sabato 27 giugno 2015

Le cause comuni delle estinzioni di massa: i dinosauri non si sono estiniti a causa del meteorite ma per le eruzioni dei Trappi del Deccan.


Nel 1980 un gruppo di ricercatori dell'università californiana di Berkeley propose che alla fine del Cretaceo un meteorite condritico cadde sulla Terra, rilasciando una forte anomalia dell'Iridio; le polveri derivate dall'impatto stesso e quelle degli incendi innescati dai residui incandescenti dispersi in tutto il mondo provocarono una sorta di inverno simile al teorizzato inverno nucleare, e portano all'estinzione molti animali, fra i quali i dinosauri. Nel 1991 fu accertata l'esistenza di un cratere nello Yucatan di età e dimensioni compatibili con quanto ipotizzato 10 anni prima e nel 1994 la cometa Shoemaker – Levy cadde su Giove: a questo punto il connubio meteorite – estinzione sembrava ormai certo. In realtà le cose non stanno così, ma questa nozione sta faticando molto ad uscire dal ristretto nucleo di persone che si interessano specificamente dell'argomento. Voglio quindi cercare di far capire che questo e la maggior parte delle estinzione di massa sono avvenute a causa di una particolare attività vulcanica, quella delle Large Igneous Provinces e che anche al K/T si stava mettendo in posto una serie del genere, quella dei basalti del Deccan, circa un milione di km cubi di magmi prodotti per la maggior parte in poche decine di migliaia di anni.

Per una grossa fetta di scienziati, specialmente fuori dal mondo delle Scienze della Terra, per i media e per l'uomo comune non ci sono dubbi: l'estinzione dei dinosauri è dovuta all'impatto di un meteorite avvenuto lungo le odierne coste della penisola dello Yucatan, in Messico. Bene, questa è letteralmente una balla spaziale, per dirla come Mel Brooks. La realtà è molto diversa, ma i cosiddetti “impattisti” hanno silenziato in vari modi gli oppositori di questa ipotesi, per cui per molto tempo nessuno o quasi è stato informato dell'esistenza di una ipotesi alternativa. 
Non lo ero neanche io fino al dicembre 1990, quando su “Le Scienze” due articoli, scritti da dei pezzi da 90 delle ricerche in proposito, confrontavano le due ipotesi sulla estinzione della fine del Cretaceo: il primo sosteneva che la causa fosse la caduta del meteorite nello Yucatan (1), mentre l'altro focalizzava la particolare sincronia fra molte delle principali estinzioni di massa e la messa in posto di grandi espandimenti vulcanici (2).
Questo secondo articolo mi convinse parecchio, e 20 anni dopo, grazie ad un lavoro che ne parlava, capii che quando andai da studente universitario a Gubbio avevo ragione sul fatto che il livello scuro del K/T e un altro livello simile, il Livello Bonarelli, si erano formati per gli stessi motivi.

Nel marzo 2013 si è tenuta al Museo di Storia Naturale di Londra una conferenza che ha riunito i principali esperti sullo studio delle estinzioni di massa; dagli atti, contenuti nel volume speciale n.505 della Geological Society of America, è ampiamente dimostrato che il meteorite con l'estinzione dei dinosauri non c'entra niente. C'è anche una interessante intervista a Gertha Keller che presenta il volume.
In pratica siamo davanti ad un ritorno di quelle che erano le idee precedenti a quando gli Alvarez formularono l'idea del meteorite e cioè che alla radice del problema c'erano dei cambiamenti climatici, in particolare un forte riscaldamento la cui causa, come ipotizzato dagli anni '80, sono i basalti del Deccan. Vediamo perchè.

1. il K/T è stato solo l'epilogo di tutta una serie di fenomeni che hanno provocato una lunga serie di problemi alla vita sulla Terra nel Maastrichtiano superiore. C'è una precisa relazione fra l'evoluzione climatica del Maastrichtiano superiore e del Daniano inferiore con le 3 fasi principali dell'attività nel Deccan. L'impatto invece è avvenuto quando la perturbazione climatica e quella biotica erano in corso da un bel po' di tempo


2. le estinzioni di massa sono legate dal punto di vista temporale con l'attività delle Large Igneous Provinces (LIP): un evento di LIP consiste nella produzione di parecchie centinaia di km3 di magmi (se non milioni). In questa immagine i tassi di estinzione sono confrontati alle LIP: vediamo chiaramente il legame fra i trappi siberiani con l'estinzione di fine Permiano e fra la Provincia dell'Atlantico Centrale con l'evento di fine del Triassico. 
E anche alla fine del Cretaceo c'era una attività di Large Igneous Province simile, i Trappi del Deccan, una serie impressionante di lave che nella Penisola Indiana coprono oggi, dopo 65 milioni di anni di erosione, circa 500.000 kilometri quadrati con spessori che raggiungono i 2000 metri. È una quantità inimmaginabile, capace di coprire tutta l'Italia, isole comprese, con tre Km di lave!
Le LIP degli ultimi 300 milioni di anni (più quella della Yacuzia un pò più antica)

La più antica connessione del genere oggi accertata è quella tra l'estinzione alla fine del Cambriano inferiore e la provincia magmatica di Kalkarindji in Australia, circa 510 milioni di anni fa ma è probabile che si possa andare ancora più indietro, anche a 2 miliardi di anni fa. 
Le uniche eccezioni sembrano essere l'evento di metà Carbonifero e quello di fine Eocene, che condividono un'altra caratteristica: hanno preceduto l'instaurarsi di importanti cicli glaciali

3. il cratere dello Yucatan non è datato al passaggio Cretaceo / Paleocene ma lo precede di qualche decina di migliaia di anni, probabilmente tra 120 e 150 mila: lo si nota perché sopra ai prodotti dell'impatto ci sono sedimenti del Maastrichtiano terminale.
Questo è certificato dalla Commissione internazionale di stratigrafia geologica, secondo la quale il limite K/T viene definito dalla presenza di anche una sola di queste caratteristiche: 
- fase acuta dell'anomalia dell'Iridio, estinzione di tutte le specie tipicamente cretacee di foraminiferi planctonici, a parte Guembelitria cretacea (una forma resistente ad acque particolarmente acide e prive di Ossigeno)
- la presenza dei primi foraminiferi tipicamente paleocenici (ad esempio Parvuloglobigerina eugubina )
- la particolare variazione del δ13C, il rapporto fra la quantità di 12C e 13C nei sedimenti e nei gusci animali (lo stesso osservato alla fine del Triassi
co e alla fine del Permiano, per esempio). 
Non ci sono gli ejecta dell'impatto perché, appunto, è avvenuto prima

l'enorme estensione dei Trappi del Deccan
4. secondo l'ipotesi dell'impatto il K/T è stato un momento freddo e buio a causa delle polveri dell'impatto e degli incendi; invece è successo l'esatto contrario: il limite si colloca durante un forte riscaldamento iniziato circa 50.000 anni prima, provocato dalle emissioni di gas – serra (soprattutto CO2) provenienti dal Deccan. È vero che tra la collisione ed il K/T c'è stato un momento un po' più freddo, in cui è persino possibile la presenza nelle zone polari di piccole calotte glaciali (il che giustificherebbe il momentaneo abbassamento di qualche decina di metri del livello marino) (3). Ma questa fase più fresca è stata causata dai gas e dai volatili rilasciati nella stratosfera nei momenti iniziali della seconda fase dell'attività in India (quella più forte e che era in corso al K/T). È interessante notare che anche negli altri episodi di estinzione di massa la fase acuta si è avuta durante una fase di riscaldamento e aumento del livello marino che ha seguito un momentaneo abbassamento del livello marino in condizioni climatiche più fresche (4)

5. l'estinzione improvvisa dei foraminiferi planctonici è visibile se (e solo se) non viene riconosciuta l'esistenza di una lacuna di sedimentazione, cioè di un momento in cui per qualche motivo, per un certo tempo cessa la deposizione dei sedimenti. In questo caso il problema è dovuto a quella fase a basso livello marino di cui ho parlato qui sopra. Dove invece la sedimentazione è continua si nota una gradualità nelle estinzioni, Fra i casi più noti cito El Kef in Tunisia, Nye Klov in Danimarca o il bacino del Krishna – Gadavari in India, ma ce ne sono decine di altri (5).

6. Il K/T è stato un momento di particolare acidità delle acque marine per il forte aumento del contenuto di CO2. Per gli impattisti proveniva dalla fratturazione dei calcari della piattaforma carbonatica dello Yucatan causata dall'impatto. In realtà il fenomeno è iniziato molto prima dell'evento cosmico ed è stato provocato dalle emissioni di gas legate al vulcanismo del Deccan. Si può inoltre notare che dopo la fase acuta del K/T una diminuzione dell'acidità coincide con un tentativo di recupero della biodiversità; questo tentativo è stato bloccato da un nuovo aumento dell'acidità, avvenuto in corrispondenza della terza fase parossistica dell'attività indiana. Non ci sono evidenze di un aumento dell'acidità scatenato dall'impatto

7. anche l'anomalia dell'Iridio viene dal Deccan: ho scritto un post specifico su questo argomento, che riassumo brevemente: è stata notata nei volatili prodotti da magmi alcalini intraplacca, ad esempio nella corrente eruzione del Kilauea (6) e nei vulcani antartici delle Pleiadi. E, particolare di non trascurabile importanza, la contengono anche i volatili prodotti dal Piton de la Fournaise, il vulcano che è oggi situato dove stava passando l'India nel momento in cui si producevano i Trappi del Deccan (7).
Inoltre come si vede dalla figura tratta dal lavoro del team degli Alvarez del 1980, a Gubbio l'anomalia inizia ben prima del K/T, ha una interruzione e poi riprende fino al picco della fine del Cretaceo (8). Mi spiegate come è possibile che l'anomalia sia iniziata PRIMA della caduta se viene da questa? Inoltre quella prima fase in cui l'iridio aumenta corrisponde (toh...) alla prima fase dell'attività nel Deccan.
Anche nello Yucatan l'anomalia ha un andamento simile a Gubbio.
L'anomalo contenuto di Iridio nei volatili si forma a causa di reazioni nella fase volatile dei magmi alcalini prima che eruttino

8. le microsferule dei sedimenti del K/T non sono alterazione di tectiti (con questo termine si definiscono particelle vetrose prodotte dalla fusione improvvisa delle rocce a causa del calore prodotto dall'attrito con l'atmosfera e dalla collisione stessa e che si sono risolidificate più velocemente di quanto sarebbe stato necessario per formare dei cristalli), ma hanno una origine sedimentaria locale.

9. il K/T è un momento in cui la percentuale di argille smectitiche aumenta temporaneamente diverse volte rispetto alla normalità in cui si depositano argille illitiche. Queste smectiti hanno un forte arricchimento in Ferro, Magnesio e altri elementi metallici contenuti nelle lave del Deccan

10. Anche la presenza di fullereni non implica che siano stati prodotti dagli incendi seguiti all'impatto: ceneri e fullereni sono relativamente comuni in molti sedimenti del Cretaceo superiore a causa della grande diffusione all'epoca di incendi boschivi che era dovuta al contenuto di ossigeno nell'atmosfera, più alto di oggi. Le condizioni di maggiore aridità durante il riscaldamento del Maastrichtiano terminale ne hanno ulteriormente aumentato la frequenza. Da notare che proprio gli incendi sono una parte essenziale delle motivazioni per cui le angiosperme hanno in gran parte sostituito le conifere nella seconda metà del Cretaceo.

11. secondo gli impattisti un livello spesso fino a 3 metri lungo la costa del Golfo del Messico fra Messico settentrionale e Texas rappresenta i depositi dello tsunami provocato dall'impatto. Ora, a parte la ricostruzione molto fantasiosa degli eventi (onda di ritorno compresa...) il livello mostra 3 lunghe interruzioni della deposizione contrassegnate da paleosuoli e tracce di attività degli animali che vivevano sul (e nel) fondo marino. In realtà questo livello risale alla famosa fase a basso livello marino di cui sopra in cui ci sono state temporanee interruzioni della sedimentazione ordinaria e ripristinate le condizioni normali la sedimentazione è ritornata ad essere quella marnosa precedente

12. ci sono diverse evidenze sul fatto che l'epicentro della crisi biotica sia stato in India e non nei Caraibi

13. recenti studi sul paleomagnetismo hanno dimostrato che le lave della seconda fase dei trappi del Deccan si sono deposte in un tempo ridottissimo, poche decine di migliaia di anni (9). La concentrazione estrema delle eruzioni ha rivoluzionato i modelli climatici che invece consideravano una attività protrattasi per diverse centinaia di migliaia di anni, secondo i quali era difficile che i gas emessi dalle eruzioni potessero concentrarsi in maniera tale da provocare tutti questi danni

14. l'eruzione in Islanda del Laki nel 1783 (ne ho parlato qui) rappresenta una simulazone anche se debolissima di cosa succede durante un evento di Large Igneous Province: con “solo” 17 km3 di magma prodotti (contro le decine di migliaia di una singola colata di LIP) una nebbia secca avvolse l'Europa, provocando danni all'agricoltura e un aumento del tasso di mortalità per patologie respitatorie e – a cascata – cardiache.

15. e questa è l'ultima (e la più bella): le più recenti tracce di esistenza dei dinosauri sicuramente datate precedono il K/T di almeno 400.000 anni, anche nella mitica formazione di Hell Creek nel Montana. Di fatto non è ancora stata dimostrata la presenza di dinosauri in epoche più vicine al K/T: chiunque lo dice non porta chiare dimostrazioni: sono chiaramente fossili del Maastrichtiano superiore ma non ci sono indizi che appartengano proprio alla fase finale. E non lo dico io ma J.Davis Archibald, che è uno dei massimi esperti del settore, secondo il quale non è dato sapere ancora se i dinosauri si sono estinti improvvisamente o gradualmente, né di rpeciso quando. Si nota comunque una diminuzione della loro diversità in tempi precedenti (10).

Concludendo, i trappi del Deccan sono una causa decisamente convincente per capire le motivazioni e l'andamento dell'estinzione di massa di fine Cretaceo, mentre l'impatto dello Yucatan assolutamente non lo è.
E anche Alvarez figlio adesso si sta limitando a proporre che l'impatto abbia in qualche modo accelerato la messa in posto dei basalti della seconda fase del magmatismo indiano.
Ma quello che è successo nel Deccan è successo diverse altre volte, e senza un meteorite a rompere le scatole....

(1) Alvarez W e Asaro (1990) Un impatto extraterrestre. Le Scienze 204, 40–46
(2) Courtillot (1990) Un'eruzione vulcanica. Le Scienze 268, 47–54
(3) Miller et al., (2005) Visions of ice sheets in a greenhouse world. Marine Geology 217, 215–231
(4) Keller et al., (1993) Gradual mass extinction, species survivorship, and long-term environmental changes across the Cretaceous-Tertiary boundary in high latitudes. Geological Society of America Bulletin 105/8; 979 – 997
(5) Hallam e Wignall (1999) Mass extinctions and sea-level changes Earth-Science Reviews 48, 217–250
(6) Olmez et al., (1986), Iridium emissions from Kilauea Volcano. Journal of Geophysical Research – Solid Earth 91/B1, 653–663
(7) Toutain & Meyer (1989) Iridium‐bearing sublimates at a hot‐spot volcano (Piton De La Fournaise, Indian Ocean), Geophys. Res. Lett.16(12), 1391-1394
(8) Alvarez L. et al., 1980, Extraterrestrial causes for the Cretaceous - Tertiary extinction K/T Experimental results and theoretical interpretation. Science 268, 1095–1108
(9) Chenet et al., (2009) Determination of rapid Deccan eruptions across the Cretaceous-Tertiary boundary using paleomagnetic secular variation: 2. Constraints from analysis of eight new sections and synthesis for a 3500-m-thick composite section. Journal of Geophysical Research, vol 114, no. B6, B06103, pp. 1-38., 0.1029/2008JB005644
(10) Archibald J.D., (2014), What the dinosaur record says about extinction scenarios. Geological Society of America Special Papers 505, 213–224


martedì 23 giugno 2015

Smaltimento in pozzi profondi dei reflui del fracking e sismicità indotta: chiariti finalmente i rapporti


Ho parlato spesso del fracking, pratica ambientalmente molto discutibile, e della sismicità indotta che non è causata dal fracking in se e per sé ma dalla reimmissione in pozzi profondi di quella parte dei fluidi impiegati che, anziché starsene buoni buoni a qualche migliaio di metri di profondità nella roccia fratturata, torna indietro e deve essere in qualche modo depurata o smaltita a causa del suo contenuto “non propriamente salubre”. In USA la scelta principale è quella di collocarla in profondità per allontanarla dalle falde acquifere superficiali e dalle acque dolci, ma questo sistema ha portato nella zona centrale degli “States” un aumento esponenziale della sismicità, con qualche episodio piuttosto forte. Quindi una serie di studi hanno cercato di capire le motivazioni di tutto questo e ora, finalmente, dopo aver stabilito che la sismicità è dovuta alla reiniezione, si è capito perchè il fenomeno si attiva solo su alcuni pozzi. A questo punto si aspettano i rimedi.

L'ultimo articolo su Science a proposito dei rapporti fra sismicità indotta e estrazione di idrocarburi registra diverse reazioni scomposte anche in Italia: da un lato i "petroliofili" che gridano vittoria dicendo che è successo solo nel 10% dei casi, negando poi tutte le controindicazioni ambientali del fracking (finanche la pericolosità dei composti chimici impiegati), dall'altra gli ambientalisti nostrani che gridano allo scandalo e che anche per questo proclamano che non sia il caso di trivellare l'Adriatico (continuando a non capire che in Italia non si può fare fracking...). Non ne posso più... 

Vediamo dunque di ricapitolare la situazione.
Dal 2009 è bruscamente aumentata la frequenza della attività sismica nell'area centrale degli USA, quella delle grandi pianure e degli altopiani posta tra le Montagne Rocciose a Ovest e gli Appalachi ad est; molti eventi sono stati avvertiti dalla popolazione e qualcuno ha persino provocato forti danni in un'area in cui, siccome non se ne sentiva il bisogno, gli edifici sono stati costruiti non certo per resistere ai terremoti.
L'aumento è estremamente evidente, mentre si nota che la sismicità naturale non associata alle reiniezioni sia rimasta più o meno costante.
Di questi eventi i più forti sono stati nel 2011: Prague (M 5.6, Oklahoma), Trinidad (5.3, Colorado) e Guy (4.7, Arkansas); nel 2012 si è registrato il terremoto di Timpson (M 4.8, Texas). Il fenomeno continua: ad esempio in Oklahoma nel 2014 si sono prodotti 32 terremoti con M 4 o più, contro gli zero del 1994. La nuova situazione ha ovviamente suscitato un serio allarme nella popolazione e nelle autorità e la comunità geologica americana ha iniziato a studiare la situazione (anche se l'industria del petrolio americana ha sempre cercato di minimizzare la questione). Per una presentazione della storia delle ricerche in proposito, potete leggere questo mio post di 2 anni fa.

il Fracking: perforazione orizzontale che rompe
una serie di rocce di origine argillosa dure e compatte
L'ipotesi di una associazione fra questi terremoti e la nuova pratica della perforazione orizzontale, il fracking, era suggerito dalla contemporaneità degli eventi. Ben presto però è stato chiaro che la colpa non fosse da addebitare al fracking in se stesso, ma rappresentasse un danno collaterale di una pratica accessoria, l'immissione in profondità dei cosiddetti liquidi di flow – back, quella parte delle acque immesse a pressione nel sottosuolo per rompere le rocce contenenti il gas che, anziché rimanere tranquilla dove è arrivata, se ne torna indietro (tipicamente un po' meno del 20% del totale).

Questo fenomeno, tuttavia, non è diffuso in maniera costante ma riguarda più specificamente certe aree rispetto ad altre. La domanda quindi era capire perché alcuni pozzi di reiniezione provocano terremoti e altri no. Cliff Frohlich, uno che di queste cose si è occupato approfonditamente, nel 2010 notò nell'area del Texas dove viene coltivato il Barnett Shale, una delle formazioni più importanti del sistema americano di oil e gas shales, che il collegamento fra sismicità indotta e pozzi di reiniezione avveniva in presenza di ritmi di reiniezione superiori ai 150.000 barili (17.350 m3) al mese (1).

La reiniezione dei fluidi può avere due scopi:
- il primo è la stimolazione della produzione dei pozzi di idrocarburi convenzionali (pozzi "EOR": Enhanced Oil Recovery): si iniettano liquidi per poter ricavare altro petrolio da riserve impoverite
- il secondo è il collocamento in una riserva profonda di acque inquinate che sarebbero un pericolo per le acque superficiali e per quelle delle falde sfruttate a scopi idropotabili e irrigui (pozzi "SWD": Salt Water Disposal)

Questo collegamento è stato esteso dall'area del Barnett Shale a tutti gli USA centrali da altri ricercatori americani che hanno pubblicato i loro risultati questo mese su Science (2).
Nel lavoro sono sotto inchiesta sia le attività di estrazione convenzionali che le reiniezioni direttamente conseguenti al fracking. I pozzi EOR rappresentano il 75% del numero dei pozzi, ma è più facile che siano gli SWD a provocare terremoti, perché nei primi il quantitativo di fluidi immessi deve essere più o meno uguale a quello dei fluidi estratti dai pozzi petroliferi attivi (per cui le variazioni di pressione dei fluidi nel sottosuolo rimane più o meno costante), mentre i secondi immettono fluidi in zone dove non c'è estrazione e quindi ne risulta un aumento della pressione dei liquidi nel sottosuolo.

L'associazione fra reiniezione e sismicità indotta non è costante. Se la sismicità indotta si produce sempre vicino ai pozzi, non è vero il contrario: ci sono ampie zone in cui si reinietta senza sismicità indotta. Sono stati esaminati (ovviamente tramite software...) i dati di 187.000 pozzi incrociandoli con gli eventi sismici (o, meglio, con l'incremento degli eventi sismici) avvenuti entro i 15 km di distanza, ricavati dall'Advanced National Seismic System's compprehensive earthquake catalog. L'associazione fra pozzi e scosse è stata trovata in circa il 10% dei casi.
Per cui la reiniezione è una condizione necessaria ma non è da sola sufficiente per indurre la sismicità. In questa carta sono segnati in blu i pozzi che non hanno dato problemi, in giallo quelli che li hanno dati.
Carta dei pozzi di reiniezione da (2): si nota il raggruppamento nello spazio di quelli coinvolti nella sismicità

Quindi vanno cercati altri parametri che la devono influenzare. Weingarten e i suoi hanno considerato:
- il volume di fluidi iniettato
- il tasso di iniezione
- la pressione alla testa del pozzo
- la distanza dal basamento cristallino.

Questa ultima merita una precisazione per i non geologi: anche dove in superficie ci sono rocce sedimentarie prima o poi scendendo si incontrano rocce cristalline. Negli USA centrali questo succede a profondità molto diverse: ci sono punti dove poche centinaia di metri di sedimenti coprono il basamento, mentre in altri punti bisogna sono parecchie migliaia di metri.

Di questi parametri il tasso di iniezione risulta quello più importante, come era emerso nel 2012 e come si vede dalla figura qui sopra: la percentuale di pozzi associati con la sismicità indotta aumenta all'aumentare del tasso di iniezione. Non ci sono invece particolari associazioni fra sismicità e quantità totale di fluidi introdotti.

Vediamo ora un'altro aspetto: la relazione spaziale fra terremoti naturali e "artificiali":
in quest'altra carta, sempre tratta da (2), i cerchi bianchi rappresentano la sismicità naturale,
quelli rossi la sisimicità indotta

La carta qui sopra suggerisce che anche la sismicità indotta abbia una logica “geologica”, perché i terremoti artificiali (cerchi rossi) si innescano in generale nelle stesse zone di quelli, sia pure infrequenti, di origine naturale. Quindi insieme al motivo per cui il fluido viene iniettato (stimolazione della produzione o stoccaggio permanente) e alla sua quantità, va considerata anche la geologia del sito, in particolare la vicinanza del pozzo ad una faglia attiva o quiescente. 
Il criterio geologico decisivo è quello della profondità del basamento cristallino: vediamo la carta di Mooney e Kaban della profondità del basamento cristalino in USA (3). Di fatto ci sono zone dove l'attività di iniezione è molto intensa ma non c'è traccia di attività sismica né naturale ne indotta e sono tutte aree dove la copertura sedimentaria molto spessa: per esempio alcuni grandi bacini sedimentari, come quello del San Juan (New Mexico), di Williston (nord Dakota) e del Michigan e le aree costiere di Texas e Louisiana.

È evidente che in questi bacini sedimentari lo spesso volume di depositi non è interessato da faglie, oppure queste non sono nelle condizioni di attivarsi in presenza di un alto tasso di iniezione di liquidi come quelle del basamento cristallino.
Le zone dove il basamento è molto meno profondo, come l'Oklahoma e l'interno del Texas, sono invece quelle più soggette al fenomeno.

A questo punto ritengo che questo articolo possa mettere la parola fine (se qualcuno continuasse ad insistere al proposito) sulla stupidissima questione dell'innesco artificiale dei terremoti emiliani del 2012, dovuto secondo qualche personaggio un po' eccentrico alla attività di estrazione di idrocarburi (e in particolare alla reiniezione nel pozzo Cavone).

BIBLIOGRAFIA SCIENTIFICA CITATA:

(1) Frohlich (2012) Two-year survey comparing earthquake activity and injection-well locations in the Barnett Shale, Texas. PNAS 109;13934–13938
(2) Weingarten et al. (2015): High-rate injection is associated with the increase in U.S. mid-continent seismicity. Science 348; 1336 – 1340
(3) Mooney and Kaban (2010) The North American upper mantle: Density, compositionm and evolution J. Geophys. Res. 115, B12424

lunedì 22 giugno 2015

La frana di Ricasoli (Montevarchi - Arezzo): situazione e monitoraggio


L'abitato di Ricasoli è posto sulle colline del Valdarno superiore, nel comune di Montevarchi. Questo piccolo centro abitato è gravemente interessato da una serie di dissesti franosi (sul versante a nord dal 2001 e su quello a sud dal 2013) che hanno messo a rischio diversi edifici. Ci sono in atto delle operazioni di monitoraggio della situazione e i lavori per mettere in sicurezza l'abitato sono stati in parte realizzati. La situazione è quindi costantemente sotto controllo della strumentazione messa in opera dal gruppo di Geologia Applicata del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze e rappresenta un interessante caso di studio.

Le Balze del Valdarno presso Piantravigne
Sull'origine della fossa del Valdarno Superiore e degli altri bacini della Toscana ci sono punti di vista diversi, come avevo sottolineato qui. Qualunque ne sia l'origine, tra il Pliocene superiore e il Pleistocene inferiore, diciamo tra 3 e 1,8 milioni di anni fa, la vallata è stata occupata da un sistema lacustre a cui appartengono tutti i sedimenti che affiorano al suo interno, il cui spessore massimo è di circa 500 metri e che sono suddivisibili in 3 cicli diversi. All'epoca il clima era subtropicale, caldo e umido: i laghi scomparvero per l'abbassamento del livello marino e l'instaurarsi di un clima più secco all'inizio dell'era glaciale; da quel momento l'erosione ha modificato il paesaggio e i depositi fluvio – lacustri formano le dolci colline che caratterizzano la vallata.

Queste colline, indubbiamente suggestive, sono particolarmente prone a fenomeni erosivi perchè i sedimenti plio - quaternari hanno una scarsa coesione e qjuindi godono di scadenti proprietà geotecniche; in aggiunta  ci sono livelli ad elevato contenuto in materia organica, dalle caratteristiche ancora peggiori; ne risultano un arretramento dei versanti continuo e costante (anche se difficilmente apprezzabile a scala temporale umana) e una elevata franosità, specialmente in presenza di alcune litologie. Inoltre a causa della natura del terreno e dei suoli e della diffusione dei depositi delle frane, una buona parte delle acque piovane anziché scorrere via si infiltra nel suolo, imbevendolo e peggiorando ulteriormente la situazione.
Perciò l'area è letteralmente tappezzate da frane, di cui una buona parte attualmente quiescenti (ma che vanno riconosciute per evitare guai).
I fenomeni franosi si possono dividere a seconda della litologia prevalente: le pareti sabbiose sono soggette a crolli, le aree argillose e limose sono invece soggette a scivolamenti.

L'erosione ha prodotto nel versante sinistro dell'Arno un sistema di crinali e valli perpendicolari al bacino. I crinali hanno più o meno tutti la stessa altezza che corrisponde quindi più o meno alla superficie più alta a cui era giunto il fondo dei laghi preesistenti. 
Ricasoli è un suggestivo borgo situato su uno di questi crinali e oltre al classico arretramento dei versanti è interessato oggi da una frana principale superficiale nel versante settentrionale e da una serie di altri dissesti su entrambi i lati. In questa immagine, per confronto ed esempio, sono segnate le frane recenti visibili sul crinale a nord di quello di Ricasoli, che si vede dal paese (la più grande ha addirittura due nicchie diverse a testimoniare la sua complessità).



Il costone è essenzialmente costituito dalle sabbie di Casa La Loccaia e questo è un problema proprio perché le sabbie sono molto permeabili e quindi presentano una circolazione idrica sotterranea che le indebolisce. Queste sabbie appartengono all'ultimo ciclo sedimentario del Valdarno e poggiano sui depositi del secondo ciclo.
Il contatto fra le sabbie e i sottostanti limi e sabbie del torrente Oreno (appartenenti al secondo ciclo sedimentario) non è visibile in affioramento nell'area ma solo grazie alle stratigrafie ricavate dai pozzi.
Sotto alla formazione dei limi e sabbie del torrente Oreno troviamo le argille del torrente Ascione e i limi di Terranova.


La frana superficiale principale del versante nord è iniziata nel 2001 a seguito di forti precipitazioni, nella zona più a monte dell'abitato. A questa sono seguiti altri crolli e scivolamenti che si sono propagati lungo questo lato, verso valle. Nel versante sud, che già nel dopoguerra aveva subito importanti dissesti (i più anziani ricordano perfino una strada ora franata dove erano addirittura passati dei carri armati), i fenomeni sono ricominciati solo nel 2013. Hanno minori dimensioni, una tendenza evolutiva più lenta ma hanno interessato maggiormente la zona edificata.

Un'altra conseguenza delle frane è la perdita di questo questo pozzo, posto a metà del costone nord: è diventato improduttivo perché il terreno si è mosso circa 4 metri sotto di esso, rompendone la camicia. 

Esistevano poi  delle indicazioni per cui era probabile anche l'esistenza di uno scivolamento profondo. I dati del monitoraggio hanno successivamente confermato l'ipotesi: la zona è interessata pure da un movimento non visibile in superficie; lo scorrimento, suborizzontale, avviene lungo su una superficie posta una ventina di metri sotto il piano di campagna della valle; è possibile che corrisponda al contatto fra i limi e sabbie di Oreno e le argille dell'Ascione, ma siccome queste contengono degli intervalli di torbe in cui il valore di resistenza al taglio è piuttosto basso, la superficie potrebbe corrispondere ad un livello più debole ad alto contenuto organico (torba), costituendo un orizzonte prono allo scivolamento.

Il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze si occupa del monitoraggio di questa zona di dissesto con una strumentazione piuttosto varia.
Inizialmente sono stati eseguiti una dozzina di sondaggi tramite delle perforazioni profonde tra 40 e 90 metri); una parte di questi pozzi è stata attrezzata con tubi inclinometrici, estensimetri a filo e piezometri. Su questi pozzi vengono effettuate misurazioni periodiche con una sonda che misura ogni 50 centimetri le variazioni angolari del tubo inclinometrico e permettono di individuare le superfici di scivolamento. 
Le misure sono affiancate a prove di resistenza in situ e prove dei materiali in laboratorio. 

 Un estensimetro su un edificio e dei distanziometri laser
In seguito è stata approntata una rete di monitoraggio su alcuni edifici a rischio, comprendente distanziometri ed fessurimetri. 
Tutta questa strumentazione è automatica e i sensori sono collegati ciascuno ad un proprio nodo (visibile accanto allo strumento e che lo interroga a intervalli predeterminati). Il nodo fa parte di una rete wi-fi dedicata che opera a frequenze diverse da quelle normalmente in uso, grazie alla quale trasmette i dati ad un nodo centrale, dal quale vengono inviati via GSM ad un terminale remoto. I nodi, specialmente quelli più lontani, possono comunicare con quello centrale anche attraverso gli altri nodi se non riescono ad ottenere una connessione diretta.

il nodo centrale  per trasmette i dati provenienti dagli strumenti
e  il pannello solare che ne ricarica le batterie
Il nodo centrale, oltre alla batteria è munito di pannelli solari a causa del suo maggior consumo di energia. Altri pannelli solari alimentano una stazione meteorologica, che è stata intallata a completamento del monitoraggio per ottenere in tempo reale vari parametri tra i quali sono specificamente importanti la pluviometria e l'igrometria.

Tutto funziona a batterie senza collegamenti con la rete elettrica. Il sistema a batterie è stato sviluppato per lo studio delle frane non solo perché non sempre dove c'è una frana ci sono a disposizione punti per il prelievo di energia elettrica, ma anche perché così si evitano problemi dovuti ai frequenti sbalzi di tensione. Per cui anche dove la rete elettrica è disponibile è sempre preferibile evitare di allacciarvisi. Quanto alla durata delle batterie il sistema è ottimizzato per una loro lunga durata e sono di facile sostituzione. 
Naturalmente è stato effettuato anche un censimento delle fratture sugli edifici che viene costantemente aggiornato in caso di novità. 


In questa immagine si vede la sistemazione della frana principale sul versante nord. Sono state messe in posto delle palificazioni in legno e terre armate, accompagnate da reti. Qualche perplessità suscita la realizzazione del sistema di drenaggio: è essenziale che l'acqua eviti quanto più possibile di immettersi nella zona in frana e quella che ci entra deve essere immediatamente fatta evacuare e i dreni realizzati paiono un po' troppo superficiali mentre dovrebbero andare più in profondità.


Un altro provvedimento importante visibile qui sopra è stato lo sbancamento della parte più alta della collina nella zona non abitata, effettuato togliendo uno spessore di un metro di terreno per alleggerire lo sforzo sulla zona in frana. 
Per evitare che le acque piovane si infiltrino nel terreno sotto l'area sbancata, è interessante la realizzazione di un canale a trincea subito prima della scarpata per convogliarle nella rete fognaria (visibile con un pò di attenzione dalla fotografia). Simili trincee sono state realizzate anche sui gradoni della sistemazione della frana.

Purtroppo a valle della sistemazione le frane continuano sul versante nord, mentre sul versante sud i lavori non sono ancora partiti. Sono stati solamente coperti con dei teli di plastica a scopo di impermeabilizzazione alcuni terreni.

Ricasoli rappresenta un buon laboratorio sulle dinamiche geologiche di un centro abitato situato su una zona in frana. 
La presenza della rete di monitoraggio costituisce un indubbio vantaggio per i residenti: dà loro la tranquillità di sapere che in mancanza di allarmi la situazione è stabile e avverte prima che avvengano movimenti importanti: in questo contesto è importante anche la presenza della stazione meteorologica, in grado di valutare quando il maltempo rischia di provocare guai. 
Vista la tipologia dei fenomeni, è necessario che il monitoraggio dei movimenti rimanga permanente per tenere sotto controllo eventuali problemi futuri.

venerdì 19 giugno 2015

Anche l'anomalia dell'Iridio osservata al passaggio Cretaceo – Paleocene proviene dai Trappi del Deccan e non dall'impatto dello Yucatan


L'anomalia dell'iridio costituisce uno dei principali aspetti che hanno concorso alla formulazione dell'ipotesi dell'impatto meteoritico per spiegare l'estinzione dei dinosauri e di tante altre forme di vita al passaggio Cretaceo – Terziario ed era presente nel 100% delle sezioni disponibili all'epoca. Con il progresso della ricerca - tuttavia - oggi la troviamo solo in un quarto delle seziono del K/T conosciute (85 su 345). 
Ormai è chiaro che anche l'anomala abbondanza di Iridio proviene dai Trappi del Deccan e non dal meteorite. Un altro passo per chiudere definitivamente con quella balla spaziale dell'asteroide – killer e vedere l'evento della fine del Mesozoico innescato da immense eruzioni basaltiche come è successo per tutti gli altri eventi di estinzione di massa (con forse un paio di eccezioni). Vediamo perché.
La figura in (1): il K/T corrisponde al punto J.
Il Maastrichtisno comincia un pò sotto il punto C
L'anomalia dell'Iridio inizia vicino al punto F,
un pò dopo l'inizio del Maastrichtiano superiore 

La ricerca di possibili cause terrestri dell'anomalia dell'iridio è nota solo agli addetti ai lavori, eppure già dagli anni '80 c'era chi la faceva risalire ai basalti del Deccan. Cominciamo con un aspetto decisivo della questione: l'esame dei sedimenti evidenzia un picco principale dell'anomalia al K/T, ma questa comincia ben prima (anche il gruppo degli Alvarez lo aveva chiaramente indicato nella figura 3 del lavoro su Gubbio del 1980 (1), ma ha glissato su questo particolare di non trascurabile importanza). La stessa cosa è stata notata in parecchi altri luoghi. Se l'Iridio fosse stato rilasciato improvvisamente da un evento istantaneo, sarebbe logico aspettarsi un brusco picco iniziale. Invece abbiamo una ascesa graduale, che comincia centinaia di migliaia di anni prima.
Pertanto si rendeva necessario trovarne altre possibili sorgenti. Una buona spiegazione era che nei dintorni del K/T ci sarebbe stata una serie di impatti multipli, ciascuno dei quali avrebbe rilasciato Iridio e altre cose come le microsferule.
Livelli veramente alti di Iridio sono presenti soltanto in sei località: Stevns Klint in Danimarca, Caravaca in Spagna, El Kef e Elles in Tunisia, Meghalaya in India, e Woodside Creek in Nuova Zelanda. In quest'ultima località alcune microsferule ad alto tenore di Iridio sono state interpretate come alterazione di cristalli di pirite formatisi in situ. La stessa spiegazione è quella oggi più accettata anche per i livelli ad elevato contenuto di cristalli di pirite nel Fiskeler.

Le microsferule in Nuova Zelanda da (2)
In secondo luogo la distribuzione della quantità di Iridio non segue un criterio di distanza dallo Yucatan: ad Haiti e in Messico ci sono concentrazioni intorno a 1 ppb, contro 48 in Danimarca, 6 a Gubbio, 56 in Spagna e 72 in Nuova Zelanda (però ad essere precisi non segue neanche un criterio di distanza dall'India). Perché avviene tutto questo? Perché l'Iridio si deposita meglio in un ambiente riducente che in un ambiente ossidante e infatti ne troviamo una pronunciata anomalia dove al passaggio Cretaceo – Paleogene si stavano sedimentando argille ad alto tenore di materia organica e/o solfuri tipici di un ambiente privo di ossigeno: questi livelli possono essersi comportati come trappole per concentrare gli elementi siderofili. Ne consegue che l'assenza di condizioni chimiche appropriate può aver prevenuto la precipitazione dell'Iridio presente comunque nell'acqua o in atmosfera, o di altri elementi siderofili; questa ipotesi viene confermata dalla mancanza dell'anomalia dove non si sono verificate le anossie ed è continuata la sedimentazione calcarea.
In terzo luogo nessuna anomalia è stata trovata negli ejecta di Chicxulub, dove è presente una debole concentrazione di Iridio – minore di 1 ppb – soltanto nei sedimenti sovrastanti che datano al Cretaceo terminale (i sedimenti del Maastrichtiano superiore dimostrano che la caduta del meteorite è avvenuta prima del limite K/T).

Troviamo tracce di anomalia dell'Iridio in altre occasioni che rappresentano momenti particolari nella storia della vita sulla Terra, per esempio nella Repubblica Ceca, associata (toh!) a degli scisti scuri di origine anossica dall'importante contenuto di materia organica; sono rocce antichissime, hanno oltre 600 milioni di anni e dunque sono più antiche del Cambriano. Altre anomalie sono state evidenziate in alcuni limiti corrispondenti ad altri eventi di estinzione di massa, come quello fra il Precambriano ed il Cambriano e alla fine del Devoniano.

Però, per attribuire alle eruzioni indiane l'anomalia dell'Iridio i ricercatori hanno avuto un problemino di non trascurabile importanza: di questo elemento nei trappi ce n'è davvero poco. Anzi, la sua concentrazione è più alta nei sedimenti deposti tra una colata e l'altra (da 0,05 ppb a 0,12 ppb) che nelle lave (0,027 ppb)!!
Un dato simile appare a prima vista molto sconfortante e difatti gli impattisti l'hanno presa come una dimostrazione delle origini extraterrestri.
Eppure per capire che la provenienza dell'iridio dal Deccan era possibile (anzi, probabile) sarebbe bastata una semplice ricerca bibliografica, cosa che evidentemente o non hanno fatto o ne hanno ignorato i risultati a bella posta.

La storia ha inizio nell'isola di Hawaii, quando nel gennaio del 1983 cominciò l'eruzione del Kilauea ancora in corso oggi, dopo ben 30 anni. Sul Mauna Loa, un'altro dei grandi vulcani dell'isola, c'è un osservatorio nato per monitorare i cambiamenti climatici osservando da oltre 50 anni la circolazione globale di particelle solide nell'atmosfera e la composizione dei gas. In quei giorni nei filtri usati per campionare le particelle solide si accumulò oltre al normale pulviscolo atmosferico, un po' di polvere proveniente dalle fasi iniziali dell'eruzione del Kilauea, con una anomala concentrazione di alcuni elementi (selenio, arsenico, indio, oro e zolfo).
Fu soprattutto evidenziata una pazzesca anomalia dell'Iridio, per cui, ad esempio, il rapporto iridio / alluminio di queste emissioni era 17.000 volte superiore a quello delle lave del vulcano! I ricercatori supposero che l'iridio contenuto nelle lave fosse stato prelevato dal liquido finendo in un composto volatile, probabilmente un fluoruro (3).
La cosa si faceva decisamente interessante e per capirci di più i ricercatori andarono direttamente alla fonte dei volatili, le fumarole del Kilauea, che mostrarono lo stesso arricchimento.
Probabilmente queste sono le osservazioni che portarono Officer e Drake a indicare già nella prima metà degli anni '80 le lave del Deccan come origine dell'Iridio (4).
Anche alcune lave fresche del Kilauea contengono quantità abbastanza ingenti di Iridio (0.40 ppb), che però si trovano essenzialmente nei cristalli di cromite, un ossido di Cromo che è uno dei primi minerali a cristallizzare durante la risalita del magma: l'Iridio può sostituire il Cromo nei reticoli cristallini, perché i due elementi hanno dimensioni atomiche compatibili.

Nel 1989 ci fu un'altra scoperta analoga in polveri provenienti dai vulcani antartici delle Pleiadi, deposte sui ghiacci del Continente Bianco: come quelli hawaiiani, anche questi magmi si originano in profondità nel mantello e il tenore di Iridio delle polveri è oltre 100 volte maggiore di quello delle lave (5).
Anomalie nel contenuto di Iridio sono state trovate in varie serie stratigrafiche ben distribuite nello spazio e nel tempo e non solo nei dintorni del passaggio Cretaceo / Paleogene; oggi è chiaro che sono una caratteristica abbastanza comuni nei prodotti volatili che si liberano durante la risalita di alcuni magmi di origine profonda che vengono in superficie in zone lontane dai margini di zolla (i vulcani dei cosiddetti punti caldi).
In questi magmi la presenza di una certa quantità di zolfo promuove una serie di reazioni grazie alle quali si formano composti volatili in cui si inserisce l'Iridio (di solito dei fluoruri), abbattendo la quantità di Iridio nella fase liquida e aumentandola in quella volatile.

Nel 2008 due ricercatori indiani hanno studiato i sedimenti della valle del fiume Narmada nell'India centrale, Siamo in mezzo ai basalti del Deccan, in un luogo dove le colate si mettevano in posto in un ambiente palustre con laghi abbastanza estesi che si ripristinava ogni volta che cessava l'attività vulcanica. In quella zona fra l'altro vivevano molti dinosauri, di cui sono state trovate soprattutto le uova. In una serie sedimentaria spessa circa 6 metri fra due delle tante colate ci sono 3 orizzonti di colore scuro molto interessanti, spessi meno di un centimetro, a distanza di 25 / 30 centimetri l'uno dall'altro, con un alto tenore di Iridio: i primi due 1300 ppb, il terzo 700 (6). Non sono molto convinto della datazione assoluta di questi depositi presentata in quel lavoro, ma sicuramente sono di poco più vecchi del K/T perché contengono faune del Maastrichtiano superiore.
Tutti i sedimenti della zona provengono dall'erosione meccanica e chimica delle lave sottostanti ma forti anomalie positive dell'Iridio le troviamo esclusivamente in quei tre livelli, a dimostrare che alti valori di iridio nei sedimenti si formano solo in una situazione chimica molto particolare.

Cono attuale del Piton de la Fournaise
all'interno della caldera di circa 5.000 anni fa
Per concludere bene la faccenda e dimostrare un legame stretto fra Iridio e Trappi del Deccan, i volatili prodotti dal Piton de la Fournaise, il vulcano dell'isola di Reunion, nell'Oceano Indiano mostrano un alto contenuto di Iridio, molto maggiore di quello delle sue lave. Anche in questo caso, come nelle Hawaii, l'iridio è associato a minerali del fluoro (7).
Perchè questa osservazione è così importante? Perché, il Piton de la Fournaise attualmente si trova sulla posizione dell'India quando sono stati eruttati i basalti del Deccan.
Siamo quindi davanti alla ennesima argomentazione in favore dell'idea che l'anomalia dell'Iridio al limite Cretaceo/Terziario abbia avuto origine dai Trappi del Deccan.

Queste cose che fanno crollare una certezza fondamentale degli impattisti sono note da oltre 20 anni, ma purtroppo poco conosciute fuori dal ristretto novero di chi studia le estinzioni di massa

BIBLIOGRAFIA CITATA:

(1) Alvarez et al., 1980: Extraterrestrial causes for the Cretaceous - Tertiary extinction K/T Experimental results and theoretical interpretation. Science 268, 1095–1108
(2) Brooks et al., 1985: Weathered spheroids in a Cretaceous/Tertiary boundary shale at Woodside Creek,
New Zealand Geology 13, 738-740
(3) Zolleer et al.,1983: Iridium Enrichment in Airborne Particles from Kilauea Volcano. Science 222, 1118–1121
(4) Officer e Drake, 1983: The Cretaceous-Tertiary Transition. Science 219, 1383–1390
(5) Koeberl, 1989: Iridium enrichment in volcanic dust from blue ice fields, Antarctica, and possible relevance to the K/T boundary event. Earth and Planetary Science Letters 92, 317–332
(6) Shrivastava e Ahmad 2005: A review of research on Late Cretaceous volcanic-sedimentary sequences of the Mandla Lobe: implications for Deccan volcanism and the Cretaceous/Palaeogene boundary. Cretaceous Research 26/1, 145–156
(7) Toutain e Meyer 1989: Iridium‐bearing sublimates at a hot‐spot volcano (Piton De La Fournaise, Indian Ocean), Geophys. Res. Lett.16(12), 1391-1394