sasso è stato teatro della comica storia del tunnel Gelmini… E non è un caso quindi neanche che siamo uno dei fanalini di cosa come percentuale di PIL impiegato in materia... 
La domanda al solito è “quanti politici capiscono che per creare lavoro più che una leva fiscale servirebbero ricerca & sviluppo?”. Dall’assunzione che anche gli scienziati sono “classe dirigente”, consegue che la Scienza tutta ad avere la stessa stima della classe dirigente, considerata Scienza ufficiale cattiva e venduta mentre godono di popolarità i ricercatori indipendenti, quelli sì generosi e vogliosi di aiutare in maniera disinteressata il popolo, anche se convegni pubblici sulla Scienza sono normalmente gratuiti mentre spesso questi santoni organizzano eventi “a pagamento” (ogni riferimento ad un noto personaggio NOVAX spacciato per medico dai suoi seguaci è anche questo puramente voluto). Chiaramente con una mentalità del genere a millantatori e complottisti basta invocare rischi assurdi per sbarcare il lunario...

2. CRONICA ASSENZA DI “COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE. Da noi la "comunicazione istituzionale" è da barzelletta. E c'è bisogno che in questo caso il mondo scientifico si faccia sentire
Ad esempio se da noi i cantieri delle opere pubbliche sono segretissimi e “guardati a vista”, all’estero (ma anche in Alto Adige..) vengono organizzate persino frequentatissime visite guidate in loco …. E in questa vicenda il silenzio dell'INFN è assordante.

3. ANCHE LA SCIENZA NON COMUNICA. Inutile girarci intorno: c’è una scarsa voglia di comunicare “al mondo” negli scienziati italiani. Ne parlai all’epoca con gli amici di Caffè-Scienza Firenze, nel periodo in cui partecipai a “Comunicare la Fisica” con due post su Scienza e Comunicazione.  Alla domanda “ma gli Scienziati hanno voglia di comunicare” la risposta fu, un eufemistico “in generale non sempre”. Noi di Caffè-Scienza Firenze e Prato, insieme al resto della rete di Caffè scientifici italiani (e mondiali) ci proviamo, ma non tutti gli uomini di Scienza hanno voglia di mettersi in gioco con un pubblico al quale non puoi parlare nel tuo stretto slang. 
Un tipico esempio è di qualche anno fa, allorquando si parlava di inquinamento luminoso che impedisce di vedere il cielo, il direttore del dipartimento di astronomia di un'università italiana (ora in pensione)e ra stato intervistato sulla questione. Lui ha detto, candidamente, che la cosa non riguarda gli astronomi professionisti, ma solo gli astrofili. Quella sciagurata risposta ha evidenziato che alcuni professionisti della scienza non hanno colto l'importanza della divulgazione, o comunque del comunicare quel che si fa e perché lo si fa (se non altro per convincere il contribuente della necessità dell'investimento). 

LA NECESSITÀ DI COMUNICARE LA SCIENZA. È chiaro, è molto più facile parlare fra “esperti”… persone che, limitandosi alla Geologia Regionale del Mediterraneo, possono parlare di “arco calabro – peloritano nel quadro dell’orogenesi appenninico – maghrebide” senza dover spiegare di cosa parla. Lo vedo su Scienzeedintorni, quando parlando di tettonica devo citare la subduzione: è un termine che mi angoscia perché devo per forza spiegare cosa sia (non tutti, giustamente, la conoscono)...  E purtroppo per diffondere la Scienza non bastano i Caffè Scientifici, Superquark (fra parentesi gli Angela padre e figlio sono accusati delle più ignobili nefandezze da parte del mondo del complottismo...) e altre poche trasmissioni, e se vediamo Voyager e il modo con cui ha trattato la Scienza, almeno fino a qualche anno fa (me ne occupai qui)  lasciamo perdere…. Anche Focus TV alle volte lascia francamente perplessi...
Fino a poco tempo fa credevo che bastasse snobbare gli ignoranti e insultarli in quanto tali. Invece questo è l’atteggiamento sbagliato.  Se la gente ha paura è perché non conosce e se non conosce la colpa è principalmente di chi conosce e si chiude in un guscio professionale e non divulga. Il mondo scientifico deve scendere in campo e spiegare a tutti, in maniera semplice, come stanno le cose, mostrando come funziona il metodo scientifico, evidenziando come la Scienza non sia democratica, ma datocratica e che certe prese di posizione non sono lecite perché semplicemente i dati dimostrano la loro assurdità. Dobbiamo farlo, perché le persone semplici sono la maggioranza e se continueremo a guardarli dall’alto verso il basso, loro si affideranno sempre di più a millantatori e complottisti. Invece ognuno dovrebbe usare la sua conoscenza per superare questo problema: Internet non ha bisogno della spinta popolare per funzionare, il messaggio arriva subito, diretto.

La logica del terrorismo moediatico:
trattasi di "esperimento nucleare"
In mancanza di divulgazione corretta bufalai e apprendisti stregoni che terrorizzano la ggggente hanno un grande seguito. E soprattutto sanno fare informazione, quel saper fare che spesso manca a Istituzioni e Scienziati. Nel caso di specie Augusto de Sanctis non è altro che un Rosario Marcianò più intelligente, un personaggio che ha saputo trovarsi una audience più vasta del sanremese guru delle scie comiche (“comiche” non è un refuso… è un’ironia). È un marpione, di professione consulente ambientale, abilissimo nella dialettica e nell’uso di cavilli legali, uno dei tanti personaggi di quell’ambientalismo nostrano che a tutto serve tranne che a proteggere l’ambiente, e che dimostra una scarsezza scientifica (vera o voluta?) quando parla a proposito di SOX di esperimento nucleare e paragona i laboriatori del Gran Sasso a Fukushima.... 
E nell’occasione cosa abbiamo dall’altra parte? Una istituzione, l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, la cui unica traccia recente di comunicazione istituzionale è stata una risposta data a un commento su Facebook e che deve solo ringraziare i gestori di alcuni siti che hanno difeso il progetto e dimostrato le assurdità della denuncia. L'altro giorno qualcuno di INFN sembra abbia detto che stavano preparando un comunicato ufficiale, che però ancora non si è visto. EDIT: IL COMUNICATO DI INFN AL PROPOSITO E' USCITO POCHE ORE DOPO QUESTO POST. DICIAMO "ALLELUJA", MA SE FOSSE ARRIVATO PRIMA...
Io comunque ancora non capisco come mai nessuno dell’INFN sia intervenuto nei mesi scorsi, e cioè ben prima del servizio de Le Iene, dato che c'erano già paure e proteste nel territorio: ci sono precedenti storici anche recenti di interruzione della fornitura dell'acqua per presenza di sostanze inquinanti, gonfiate ad arte dal giornalismo allarmistico. Mi chiedo perché non ci sia stata un'opera di comunicazione preventiva per informare la cittadinanza e tranquillizzarla… 
Chi ne ha le capacità tecniche si chieda piuttosto cosa bisogna fare per migliorare le attività divulgative del laboratorio, in modo che non ci siano più psicosi da parte della gente, (la quale, particolare di noin trascurabile importanza, finanzia la ricerca – e in questo caso l'INFN – paganando le sue tasse…

IL CONFRONTO TELEVISIVO. La notizia di oggi è che ci sarà un confronto televisivo fra De Sanctis e Marco Pallavicini, il responsabile del SOX.
Io spero che Pallavicini sia all’altezza, ovviamente non discuto di quella scientifica, da quel punto di vista sarebbe una lotta impari fra un gigante della fisica e uno che non ha una laurea in nessuna disciplina scientifica
Spero che sia capace di riuscire ad essere convincente in uno studio che gli sarà nemico, dai conduttori a De Sanctis stesso, al pubblico.
Quel tipo di televisione promosso dalle Iene e dai mass media scandalistici in generale è diverso da un consesso scientifico, dove vigono regole diverse da quelle televisive, dove non puoi raccontre qualsiasi cosa e dove conta l'autorevolezza del personaggio, mentre in TV conta più chi "sfonda lo schermo". Per questo mettere un pur bravo ricercatore a confronto con la Brigliadori o Red Ronnie, persone abituate a stare sullo schermo è un suicidio: perché agli occhi della ggente mettere Burioni accanto alla mamma novax di rimini conferisce la stessa autorevolezza ad entrambi.

Per cui io spero che il direttore abbia un certo know-how sull'argomento "stare in TV". La mia paura è che, come la maggior parte degli scienziati, non sia preparato su questo… e De Sanctis è un furbacchione che campa su queste fandonie e sa cosa dire per impressionare la gggggente... fa questo da anni...


giovedì 23 novembre 2017

I "nuovi" vulcani scoperti nel Tirreno, le conseguenze scientifiche della scoperta e riflessioni sui media



C’è stato molto clamore intorno alla "scoperta" di una serie di vulcani nel Tirreno e, ovviamente, a questo si è affiancato il solito terrorismo mediatico. Premettendo che come ho già scritto nel passato i lati del Tirreno pullulano di vulcani, ho virgolettato "scoperta" perché in realtà i ricercatori sono andati dove era giusto andare a cercare: se era accertato che il Palinuro e il Glabro fossero dei vulcani, c’era bisogno di definire meglio la geologia dell’area e in particolare definire con maggiore  le altre alture di quella catena, che erano sicuramente altri vulcani. Quindi le novità di questo lavoro sono essenzialmente tre: l’aver definito con esattezza quanti vulcani ci sono nella catena del Palinuro, averli sommariamente descritti tutti e aver fornito una ipotesi piuttosto fondata sul perché di questa attività vulcanica, con una ricaduta delle riflessioni molto valida a livello mondiale. Quanto alla possibilità che il Palinuro sia ancora attivo, come paventato da molti, non mi pare possano esserci, allo stato attuale, certezze in materia. Anzi, mi pare proprio il contrario.


L'arretramento verso SE del piano di subduzione sotto il Tirreno, da [10*
I LIMITI DELLE SUBDUZIONI E LE CONSEGUENZE DEL LORO ARRETRAMENTO. Gli slab sono le parti di crosta terrestre che nelle zone di scontro fra placche rappresentano la crosta della placca "perdente", che va in subduzione, cioè che scende nel mantello. La subduzione non è per sempre, né nel tempo (ad un certo punto inizia, ma prima o poi finisce di esistere o perché l’oceano interposto fra due continenti si chiude o perché cambiano le condizioni geodinamiche) e neanche nello spazio (non esiste una linea continua di subduzioni: prima o poi si arriva al suo lato estremo, dove finisce).
Inoltre durante il suo ciclo di vita la posizione sulla superficie terrestre rispetto al mantello della linea dove la placca inizia la sua discesa varia, normalmente in direzione opposta a quella verso la quale scende. L’arretramento della linea di subduzione, noto come rollback, comporta nella zona interessata dal fenomeno una diminuzione della pressione nella crosta e nel mantello superiore e quindi una risalita del mantello sottostante; la decompressione innesca la formazione e la risalita di magmi e la formazione di un bacino marginale dietro l’arco magmatico. Questo succede soprattutto quando il piano di subduzione è rivolto verso ovest, come lungo la costa pacifica dell’Asia e nel Mare Tirreno, che è nato a causa dell’arretramento dell’arco Calabro – Peloritano.
Una subduzione dal punto di vista spaziale finisce lungo un cosiddetto STEP, Subduction-Transform Edge Propagator (distanziatore del lato della subduzione).
Gli STEP sono sede di vulcanismo a causa delle interazioni fra il margine del piano di subduzione e il mantello circostante, specialmente in caso di roll-back. 


Nella carta dell'Iris Earthquake Browser si vede il progressivo aumento
di profondità dei terremoti che dimostra la presenza dello slab in subduzione
STEP E ROLL-BACK NEL TIRRENO. Una situazione del genere è caratteristica del Tirreno, dove lo slab in subduzione sotto l’arco calabro - peloritano, oltre ad avere subito un forte arretramento, visibile nella immagine si trova isolato:

  • a nord non esiste infatti niente del genere sotto l’Appennino meridionale e centrale: per trovarne uno si deve arrivare all’Appennino Settentrionale sotto la  Corsica e la Toscana. Sul perché i due slab siano separati fra loro da diverse centinaia di km di gap, ci sono varie ipotesi. Per esempio uno strappo laterale [1] o una faglia trasforme [2]
  • anche a ovest tra Sicilia e Sardegna lo scontro fra Africa ed Europa non dà sismicità profonda

Vediamo chiaramente nell’immagine lo slab sotto il Tirreno segnalato dal progressivo approfondirsi della sismicità in direzione NW. Ne ho parlato in questo post.
Riepilogando, il bacino di retroarco del Marsili è caratterizzato da una crosta di tipo oceanico spessa 10–12 km e l’asse di apertura corrisponde alla struttura del Marsili, orientata NNE–SSW. Ha iniziato ad aprirsi a NW dell’arco calabro – peloritano circa 2 milioni di anni fa a causa dell’arretramento di questo. Dopo una prima fase, caratterizzata da velocità fino a 3 cm/anno il movimento ha iniziato a rallentare fino a fermarsi circa 1 milione di anni fa: oggi il bacino del Marsili non solo non si estende, ma al contrario la sua parte meridionale è in compressione come dimostrano le velocità GPS [3]: Sicilia e Calabria hanno una forte componente di movimento verso nord o NE nei confronti dell’Europa stabile, mentre se continuasse l’arretramento dell’arco Calabro dovrebbero muoversi verso sudest. Il bacino dovrebbe sostanzialmente avere in questo sistema di riferimento un movimento nullo o quasi: il fronte compressivo nella piattaforma continentale tirrenica davanti all’isola ne è una conferma [4]. 
La linea di Palinuro e la linea Tindari - Letojanni da [6]
L’arco delle Eolie, che a nord di Stromboli comprende diversi vulcani la cui cima è sotto il livello del mare, è una struttura dell’ultimo milione di anni ed è messo in posto sulla crosta continentale.
L’espansione del bacino del Marsili è avvenuta grazie alle due faglie STEP che lo delimitano e che arrivano anche sulla terraferma:
  • la prima, diretta NNW - SSE è chiamata in letteratura con nomi diversi; comprende il tratto Tindari -  Letojanni, è una trascorrente destra e attraversa l’arco eolico nel suo tratto centrale
  • la seconda è diretta E-W, passa per la catena sottomarina del Palinuro e del Glabro (e quindi viene chiamata linea di Palinuro) per poi finire sulla terraferma in Calabria settentrionale, dove è nota come linea di Sangineto. Questa seconda linea è anche il limite settentrionale del bacino del Marsili: a nord di essa c’è la crosta continentale appenninica spessa tra 25 e 30 km (quindi abbastanza sottile per essere crosta continentale)

Tra queste due faglie, quindi, l’intero sistema dell’arco calabro – peloritano è stato traslato verso SE come nella figura messa all'inizio. Queste due faglie rispondono ad una logica globale: gli STEP infatti sono spesso delle vecchie faglie già esistenti nel continente posto dietro la zona di subduzione [5] e sicuramente la Tindari – Letojanni lo è in quanto prosegue come bordo della scarpata ibleo – maltese (in buona sostanza: è un’altra applicazione delle “cicatrici litosferiche” di cui ho parlato diverse volte).
La Tindari – Letojanni  è sempre attiva, come dimostrano le velocità GPS divergenti tra un lato e l’altro e la frequente attività sismica nella zona del Golfo di Patti e Capo d’Orlando. 
La Palinuro – Sangineto mostra una attività sismica sporadica nel tratto a mare ma in terraferma non mi pare così evidente adesso né dagli eventi sismici né dagli spostamenti delle stazioni GPS.


La catena del Palinuro, da [6]: si nota la netta divisione
fra la parte occidentale e quella orientale 
I VULCANI DELLA CATENA DEL PALINURO. Sicuramente non è un caso che entrambe queste faglie ospitino vulcani: la Tindari – Letojanni Lipari, Vulcano e sua Maestà l’Etna, la Palinuro – Sangineto quelli della catena del Palinuro – Glabro, la cui attività data tra 800 e 300 mila anni fa.
Il lavoro di cui si è molto parlato in questi giorni [6] ha esaminato con attenzione la parte coperta dal mare dello STEP settentrionale, dove era certo che la fascia allineata E-W e lunga 90 km e larga 20 fosse un susseguirsi di edifici vulcanici [7]. La novità è che Cocchi & C sono riusciti nell’impresa di catalogarli tutti in modo chiaro e completo.
Come si vede dall’immagine, presa da [6] la catena presenta circa a metà una discontinuità e quindi gli edifici sono divisi in un gruppo occidentale (la parte del Palinuro) e in un gruppo orientale (la parte del Glabro). I coni maggiori sono contornati anche da coni ausiliari che comunque fanno riferimento a questi edifici principali (ce ne sono almeno 80). I due gruppi di vulcani sono anche morfologicamente distinti:
IL GRUPPO OCCIDENTALE consta di 8 stratovulcani molto alti. Alcuni e mostrano una cima subcircolare e piatta a profondità che vanno da 84 a 130 m. Quindi alcuni di loro emergevano sopra il livello del mare durante le fasi glaciali a basso livello marino.
La forma di questi vulcani fa presumere che il magma sia risalito lungo fratture estensionali allineate in direzione della catena e quindi riflettano una sorta di espansione in direzione nord – sud perpendicolare alla linea tettonica; in effetti i dati, in particolare le indagini sulle anomalie magnetiche, suggeriscono che la messa in posto dei magmi sia stata controllata dalla geometria delle fratture. Annoto che le anomalie magnetiche alle volte sono molto minori di quello che dovrebbero essere a causa della alterazione delle rocce, per cui una magnetizzazione forte è indice della presenza di rocce vulcaniche, mentre la magnetizzazione debole può corrispondere sia a rocce sedimentarie che a rocce vulcaniche alterate. Il trend di fratture inoltre è perfettamente coerente con l’ipotesi che la catena di vulcani sia impostata lungo una faglia trascorrente
IL GRUPPO ORIENTALE è formato da 7 vulcani ed è caratterizzato da altezze molto minori. Le anomalie magnetiche sono molto meno intense. L’interpretazione più logica è che la minore altezza dei vulcani orientali rifletta minori dimensioni degli edifici vulcanici. In alternativa la magnetizzazione è minore perché si tratta di lave molto alterate o perché in quella zona la temperatura è più alta ed è vicino il punto di curie, la temperatura al di sopra della quale scompare la magnetizzazione delle rocce. La modellizzazione preferisce questa ultima ipotesi

IL LAVORO SULLA CATENA DEL PALINURO DIMOSTRA L'IMPORTANZA GENERALE DEGLI STEP. La cosa che ci insegnano i due STEP che circondano il bacino del Marsili è che i 2700 km3 di volume dei vulcani della catena del Palinuro sono superiori sia agli 856 del Marsili che anche ai 2550 km3 di quella delle Eolie, inclusi i vulcani sottomarini.
Quanto all’origine dei magmi, i vulcani della catena del Palinuro insieme a caratteristiche tipiche dei prodotti di arco magmatico tipici delle Eolie, mostrano in più delle significative componenti più profonde che evidenziano la risalita di mantello originariamente posto sotto la parte più vicina al vecchio oceano del continente africano.
Questo dimostra che gli STEP possono mostrare in un’area ristretta una frequenza e una quantità di attività vulcanica superiore a quella media che caratterizza i sistemi di arco magmatico in generale, perché su di loro si addensa la risposta del mantello sottostante durante un arretramento di un fronte di subduzione.


MEDIA ITALIANI E PERICOLOSITÀ POTENZIALE DEL PALINURO. C’è poi la questione della pericolosità attuale di questi vulcani, aspetto che, ovviamente, è stato esaltato dai vari siti internet alla ricerca di click facili.
Qual’è il rischio teorico di questi vulcani celati dalle profondità del Tirreno? Fondamentalmente la possibilità che su questi vulcani si producano delle frane che inneschino degli tsunami (il caso dello tsunami di Stromboli del 30 dicembre 2002 riguarda una frana subaerea ma è un ottimo esempio). Chiaramente un vulcano sottomarino attivo è più rischioso di uno spento, e le frane in un edificio del genere potrebbero verificarsi comunque, a prescindere che si sia attivo o spento.
Parlando di eventi su vulcani attivi, quelli della catena del Palinuro sono tutte caldere con all’interno duomi di lava e, naturalmente, in caso di eruzione la formazione di una nuova caldera potrebbe provocare dei problemi. La domanda che pongo è se nella storia umana ci siano tsunami indicativamente attribuiti a tali cause. Mah, io non ne conosco neanche uno (potrei comunque essere smentito su questo). 
Oltretutto che fra questi vulcani ce ne sia almeno uno attivo non è assolutamente sicuro. Anzi, se di possibili eruzioni del Palinuro si parla, questo, a quanto mi risulta,  si limita a notizie giornalistiche (soprattutto su siti acchiappa – click) e i dati a disposizione parlano di attività vulcanica interrotta almeno 300.000 anni fa. Inoltre non ci sono evidenze che l'attività idrotermale a cui sono dovuti i depositi ricchi di solfuri che abbondano nei fianchi del vulcano persista anche oggi, in quanto tali depositi sono spesso coperti da sedimenti [9]


Le velocità GPS dimostrano che le velocità GPS divergono lungo la linea Tindari - Letojanni
mentre quella di Sangineto non mostra una significativa influenza. da [3]
D’altra parte se lo STEP della  Tindari – Letojanni è ben attivo (come dimostrano sia i dati GPS che l’attività sismica), la dorsale Palinuro – Glabro è marcata da attività sismica molto minore. Una campagna in cui sono stati messi in posizione dei sismografi sul fondo marino tra il 17 e il 28 marzo 1987, ha evidenziato una certa microsismicità in corrispondenza dell’Alcione (un vulcano sottomarino della catena delle Eolie) e, particolare importante, sotto il “monte Diamante”, che in realtà è il Palinuro [8]. E questo potrebbe essere un segnale da verificare.
Fra gli eventi sismici ho trovato solo il meccanismo focale dell’evento M 3.8 del 28 agosto 1992, che conferma il movimento trascorrente sinistro. Andando sulla terraferma non mi consta che la linea di Sangineto sia contrassegnata da valori discordanti delle velocità GPS o da attività sismica particolare (tantomeno da trascorrenze), ed è ben poco probabile poter riferire alla presenza di questa linea l’attività sismica intorno al Pollino.
Però data l’inerzia del sistema – mantello, ci potrebbe ancora esserci qualche fenomeno residuo, anche se PERSONALMENTE sono piuttosto scettico al riguardo nonostante quella leggera attività sismica evidenziata nel 1987 e la probabile presenza sotto la parte orientale della catena (e quindi non sotto al Palinuro, ma al Glabro) di una zona anomalmente calda.
Un po' poco, francamente, per creare l’allarme diffuso da parecchi siti alla ricerca di facili click…
Poi tutto può essere, per carità. Ma non ci sono attualmente dati sufficienti per affermare che il Palinuro sia un vulcano attivo.
E se stessi da quelle parti, mi preoccuperei di più di vivere \ studiare \ lavorare \ passare il tempo libero in una struttura sicura in caso di terremoto, frana o alluvione, eventi infinitamente MOLTO più frequenti di uno tsunami innescato da una eruzione di un vulcano sottomarino….

[1] Wortel and Spakman (2000) Subduction and slab detachment in the Mediterranean-Carpathian region: Science, 290, 1910–1917
[2] Rosenbaum et al (2008) Kinematics of slab tear faults during subduction segmentation and implications for Italian magmatism: Tectonics, v. 27, TC2008–doi:10.1029–2007TC002143.
[3] Farolfi and Delventisette (2016) Contemporary crustal velocity field in Alpine Mediterranean area of Italy from new geodetic data GPS Solutions DOI 10.1007/s10291-015-0481-1
[4] Sani et al (2016) Insights into the fragmentation of the Adria Plate Journal of Geodynamics 102, 121–138

[5] Nijholt and Govers (2015), The role of passive margins on the evolution of Subduction-Transform Edge Propagators (STEPs), J. Geophys. Res. Solid Earth, 120,7203–7230,
[6] Cocchi et al (2017) Volcanism in slab tear faults is larger than in island- arcs and back-arcs Nature communications DOI: 10.1038/s41467-017-01626-w
[7] Passaro et al. (2010) DTM-based morphometry of the Palinuro seamount (Italy, Eastern Tyrrhenian Sea): geomorphological and volcanological implication. Geomorphology 115, 129–140
[8] Soloviev et al (1990) Microearthquakes in the Tyrrhenian Sea as revealed by joint land and sea-bottom seismographs Marine Geology 94, 131-146
[9] Ligi et al (2014) Mapping of Seafloor Hydrothermally Altered Rocks Using Geophysical Methods: Marsili and Palinuro Seamounts, Southern Tyrrhenian Sea Economic Geology 109,2103–2117
[10] Gvirtzman e Nur (2001) Residual topography, lithospheric structure and sunken slabs in the central Mediterranean Earth and Planetary Science Letters 187,117-130



venerdì 17 novembre 2017

Il terremoto del 12 novembre 2017 e la sismicità in Iran e dintorni: la riattivazione di vecchi limiti di placca provocata da nuovi eventi geodinamici


Il terremoto al confine Iran - Irak del 12 novembre mostra la pericolosità sismica di tutto quel settore dell'Asia occidentale: è un caso piuttosto comune in tutta l'Asia, specialmente a nord del Tibet, vedere che una forte sismicità non si annida solo lungo un limite attuale di placca (in particolare in questo caso nell'area quello fra Afro - Arabia ed Eurasia della sutura di Van e dei monti Zagros), ma coinvolge, riattivandoli, alcuni vecchi limiti tra i vari blocchi che, dal Paleozoico Superiore si sono uniti per formare l'Eurasia. 

In Iran e dintorni dal 1975 ci sono stati 57 terremoti con M uguale o superiore a 6
In giallo l'unico vero limite di placca attuale dell'area
In Iran i terremoti hanno provocato decine di migliaia di morti negli ultimi decenni. La causa fondamentale di questa forte (e per di più superficiale, il che la rende più distruttiva) attività sismica è la convergenza fra Eurasia e Afro – Arabia: preferisco parlare di Afro – Arabia perché se da quando nel Terziario si è aperto il Mar Rosso l’Arabia deve essere considerata una placca a se stante, in realtà continua bene o male ad essere solidale dal punto di vista dei movimenti generali all'Africa. 
Il movimento di Afro-Arabia verso l’Eurasia ha provocato dal Cretaceo in poi la chiusura della Neotetide, un bacino oceanico che aveva iniziato ad aprirsi nel Permiano, quando il microcontinente iraniano, insieme al resto di Cimmeria: la convergenza attualmente si svolge in una fascia lunga circa 2000 km e larga oltre 500 che dalla Turchia meridionale si estende in Armenia, Azerbaijan e Iran.

L'OROGENE DEGLI ZAGROS. Il risultato principale della chiusura della Neotetide è l’orogene degli Zagros, una delle thrust-and-fault belt (fasce a pieghe e sovrascorrimenti) più “didattiche” esistenti al mondo, in cui è talmente evidente l’alternanza di pieghe sinclinali ed anticlinali da sembrare quello che si vede quasi una simulazione numerica più che una situazione naturale!! Anche se la velocità di convergenza attuale non è elevata (siamo nell’ordine dei 26 mm/anno) gli Zagros rappresentano una delle thrust-and-fault belt oggi più attive sismicamente. Il terremoto M 7.3 al confine fra Iran ed Iraq del 12 Novembre  2017 si inserisce  perfettamente nella in questo quadro.

Le rocce che formano gli Zagros si sono sedimentate sul margine NE dell’Arabia, che era un tipico margine passivo nella Neotetide. Il lato iraniano era invece il margine attivo e quindi al di là degli Zagros, la cui sutura è quindi il limite fra Arabia ed Eurasia troviamo una vasta gamma di rocce vulcaniche e metamorfiche causate da questa convergenza.
Lo scontro fra Afro – Arabia e Eurasia è stato molto importante per la storia dei mammiferi e anche per l’origine dell’Uomo: i primi scambi faunistici sono avvenuti 39 milioni di anni fa circa e sono ampiamente documentati dalle testimonianze fossili in Africa che a questa età evidenziano una forte discontinuità: i mammiferi euroasiatici hanno invaso l’Africa, soppiantando quasi completamente i meno performanti placentati africani, ridotti ora a qualche forma marginale a parte i proboscidati, gli unici afroteri che, nell’interscambio, hanno avuto successo in Eurasia (e nelle Americhe). Fra questi mammiferi euroasiatici c’erano anche alcuni antropoidi che, da minute creature arboricole di pochi grammi di peso noti in Asia da qualche milione di anni prima [1], trovarono in Africa un ambiente così ideale per il loro stile di vita da promuoverne una grande radiazione e differenziazione in tutto il continente.
Un altro risultato della collisione è la formazione del Plateau Turco – Iranico, una vasta area la cui superficie si trova ad altitudine notevole: ad esempio Teheran è posta ben oltre i 1000 metri di quota e la quota della superficie del lago di Van, in Turchia è ben 1640 metri.

Le quattro fasce sismiche principali che interessano l'area iraniana e i dintorni, da [2]
MA GLI ZAGROS NON SONO L'UNICA FASCIA SIMICA DELL'AREA. In questa carta tratta da [2] vediamo però che gli Zagros, il limite fra Arabia ed Eurasia, dove è avvenuto il terremoto M 7.3 del 12 novembre 2017 non rappresentano l’unica fascia sismica dell’area persiana. Questo in quanto il caso iraniano rappresenta una delle più classiche applicazioni del concetto di “cicatrice litosferica” e la spinta dell’Afro-Arabia  si manifesta anche altrove, avendo riattivato tutta una serie di cicatrici di precedenti scontri fa placche. Avevo parlato di alcune cicatrici litosferiche in questo post.

Quella iraniana è uno dei principali componenti di quel mosaico di microplacche che, da Ibera a Burma, si trova interposto fra Eurasia e aree precedentemente apprartenute al Gondwana. Giova ricordare che Eurasia e Gondwana, sebbene originatisi da analoghi processi (e cioè la collisione di vari continenti con la chiusura di oceani fra loro precedentemente interposti) abbiano un’età nettamente diversa: il Gonwana è un continente “vecchio”, che si è assemblato come supercontinente all’incirca a cavallo del passaggio Neoproterozoico – Permiano (insomma, una delle varie “Pangee” ante - litteram), mentre l’Eurasia si è formata dal Paleozoico superiore proprio grazie al riassemblaggio in modo diverso e in tempi diversi di pezzi di Gondwana che si erano precedentemente staccati da esso (Siberia, Cina Settentrionale, Cina Meridionale, Yakuzia, Cimmeria, Cratone est europeo, Avalonia, Kazakhstan, Tarim, India etc etc)

Dopo gli Zagros, la seconda fascia è quella lungo le coste meridionali del mar Caspio: l’Iran dopo essersi staccato dal Gondwana nel Permiano insieme al resto della Cimmeria, si è scontrato fra Triassico e Giurassico a nordest con il Kazakhstan: le fasce montuose di Talish, Alborz e del Kopeh Dagh, che appunto delimitano a sud il Caspio, sono il risultato di questo importante evento tettonico.
Quando poi si è chiusa la Neotetide la spinta dell’Arabia ha iniziato a esercitare una certa influenza anche sul vecchio orogene cimmerico, innescando una nuova fase tettonica che ha prodotto nuovi piegamenti e zone di faglia che interessano non solo i sedimenti post-cimmerici depositati a nord della catena dopo la sua formazione mesozoica, ma anche la catena stessa. Una vera manna per i geologi strutturali che possono qui studiare come l’eredità delle vecchie strutture influenzi le deformazioni successive.
Una terza fascia sismica corrisponde ad un’altra cicatrice, lungo la sutura del Sistan, posta fra Iran e Afghanistan, dove un altro bacino oceanico era interposto fra questi due blocchi. Qui la chiusura è avvenuta tra Cretaceo e Paleocene quindi è più recente rispetto a quella cimmerica. La compressione provocata da Afro – Arabia ha poi trasformato il vecchio limite compressivo in una trascorrenza destra intracontinentale. 
Annoto che nel Sistan c’è anche un magmatismo successivo post-orogenico simile a quello europeo che ha seguito il collasso dell’orogene varisico (per i lettori più anziani, sarebbe quello ercinico)
Anche la quarta fascia sismica, quella che attraversa il Mar Caspio e borda il Caucaso, riprende un vecchio limite compressivo. I dati di Walters et al dimostrano che lungo la fascia contrassegnata dalla linea arancione l’Iran si muove di circa 1 cm all’anno verso NW rispetto all’Eurasia [2].

L'arco magmatico mesozoico di Sanandaj–Sirjan
e quello - più recente e più esteso - di  Urumieh–Dokhtar, da [3]
VULCANISMO NELL'AREA DAL MESOZOICO AD OGGI. La convergenza in questo momento non origina un magmatismo significativo ma ce n’è stato parecchio nel passato. A NE della fascia degli Zagros ci sono due archi magmatici in stretta successione provocati dalla collisione Arabia – Iran: il più antico e più vicino agli Zagros è quello di Sanandaj–Sirjan, attivo nel Mesozoico, più o meno da poco prima dell’inizio del Cretaceo. Immediatamente oltre si trova la seconda fascia di arco vulcanico, quella di Urumieh–Dokhtar, che dal Terziario arriva fino ai nostri tempi e ha interessato tutto il plateau turco – iranico, 
Una momentanea intensificazione del vulcanismo nel Miocene è stata attribuita alla rottura del piano di subduzione sotto l’Anatolia [4]. È un fenomeno frequente quando, finita la subduzione oceanica, la zolla oceanica prosegue a scendere nel mantello mentre la sua parte continentale rimane a basse profondità (anche sotto gli Zagros dovrebbe essere successa la stessa cosa). 
Nel quaternario il magmatismo è diventato più sporadico (anche se nell’Olocene l’eruzione dell’ Hasan Dan in Turchia è stata parecchio importante anche a livello climatico e non solo locale). Il vulcano più vicino all’area del terremoto del 12 novembre è il Sahland, nell’Azerbaijan iraniano (non in quello indipendente), ad oltre 200 km dall’epicento e la cui attività dovrebbe essersi conclusa qualche centinaio di migliaia di anni fa, anche se alcuni Autori riportano una eruzione nell’Olocene [5].  

LA STRUTTURA DEI MONTI ZAGROS. Gli Zagros, procedendo dallo stretto di Hormuz verso la Turchia cambiano orientamento a metà del golfo Persico, da una direzione WNW si dirigono decisamente più verso nord entrando nel continente. 
Quindi se nella parte SE la compressione è assolutamente perpendicolare alla catena, in quella NW la compresisone è obliqua, per cui ci sono una componente compressiva e una trascorrente. Questa ultima viene assorbita essenzialmente da una faglia trascorrente parallela alla catena. C’è un analogo importante e cioè la faglia che a Sumatra scorre parallela alla costa dell’oceano Indiano: a Giava, che è orientata invece perpendicolarmente rispetto alla convergenza fra la zolla euroasiatica e quella Indoaustraliana questa struttura non esiste.
Sezione dell'orogene degli Zagros nella zona del terremoto M 6.2 di Mormori del 2014 , da [6] 

Meccanismo focale del terremoto del 12 novembre 2017 secondo USGS
IL TERREMOTO DEL 12 NOVEMBRE. Il terremoto M 7.3 al confine Iran-Iraq del 12 novembre 2017 è avvenuto in territorio iraniano a circa 220 km a NE di Baghdad ed è stato percepito in tutto il Medio Oriente. Si tratta di un evento compressivo originatosi a circa 25 km di profondità. Al momento non è ancora stato chiarito se si tratta di un piano di faglia poco inclinato verso NE o piuttosto inclinato in direzione SW. La prima soluzione coincide con l’andamento tettonico generale e con una rottura ipoteticamente prodottasi al limite fra le due placche, ma siccome siamo in una zona un po' particolare, perché da quelle parti l’andamento della catena non è del tutto lineare, la seconda ipotesi non può essere scartata a priori. Il piano che si è mosso è lungo circa 65 km e largo 25 km.
La prima soluzione è preferita anche in analogia con il terremoto M 6.2 del 18 agosto 2014 avvenuto 300 km più a SE vicino a Mormori, di cui vediamo una interpretazione del movimento su una sezione geologica di riferimento [6].

Un altro particolare interessante che lega questi due grandi terremoti è che entrambi sono stati preceduti da eventi minori nelle ore immediatamente precedenti: a Mormori il giorno prima dell’evento principale ci sono state due scosse Mw 4.5 and 4.6: per questo la popolazione era fuori casa e quindi nonostante i 10.000 senzatetto provocati dalla scossa principale non c’è stata nessuna vittima.
Il terremoto del 12 novembre invece, avvenuto alle 18.18 GMT, è stato preceduto da un evento M 4.5 alle 17.31.

[1] Gebo et al (2012) Species Diversity and Postcranial Anatomy of Eocene Primates from Shanghuang, China Evolutionary Anthropology 21:224–238
[2] Walters et al (2017) Constraints from GPS  measurements on the dynamics of the zone  of convergence between Arabia and Eurasia, J. Geophys. Res. Solid Earth, 122, 1470–1495  
[3] Omrani et al (2008) Arc-magmatism and subduction history beneath the Zagros Mountains, Iran:A new report of adakites and geodynamic consequences Lithos 106, 380–398
[4] Okay et al 2010, Apatite fission-track data for the Miocene Arabia-Eurasia collision Geology38,35–38
[5] Karakhanian et al 2002 Holocene-historical volcanism and active faults as natural risk factors for Armenia and adjacent countries Journal of Volcanology and Geothermal Research 113, 319-344
[6] Motagh et al 2015 The 18 August 2014 M w 6.2 Mormori, Iran,Earthquake: A Thin-Skinned Faulting in the Zagros Mountain Inferred from InSAR Measurements Seismological Research Letters, v. 86, i. 3, p. 775-782
      

giovedì 2 novembre 2017

La geologia del poligono nucleare coreano di Punggye-ri e il possibile blocco forzato degli esperimenti per problemi al sito


La notizia di un crollo in un tunnel nel poligono nucleare di Punggye-ri, nella parte nordorientale della Corea del Nord, ha iniziato a diffondersi lunedì sera. L’incidente, sempre secondo notizie frammentarie, sarebbe avvenuto in due tempi: un primo crollo seguito da un secondo che avrebbe coinvolto anche i soccorritori intervenuti a seguito del primo. La notizia è stata diffusa inizialmente, a quanto mi risulta, da una televisione giapponese e successivamente ha rapidamente fatto il giro del mondo. Non affronto in particolare la questione del pericolo di emissioni radioattive, in quanto non ho né grandi conoscenze in materia né ho a disposizione nessun dato. Mi limito ad osservare che del problema si occupano agenzie governative di una certa importanza e non siti da clickbiting, per cui l’allarme deve essere considerato “serio” e che la geologia della zona non è del tutto tranquillizzante, anche se i test successivi a quello del 2006 sono stati condotti in un'area sicuramente migliore rispetto al primo dal punto di vista delle emissioni di radionuclidi.



GLI ESPERIMENTI NUCLEARI DELLA COREA DEL NORD. Nascondere un esperimento nucleare è impossibile, visto che la rete mondiale dei sismografi è in grado senza problemi di rilevarlo. In questo post ho descritto il test del 6 gennaio 2016 e spiegato come si può capire che si è trattato di un test atomico e non di un terremoto naturale dallo studio dei sismogrammi. Ad oggi gli esperimenti nucleari del regime coreano sono 6:

  • 9 ottobre 2006, M 4.3
  • 25 maggio 2009 M 4.3
  • 12 febbraio 2013 M 5.1
  • 6 gennaio 2016 M 5.1
  • 9 settembre 2016 M 5.3
  • 3 settembre 2017 M 6.3

Il test del 2006 era stato considerato all'inizio da qualcuno come "dubbio" da qualcuno che, lì per lì, aveva avanzato l'ipotesi che l'esplosione fosse stata dovuta ad una grande quantità di esplosivo convenzionale (insomma... alla faccia della "grande quantità"....). I successivi rilasci di materiale radioattivo hanno convinto anche gli ultimi scettici, e costretto, come vedremo, i nordcoreani a spostare gli esperimenti da una zona caratterizzata da rocce che presentano una intensa foliazione (gneiss archeani o graniti scistosi mesozoici - rocce che dopo la loro formazione sono state sottoposte a intensi fenomeni deformativi) ad un'altra area del sito caratterizzata da rocce magmatiche non deformate e massicce [1]. Le cose non sono andate nel verso giusto anche dopo il test del 12 febbraio 2013, a cui è seguito un lieve rilascio nell'Aprile successivo riconosciuto dalla presenza di due isotopi radioattivi dello Xenon, il 131 e il 133. Si suppone, comunque, che questo rilascio sia stato dovuto da improvvide attività dei coreani (una ripresa dei lavori troppo frettolosa nel tunnel precedentemente scavato, com evidenziato dalle foto satellitari) più che ad emissioni dovute alla geologia del sito.
Dalla Magnitudo raggiunta via via dagli esperimenti si vede l'escalation della potenza degli ordigni nucleari impiegati e si vede come l’ultimo test, il 3 settembre 2017, sia stato decisamente più forte degli altri, originando un terremoto di M 6.3, non solo registrato in tutto il mondo dai sismografi, ma anche avvertito in diverse aree limitrofe: qui sopra la relativa carta del “do you feel it?” compilata dallo USGS.
Carta tettonica della Cina e della Corea da [2]:
si nota come il prolungamento della fascia di Sulu verso la Corea sia dubbio


LA GEOLOGIA DEL SITO. La Corea del Nord dal punto di vista geologico sarebbe un Paese davvero interessante dato che è compresa in buona parte nel massiccio del Nangrim, composto da rocce di età fino al tardo Archeano (oltre 2.5 miliardi di anni fa). L’interesse non è puramente scientifico, ma anche minerario: per esempio ospita giacimenti di vari minerali, comprese le terre rare. I rapporti del Nangrim e degli altri massicci che compongono il resto della penisola coreana con i grandi blocchi di Cina settentrionale e Cina meridionale unitisi nel mesozoico lungo l’orogene di Dabie sono ancora parecchio controversi. Quando fu pubblicata questa carta, nel 2006 [2], gli autori si guardarono bene dall’attribuire all’una o all’altra Cina i massicci coreani e devo dire che le idee in materia sono ancora poco chiare [3].


Venendo al sito, gli avanzamenti nel monitoraggio sismico insieme alle immagini satellitari hanno permesso di risalire alla posizione dei test con una approssimazione dell’ordine delle poche centinaia di metri.

La cartografia geologica dell’area è scarsa: i giapponesi durante l’occupazione della penisola coreana compilarono delle carte negli anni ‘30 ma solo di aree limitrofe, mentre la cartografia pubblica ufficiale coreana disponibile è in scala 1:1.100.00, decisamente non utile nel caso in oggetto. Quindi il governo USA ha promosso un rilevamento geologico sfruttando le tecniche satellitari, le quali non possono dare risultati estremamente precisi ma sono lo stesso capaci di dare un’idea della situazione. Il sito è sotto il monte Manthap, la cui sommità è composta da 200 metri di una sequenza vulcanica quaternaria (basalti, tufi e lave riolitiche): si tratta di alcuni fra i più recenti prodotti di una vasta serie di vulcaniti diffuse nella zona a cavallo fra Cina, Russia e Corea dal Terziario ad oggi e di cui fanno parte dei vulcani attualmente attivi in Cina orientale e Corea. Ovviamente, le vulcaniti non fanno parte delle rocce propriamente coinvolte negli esperimenti, che, come si vede nella sezione qui sotto, appartengono al sottostante basamento metamorfico composto dai graniti archeani e da una successione sedimentaria del Paleoproterozoico inferiore (e quindi di almeno 2 miliardi di anni fa), che presumo sia metamorfosata. Eventi orogenici successivi hanno deformato il basamento archano, dividendolo in blocchi e le serie sedimentarie sono oggi delle scaglie tettoniche interposte tra i graniti. L'evento principale è quello mesozoico legato alla collisione avvenuta all’epoca fra Cina Meridionale e Cina Settentrionale, che ha prodotto a sua volta una abbondante serie di graniti e di altre rocce magmatiche. La cartografia satellitare non è in grado di distinguere graniti archeani da graniti mesozoici.
La possibile presenza di calcari nella sequenza sedimentaria paleoproterozoica è un motivo di preoccupazione in quanto queste rocce possono diventare vie di fuga di radionuclidi. Però, siccome dovrebbe essere stata identificata la cava di calcare usata per produrre il cemento dei tunnel, che si trova a qualche km di distanza, è probabile che nell’area del poligono questi calcari non ci siano.
Le indagini satellitari hanno evidenziato delle aree in cui la fratturazione è particolarmente importante (e le fratture possono essere una rilevante via di fuga di radionuclidi). Questa circostanza è probabilmente alla base dell’abbandono delle attrezzature nella parte più orientale del sito dopo il 2006 e le relative fughe di radionuclidi: in questa immagine vediamo proprio le differenze nella struttura dell’area tra la parte orientale, teatro del test del 2006, e quella occidentale, teatro dei test successivi.

LA SEQUENZA DEL 2017. Anche in occasione dell'esperimento del settembre 2017 qualcosa ha funzionato male, ma non nel senso di una emissione di radionuclidi (almeno per ora), ma nel senso che a parere mio sia stato sottostimato il rischio di problemi geologici derivati dall'esplosione: insomma, territorio circostante non è stato in grado di assorbire il colpo. Sta di fatto che le conseguenze dell’esperimento sono parecchie. Innanzitutto una anomala attività sismica successiva all'esperimento: se si eccettua l'attività antropica l’area è praticamente priva di eventi sismici, almeno dal 1970. Nei dintorni l’unica zona in cui davvero si scatenano terremoti in modo consistente e continuo è, ad un centinaio di km a NW dal poligono nucleare,  quella intorno al Paektu (in cinese Changbaishan) il vulcano posto al confine con la Cina,  la cui eruzione del 946 d.C. è stata una delle più importanti eruzioni degli ultimi 2000 anni a scala mondiale (l'ultima eruzione data al 1903). Ovviamente si tratta di attività strettamente legata alla presenza del vulcano stesso.




Come si vede dalla lista qui sopra, gli esperimenti precedenti non hanno provocato repliche; al contrario dopo il 3 settembre ce ne sono state ben 3, di cui una a M 4.1 appena 8 minuti dopo l’evento: questa è stata un segnale di allarme piuttosto preoccupante che già allora ha destato qualche dubbio sul rischio di fuoriuscita di emissioni radioattive (anche se mi risulta per fortuna essere al momento un rischio solo teorico).

A questo evento ne sono seguiti almeno altri due, il 23 settembre e il 12 ottobre.
Questa è la descrizione dell’evento del 23 settembre, decisamente fortino e che qualche problema in un tunnel in corso di scavo può davvero averlo dato. Il commento che è evidenziato è lo stesso che lo USGS riporta per il terremoto del 12 ottobre, per il quale si possono fare le stesse considerazioni:





LE FRANE. Le immagini satellitari hanno mostrato che già gli esperimenti precedenti hanno innescato delle frane, in  particolare modo sul monte Manthap, dove nelle vulcaniti quaternarie la presenza di tufi alternati a rocce più consistenti è un fattore di rischio notevole per la creazione di frane: i tufi, specialmente se umidi, sono dei classici "orizzonti proni allo scivolamento"! Lo scuotimento scatenato dal test del 3 settembre ha indotto anche altre frane (ricordo che l’esplosione è stata praticamente in superficie e quindi il risentimento è stato estremamente elevato per una intensità di quel genere). Non sono in grado di dire se si tratta di “nuove” frane o di riattivazione di vecchi corpi di frana, soprattutto considerando la predisposizione naturale del territorio coreano alle frane a causa del regime di precipitazioni intense.
Ne vediamo qui un esempio:

IL DISASTRO DEL TUNNEL. Del disastro mentre scrivo queste note non esiste certezza assoluta, ma è “altamente probabile”.  Come è probabile la sua dimensione: una notizia del genere per "passare" all'esterno del Paese deve essere davvero grossa... Tantomeno è sicuro dove esattamente all’interno del sito sia successo l’incidente e quando.

La Reuters riferisce una data intorno al 10 settembre. Dal mio punto di vista sono portato a pensare che ci possa essere un legame fra i due terremoti che hanno colpito l’area di Punggye-ri e il disastro, cosa che renderebbe come date più probabili il 23 settembre o il 12 ottobre. Questo perché ritengo possibile che il crollo sia avvenuto in concomitanza con un evento sismico. In più, l'evento del 12 ottobre mi pare realisticamente quello più probabile perché anche se la localizzazione non è sicura al 100% sarebbe avvenuto un pò più a nord della zona degli esperimenti: è quindi possibile che vista la brutta situazione dell'area principale abbiano cercato di andare più a nord (allungando un cunicolo già scavato in precedenza) nella speranza di trovare un'area in cui le condizioni della roccia non siano state stravolte dall'esperimento del 3 settembre. In un granito se non si fa una grande attenzione al consolidamento e si procede con uno scavo veloce (e se venisse confermato il numero di vittime è chiaro che tutta quella manodopera serviva per andare veloci...), un avanzamento di quasi 10 metri al giorno è realistico, per cui, sfruttando appunto in parte un tunnel preesistente già scavato in quella direzione in previsione di nuovi esperimenti, essere arrivati a quasi 2 km dal sito del 3 settembre è uno scenario abbastanza realistico.

La ricerca di una zona un pò distante da quella usata fino ad oggi e la minaccia di effettuare un esperimento nucleare nel Pacifico potrebbero indicare che il regime nordcoreano abbia chiaramente presente di non poter più usare il sito di Punggye-ri per ulteriori esperimenti a causa dei danni patiti dall'area del poligono nell'ultimo esperimento: questa ipotesi era già stata avanzata prima della notizia del crollo, notizia questa ultima che rafforza ulteriormente questo quadro.

[1] Coblentz e Pabian 2015 Revised Geologic Site Characterization of the North Korean Test Site at Punggye-ri Science & Global Security 23 - Issue 2 http://dx.doi.org/10.1080/08929882.2015.1039343
[2] Zhao et al (2006) Implications based on the first SHRIMP U–Pb zircon dating on Precambrian granitoid rocks in North Korea Earth and Planetary Science Letters 251, 365–379
[3] Kim et al 2013 Tectonic linkage between the Korean Peninsula and mainland Asia inthe Cambrian: Insights from U–Pb dating of detrital zircon. Earth and Planetary Science Letters 368, 204–218