mercoledì 30 dicembre 2015

I Desmostili: un ordine di mammiferi terziari poco conosciuto ma dalle abitudini particolari


Ci sono 7 casi documentati di un ritorno al mare da parte di Mammiferi placentati; alcuni sono conosciutissimi dal pubblico (orso polare, lontra marina, Pinnipedi e Cetacei); altri meno (i Sirenidi). Inoltre ci sono due ritorni che riguardano il passato, sono noti esclusivamente con i fossili: un bradipo acquatico (Thalassocnus) e i Desmostili. Questi ultimi occupano un posto molto particolare. Innanzitutto sono conosciuti come “ordine”: anche se oggi termini come Classe, Ordine, Famiglia e simili tendono ad essere sostituiti tutti dal termine “clade”, la collocazione dei Desmostili in un ordine a se stante ne dimostra la estrema particolarità nella morfologia e nelle abitudini. Inoltre sono ancora poco conosciuti e proprio per questo meritano una certa attenzione, anche nel quadro evolutivo generale dei mammiferi cenozoici.

I primi fossili di Desmostili sono stati trovati alla fine del XIX secolo: in California i reperti furono attribuiti all'ordine dei Sirenidi, in Giappone invece l'incertezza fu maggiore, con due ipotesi sul tappeto, Sirenidi o primitivi proboscidati; ma erano anche state notate differenze significative con la morfologia di questi gruppi.
Come in genere succede nei mammiferi i fossili di Desmostili sono pochi, incompleti e spesso mal conservati. La storia dei Mammiferi (e degli animali terrestri in generale) è sostanzialmente un racconto fatto di denti e mandibole, le parti più resistenti alla distruzione da parte degli agenti atmosferici e/o da parte degli animali spazzini. In particolare i Desmostili sono ben riconoscibili proprio dalla particolare e caratteristica morfologia dei denti, che presentano delle imponenti cuspidi ricoperte da colonne di smalto molto vicine l'una all'altra.

Ci sono poche specie ben determinate appartenenti a questo gruppo. Uno scheletro quasi completo di Neoparadoxia cecilialina – vissuta nel Miocene medio – è stato trovato recentemente nella zona costiera della California meridionale [1] durante dei lavori di scavo e ora è conservato nel Museo di Storia Naturale della contea di Los Angeles. Alcune delle vertebre cervicali e toraciche erano ancora in posizione originaria e quindi non hanno dato problemi di ricostruzione. Per il resto le ossa sono state rimesse in posizione in base alle conoscenze anatomiche generali su questo gruppo.
La benna della escavatrice aveva rotto solo alcune ossa di un lato dello scheletro prima che gli operatori si rendessero conto del ritrovamento e quindi bloccassero i lavori in attesa del recupero dei resti: le parti perdute sono state ricostruite avendo il riferimento del lato opposto. Un aspetto interessante di questo fossile è la presenza di tracce di morsi di squalo.

Quando e dove sono vissuti i Desmostili? I fossili di Desmostili sono distribuiti lungo la costa pacifica tra il Giappone ed il Messico, in sedimenti la cui età va dall'Oligocene alla fine del Miocene, sostanzialmente fra 30 e 7 milioni di anni fa. Un ordine davvero dalla vita breve in un'area geografica limitata, se comparata a quella degli altri mammiferi, la cui estrema specializzazione ha avuto come corollario una morfologia molto diversa dai loro parenti più vicini.

Le questioni fondamentali su questi animali sono diversi: come vivevano? Cosa mangiavano? Perché si sono estinti? Chi sono i loro parenti più prossimi?

Come vivevano e si nutrivano i Desmostili. Gli scheletr
i suggeriscono che i Desmostili fossero a loro agio in acqua: costole e altre ossa lunghe in genere non hanno una cavità midollare, una caratteristica tipica dei vertebrati terrestri quando ritornano alle acque. 
Le mascelle sono a pala, con zanne corte, il che fa pensare ad una dieta erbivora. 
Oggi la comunità scientifica ritiene unanimamente che i Desmostili avessero un comportamento simile a quello dei Sirenidi, cioè che si nutrissero di vegetali marini, con una differenza sostanziale: come i cetacei i Sirenidi rimangono in mare tutta la vita, mentre i Desmostili erano capaci di muoversi in terra come oggi fanno i pinnipedi (anzi, molto meglio): finito di mangiare tornavano sulla terraferma per digerire, riposarsi e per le necessità legate alla riproduzione. Sicuramente la loro massa (ben superiore al metro) li poneva relativamente al sicuro dai predatori terrestri (i quali, magari, in zone insulari non erano neanche presenti). Invece i morsi di squalo trovati su alcuni fossili dimostrano che le acque erano per loro meno sicure.

La struttura delle ossa dimostra un miglioramento progressivo dell'adattamento ad un ecosistema marino: la massa corporea aumentò (e ancora di più si sono ingranditi mani e piedi), le narici si sono allargate e le orbite oculari si sono innalzate; progredì anche l'adattamento all'alimentazione subacquea: la cavità orale e i molari si ingrandirono. mentre muso e mandibole si piegarono verso il basso.

Su come si muovessero questi animali, i primi modelli li hanno paragonati agli ippopotami o alle foche, mentre Daryl P. Domning ha proposto nel 2002 che i loro movimenti in terra e in mare fossero sostanzialmente simili a quelli degli orsi bianchi attuali [2]. 

Perchè si sono estinti. Durante il Miocene l'ambiente dove vivevano i Desmostili ha subìto parecchi cambiamenti. Innanzitutto il clima si è fatto progressivamente più freddo. Avrebbero forse potuto migrare verso zone più calde ma non lungo la costa americana perchè l'istmo di Panama non si era ancora sollevato e le due Americhe erano parecchio distanti; sarebbe stata forse possibile una migrazione verso le coste più meridionali dell'Asia, dove però non sono conosciuti.

C'è stato poi un grosso cambiamento nella flora costiera: le praterie di piante acquatiche delle quali si nutrivano (perlopiù angiosperme) sono state progressivamente sostituite da quelle di Kelp, che sono invece alghe brune. È possibile che le modifiche degli ultimi desmostili siano dovute a questo cambiamento epocale; è possibile che proprio la variazione nella vegetazione ne abbia provocato l'estinzione a causa dei nuovi venuti, i Sirenidi appunto, che invece sono perfettamente a loro agio quando si devono nutrire di Kelp.

Il posto dei Desmostili fra i mammiferi. Questo aspetto è molto interessante: tradizionalmente i Proboscidati e i Sirenidi sono ritenuti i loro parenti più prossimi. Quindi, come ho detto, all'inizio vennero presi come gli antenati dei sirenidi e inseriti in quell'ordine. 
Più tardi sono stati considerati un secondo ritorno al mare di proboscidati, più vicini al primitivo e coevo Moeritherium, un parente stretto (ma non un antenato) degli elefanti vissuto in Africa tra Eocene e Oligocene che al più o meno contemporaneo Pezosiren portelli, un Sirenide basale ancora capace di locomozione a terra. 
Nel 1975 fu proposto il clade dei Tethytheria, che includeva Sirenidi, Desmostili, Proboscidati e gli Embrithopodi, un gruppo di mammiferi particolare, anche questo di non lunga vita [3]. Oggi i Tethytheria sono compresi negli Afroteri, i placentati africani.

Ma in questi anni sono venuti fuori dei risvolti parecchio interessanti: da qualche tempo sono stati suggeriti come parenti stretti dei Desmostili gli Antracobunidi, un altro gruppo di mammiferi eocenici. Noti in Asia meridionale e di dimensioni grandi per un esponente di questa classe, sono tradizionalmente considerati antenati dei proboscidati. 
Ora invece viene fuori un'altra ipotesi e cioè che gli antracobunidi siano antenati dei perissodattili (cioè dei cavalli e dei rinoceronti) [4]
Gli antracobunidi vivevano a stretto contatto con l'acqua e quindi i Desmostili sarebbero una loro derivazione che con Sirenidi e Proboscidati c'entra il giusto. 
Il problema è che se il gruppo di Cooper avesse ragione, questo metterebbe in crisi (e non poco) l'attribuzione dei perissodattili ai Laurasiateri, cioè ai mammiferi del continente settentrionale, che è stata messa in dubbio anche dalle ricerche sulla genetica degli ungulati terziari endemici del Sudamerica: i loro parenti più prossimi sarebbero proprio i Perissodattili.
Oppure no... vista la loro probabile parentela con gli ungulati terziari endemici dell'America Meridionale [5] mi vengono in mente delle idee strane sull'origine dei perissodattili.....

[1] Barnes (2013): a new genus and speces of late Miocene Paleoparadoxiid (Mammalia, Desmostyla) from California Contributions in Science, 521:51–114
[2] Domning (2002): The terrestrial posture of desmostylians. In: R.J. Emry (ed.) Cenozoic mammals of land and sea: Tributes to the career of Clayton E. Ray. Smithsonian Contributions to Paleobiology 93:99–111
[3] McKenna (1975): Toward a Phylogenetic Classification of the Mammalia. in: Luckett e Szalay (ed) Phylogenesys of Primates, a multidisciplinary approach 21-43
[4] Cooper et al. (2014) Anthracobunids from the Middle Eocene of India and Pakistan Are Stem Perissodactyls. PLoS ONE 9(10): e109232
[5] Buckley M. 2015 Ancient collagen reveals evolutionary history of the endemic South American ‘ungulates’. Proc. R. Soc. B 282: 20142671.


sabato 26 dicembre 2015

Il disastro annunciato della frana di Shenzhen in Cina



La Cina dal punto di vista dei problemi ambientali è nota essenzialmente per l'inquinamento: proprio in questi giorni, per cercare di non peggiorare troppo le cose, alcuni impianti industriali sono stati chiusi e nel 2015 registriamo i primi timidi tentativi di sostituire il carbone con altri combustibili per la produzione di energia. Ma la Cina è nota anche per un altro genere di disastri, le frane, nelle quali spesso c'è la complicità dell'Uomo. L'evento di domenica 20 dicembre a Shenzhen, lungo la costa vicina a Hong-Kong, costata la vita a decine di persone, è l'ultima di una lunga serie e ne voglio parlare perché non ha nulla di naturale, se non l'innesco da parte delle piogge, in quanto è franata una discarica mal realizzata; quindi si tratta di un incidente industriale. Vediamo in breve cosa è successo.

Shenzhen è conosciuta come “la città senza storia”: fino al 1979 era Bao'on, una tranquilla cittadina di 30.000 abitanti che viveva dei frutti della pesca nel delta del fiume delle Perle, poche decine di km a SE di una delle più importanti città storiche cinesi, Canton o – meglio – Guangzhou. 
Essendo adiacente a Hong Kong, nel 1979 Deng Xiaoping, il modernizzatore della Cina, vi creò una zona economica speciale il cui risultato è una tumultuosa crescita: secondo la municipalità dal 1979 i 30.000 abitanti originari sono diventati poco meno di 11 milioni. In particolare Shenzhen è la Cupertino cinese, sede delle principali società high tech cinesi (ma è anche capitale del falso d'autore). Annoto che per qualcuno la popolazione totale è ben maggiore del dichiarato, perché ci sono ben 22 milioni di schede SIM registrate....
Come nel resto della Cina, la crescita tumultuosa della città ha creato non pochi problemi ambientali 

LA STORIA DELLA DISCARICA. Intorno a Shenzhen ci sono circa 600 cave, servite per procurare pietre per la costruzione degli edifici della città. Da quelle parti si estrae un ottimo granito, ma si trovano anche altri materiali lapidei interessanti dal punto di vista edilizio: rocce metamorfiche come gneiss, sulle quali almeno in parte si è deposta una serie sedimentaria mesozoica. Una manna per chi ha dovuto costruire una città industriale di oltre 10 milioni di abitanti.
Nel febbraio 2014 le autorità locali avevano approvato la realizzazione di una discarica temporanea in una di queste cave (come talvolta succede in tutto il mondo), quella di Hong'ao, dove la coltivazione era ormai terminata. Ignoro quale roccia fra quelle della zona era oggetto di sfruttamento, sia il motivo della cessazione dell'attività estrattiva, ma sono particolari secondari. Nel sito, gestito dalla Shenzhen Yixianglong Investment Development, è stato quindi realizzato un sito di stoccaggio di materiali inerti provenienti da lavorazioni edili. Mi chiedo poi se in tutta quella massa ci fossero anche degli scarti industriali. 
A vedere le immagini si tratta soprattutto di terre di scavo, che dovrebbero provenire in gran parte dai cantieri per la costruzione di una metropolitana (sono in corso di realizzazione ben 80 km di linea).

L'area interessata sovrasta la zona industriale di Hengtaiyu. Il 20 dicembre il materiale scaricato nella cava è franato seppellendola in parte, abbattendo diversi edifici e provocando la morte di decine di persone (di cui buona parte ancora disperse). Testimoni oculari descrivono una serie di ondate di terra rossa e di fango.

Una buona notizia è che dopo 3 giorni è stato recuperato tra le macerie di una costruzione un superstite che probabilmente sopravviverà (al contrario di un secondo, deceduto dopo essere stato soccorso). Rispetto ad un terremoto, dove una buona parte delle vittime muore semplicemente perché non è stata soccorsa in tempo, chi è travolto da una frana difficilmente riesce a sopravvivere a lungo, come nel caso delle valanghe, soprattutto a causa della mancanza di aria. L'area coperta dai detriti è di quasi 400.000 metri quadri con uno spessore massimo del deposito di 30 metri. Una frana quindi di dimensioni ragguardevoli!
La frana ha anche rotto una conduttura di gas, provocando una esplosione avvertita fino a 4 km di distanza.

LE ORIGINI DEL DISASTRO. All'inizio le Autorità avevano parlato di catastrofe naturale ma poi hanno dovuto ammettere la dura realtà: si tratta solo ed esclusivamente di una drammatica catena di eventi in cui la Natura c'entra poco: l'innesco del problema è dovuto alle forti precipitazioni (che fra l'altro a Shenzhen sono una cosa normale: nell'anno medio in una decina di volte vengono superati i 50 mm di pioggia in 24 ore), ma è franato solo ed esclusivamente il materiale della discarica: dentro la cava era sorta una collinetta alta quasi 100 metri (più o meno quanto la cupola del Duomo di Firenze) di roba accumulata così come arrivava. Si trattava quindi di una bomba pronta all'uso.

Gli errori fondamentali che sembra siano stati commessi sono la scarsa compattazione del materiale e la mancata realizzazione di opere di drenaggio, per cui l'acqua ha imbevuto la collina.  
Più o meno è successo come a Sarno: le piogge torrenziali sono state la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso provocando la perdita della coesione delle terre. È bastato un primo piccolo cedimento per far collassare ogni cosa; se il problema si è manifestato in alto, il materiale franando ha iniziato ad erodere la collina artificiale con violenza; se il cedimento si è manifestato in basso, la parte sovrastante è crollata perchè rimasta senza basi.
Il corpo di frana è tutt'ora imbevuto di acqua, e questo ha complicato ulteriormente i soccorsi.

UNA CATASTROFE ANNUNCIATA. È certo che le Autorità conoscevano il problema, emerso in almeno due ispezioni che avevano evidenziato i rischi. A gennaio la Zongxing Environmental Technology, aveva avvisato del rischio frana, che “minacciava la sicurezza delle colline e dei versanti”.
Inoltre la cava avrebbe dovuto funzionare come discarica solo fino al 21 febbraio 2015; quindi il permesso era stato concesso per un periodo di 12 mesi: a dicembre dunque il tempo di funzionamento dell'impianto è quasi raddoppiato rispetto al previsto (20 mesi anzichè 12) e – banalmente – si può presumere un quantitativo doppio rispetto al previsto di materiali scaricati).

Secondo me chi ha dato nel 2014 il permesso di attività  era cosciente del modo in cui i materiali vi sarebbero stati stoccati e del rischio associato, per cui ha dato un limite di un anno presupponendo che entro quel limite la quantità di materiale stoccata non sarebbe diventata così ingente da provocare guai. 


Al contrario, invece, era risaputo che le operazioni di conferimento continuavano a buon ritmo: l'International Business Time riporta di una seconda ispezione nello scorso luglio, durante la quale fu accertato che la discarica ancora attiva: a quel punto fu raggiunto un accordo per una nuova concessione in settembre, concessione che non è stata attribuita a causa delle insoddisfacenti condizioni del sito, dove lo stoccaggio continuava ad essere eseguito in maniera tutt'altro consona alle esigenze. Persino tre giorni prima del disastro una ispezione da parte di una società di sicurezza aveva chiesto di bloccare le attività.
Quindi il pericolo era noto alle autorità ma nessuno ha fatto niente per bloccarne l'attività (anzi, è stata cercata una sanatoria...). 

Insomma, come ho detto, non c'è niente di naturale in questo disastro, le cui cause sono la frenetica attività edilizia e l'irresponsabilità umana. Quindi è un incidente industriale e va considerato come tale.

L'agenzia Reuter riporta il caso di un'altra discarica simile nella zona, quella di  Bujiuwo: aperta nel 2008 doveva essere chiusa nel 2012 ma la sua attività è stata prolungata nonostante l'opposizione di residenti e parte delle autorità locali. In questo sito il conferimento dei rifiuti è stato – almeno temporaneamente – bloccato dopo la tragedia di Hengtaiyu. Anche in questo caso si tratta del conferimento di terre di scavo. Non ci sono però in questo momento motivi per attribuire a questa seconda discarica gli stessi metodi di lavoro dell'altro caso,

Al di là del caso specifico, sarebbe una lezione importante: fare cose così contro natura non porta grossi vantaggi neanche a breve tempo, pensiamo a lungo termine cosa può accadere...
Ed occorre(rebbe) anche da noi una classe politica consapevole del rischio e non prona agli interessi di devastazione del territorio....
E che le sanatorie nell'uso del territorio risolvono i problemi dal punto di vista amministrativo, ma la Natura non considera validi condoni e cose simili.

mercoledì 23 dicembre 2015

Comunicato del nuovo Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi Francesco Peduto: "salvate la Geologia italiana"


Mi sento in dovere di pubblicare integralmente il comunicato - stampa del nuovo Presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi a proposito della legge che doveva "salvare" la Geologia italiana
nelle università. Che cosa è successo? che la famigerata "Legge Gelmini" ha introdotto un numero inimo di personale per mantenere un dipartimento (cosa che poteva sostanzialmente essere anche giusta a causa del proliferare di queste strutture). il problema è che discipline numericamente poco sostanziose come le Scienze della Terra rischiano di scomparire totalmente e difatti in molte università non  c'è più un dipartimento di Geologia o simile. Allora, viste le caratteristiche del territorio italiano, era stato proposto il disegno di legge "Interventi per il sostegno della formazione e della ricerca nelle scienze geologiche" prevede, in sostanza, premi e buoni di studio e risorse per progetti di ricerca e acquisto di strumentazione tecnici  è ferma da mesi al Senato e rischia di andare oltre i termini stabiliti per la sua definitiva approvazione. Un governo che con "Italiasicura" ha fatto della sicurezza dai geo-rischi una bandiera rischia ora con questo stop di fare una brutta figura. ma alla fine mi chiedo cosa interessa al Paese dei geologi. Poco tempo fa sono andato ad un dibattito sul dissesto del territorio e protezione civile: hanno parlato sindaci e tecnici "di tutte le bandiere e di tutti i partiti" e non ho sentito nominare da nessuno almeno una di queste  3 parole: geologi, geologia e geo-rischi...

Comunicato Stampa:
In Italia non salvano più la Geologia 

Peduto: “Attenzione!! La proposta di legge di Mariani e Ghizzoni per salvare la geologia, sta morendo al Senato!! E’ più che un rischio che si dissolvano tutti i Dipartimenti di Scienze della Terra dove si preparano i geologi del futuro e quindi l’Italia non avrà più geologi!! Entro il 23 Dicembre il Senato dovrà approvare la Legge di Stabilità: che si faccia uno sforzo e si approvi la proposta di legge per le Geoscienze italiane!! E’ il geologo il medico della Terra” 

Qualche mese fa avevamo gridato vittoria ed invece la proposta di legge n. 1533 a firma delle deputate Raffaella Mariani e Manuela Ghizzoni che avrebbe salvato la geologia italiana non è ancora legge ma è ferma con semaforo rosso al Senato. I senatori hanno a cuore il bene di un Paese costretto a spendere più di 200 MLD di euro per le emergenze, a piangere migliaia di vittime a causa del dissesto idrogeologico o di terremoti che negli ultimi decenni non hanno neanche superato i 6.0 gradi della Richter? Ed invece stiamo di nuovo a denunciare la nostra lenta agonia che condurrà alla triste fine della geologia italiana”. 

Durissimo Francesco Peduto, Neopresidente del Consiglio Nazionale dei Geologi. “La proposta delle Onorevoli Mariani e Ghizzoni ha iniziato il suo lento iter parlamentare nell’era Letta – ha proseguito Peduto – ma ad oggi, nell’era Renzi, tale proposta che eviterebbe la chiusura nei prossimi anni di tutti i Dipartimenti di Scienze della Terra è incredibilmente ferma da mesi al Senato e rischia di andare oltre i termini stabiliti per la sua definitiva approvazione. 
La sciagurata Riforma Gelmini ha causato in questi anni la morte di 26 Dipartimenti di Scienze della Terra passati in Italia da 34 ad 8. Il caso più eclatante, ma non è il solo, è quello dell'Emilia-Romagna, regione con grandissimi problemi geologici e con quattro Università, in nessuna delle quali è sopravvissuto un Dipartimento di Scienze della Terra. Nell'Università più antica del mondo di Bologna, dove nel 1603 Ulisse Aldovrandi coniò il termine "geologia", oggi non esiste più un dipartimento esclusivamente dedicato allo studio del territorio. A fronte di un aumento della sensibilità dell’opinione pubblica e addirittura in alcuni casi anche delle immatricolazioni universitarie, infatti la geologia è tra le poche materie che in questi anni ha fatto registrare un aumento delle iscrizioni, in Italia si chiudono i Dipartimenti. Oramai in alcune Università siamo stati accorpati a discipline che non hanno alcun legame con la geologia e la stessa parola geologia è completamente scomparsa. 

Negli ultimi 15 anni i geologi nelle Università italiane sono diminuiti di oltre il 25%. Invece noi possiamo fare PIL e creare un’Italia moderna, un Paese dove non si possa avere paura di un terremoto, un’Italia che possa utilizzare la ricchezza geologica, dove i vulcani possano essere visti come risorsa turistica e magari energetica, dove il territorio sia occasione di benessere e sviluppo. 

Un Paese moderno sarà possibile averlo solo con la prevenzione dai georischi e la prevenzione possono attuarla sicuramente i geologi. La parola geologo deriva dal greco "gea", studioso della geologia e geologia significa scienza che studia l’origine, la costituzione, la struttura e la storia della Terra e degli organismi che la popolarono. 

Dunque è il geologo il vero studioso del territorio e di tutto quanto abbia a che fare con il Pianeta Terra. 
E’ il geologo che può parlare ed organizzare la prevenzione nel campo dei georischi ed è il geologo quella figura professionale di cui l’Italia ha bisogno per ridiventare un Paese moderno dove i fondi magari potrebbero essere usati per creare scuole sicure, per rilanciare le imprese, ed invece siamo costretti come sempre accade a spendere tantissimo sulle emergenze”. 

La proposta di Legge n. 1533 salverebbe la Geologia Italiana vera eccellenza internazionale “Da sempre siamo stati apprezzati nel mondo. 
E’ in Italia che è nato il primo Osservatorio di Monitoraggio dei Vulcani - ha concluso Peduto - ed è sempre dai geologi italiani che sono stati condotti alcuni dei più importanti studi di ricerca nel campo dei fenomeni della Terra dello sviluppo delle risorse con riflessi positivi sulla qualità della vita di ogni giorno. 
Oggi i geologi italiani, rappresentano l’eccellenza del Paese purtroppo soprattutto all’estero e sono molto corteggiati anche dalle grandi multinazionali straniere in punti strategici del Pianeta. 

La proposta di legge delle deputate Mariani e Ghizzoni impedirebbe la chiusura dei Dipartimenti di Scienze della Terra, luoghi dove il geologo nasce e cresce, salverebbe la Geologia e salverebbe l’Italia da uno dei più grandi disastri sociali. 
Non è assolutamente vero che tale proposta causerebbe un aggravio per le casse dello Stato ma è invece assolutamente vero che sarebbe una proposta per la gente, quella gente costretta a piangere vittime, a perdere case, imprese, negozi, lavoro perché in Italia non c’è prevenzione ed i geologi non sono ascoltati

Facciamoci una domanda e diamoci la risposta: quanto ci costa la mancata prevenzione? Noi geologi la risposta l’abbiamo già. La mancata prevenzione ci costa perdite di vite umane, di posti di lavoro e di tante risorse economiche. Ricordiamoci che siamo solo ospiti di un organismo vivente: il Pianeta Terra ed il suo medico è il geologo

sabato 19 dicembre 2015

Il rapporto 2015 del global Carbon Project: non proprio una prospettiva tranquillizzante


Avrei voluto parlare del clima e della conferenza di Parigi, ma come vedete in questi ultimi giorni sono stato parecchio assente fra presentazioni del mio libro e altre cosette. Però, essendo uscito il rapporto 2015 del Global Carbon Project, vorrei scrivere qualche commento in proposito perchè secondo me è importante confrontare il presente con il futuro e con il passato, focalizzando la questione delle emissioni nel contesto della storia dell'evoluzione del CO2 atmosferico.

Nell'anno della conferenza di Parigi sul clima, il rapporto 2015 del Global Carbon Project (lo trovate a questo link) fotografa lo stato delle emissioni di CO2. Il quadro non è molto confortante, specialmente se si guarda a quello che è successo nel passato della Terra. L'articolo di Dewey McLean su Science nel 1978 intitolato "a terminal mesozoic greenhouse – lessons from the past" [1] dimostra che da quella lezione non si è voluto imparare niente da allora, specialmente in certi ambienti. Le conseguenze sono molto gravi e le prospettive piuttosto oscure, anche senza voler essere dei catastrofisti. Certo, ci sono anche due circostanze che ingigantiscono il problema e cioè che stiamo immettendo CO2 in un momento in cui di questo gas in atmosfera ce n'è davvero poco rispetto al passato e che, oltre a quella antropica, c'è una componente naturale nel riscaldamento. Ma ciò dovrebbe essere motivo di particolare attenzione e non una scusante. 
E i bassi rezzi attuali del petrolio servono a tutt'altro che a migliorare la situazione (tranne che in Cina dove passare dal carbone al petrolio sarebbe già un miglioramento).


IL TENORE DI C02 NELL'ATMOSFERA TERRESTRE DEGLI ULTIMI 400 MILIONI DI ANNI
(DAL DEVONIANO A OGGI)


In questa immagine, modificata da [2] si vede la quantità di CO2 atmosferico degli ultimi 400 MA. Vediamo due cose interessanti: 

  • la prima è che sia durante la glaciazione del permo – carbonifero (centrata a 300 milioni di anni fa) che durante la fase glaciale che stiamo vivendo oggi i livelli del gas in atmosfera sono molto bassi
  • la seconda che alti livelli di CO2 li troviamo in corrispondenza delle fasi climatiche più calde e - soprattutto - in corrispondenza a ripetuti episodi di Large Igneous Provinces (fine del Permiano e Cretaceo inferiore)
  • la terza che noi stiamo immettendo in atmosfera un composto in un momento in cui il suo tenore mai era stato così basso negli ultimi 400 milioni di anni
I LEGAMI FRA CO2 ATMOSFERICO E VULCANISMO

La fonte naturale di CO2 sono i vulcani, che ne emettono tra i 100 e i 300 milioni di tonnellate all'anno, un quantitativo ampiamente assorbito dal “sistema Terra” in vari modi: il processo più noto è sicuramente la fotosintesi, ma non è il solo: altri processi lo consumano, per esempio l'alterazione dei silicati, la formazione delle rocce carbonatiche, il sequestro nei giacimenti di idrocarburi, l'assorbimento da parte delle acque dei mari. In più anche i ghiacci artici e antartici ne contengono (come i mari sottostanti). Il "bisogno" di CO2 da parte del "sistema Terra" fa sì che una sua molecola in media risiede in atmosfera per non più di 4 anni.
Quindi, per ottenere un aumento del tenore di CO2 nell'atmosfera occorre una causa straordinaria: oggi le emissioni antropiche, ieri le Large Igneous Provinces (LIP), quelle immense coperture basaltiche che in qualche centinaio di migliaia di anni mettono in posto centinaia di migliaia di km cubi di magma (i parossismi hanno una intensità pazzesca: decine di migliaia di km cubi in poche decine di migliaia di anni). 
Di fatto da quando le piante terrestri si sono espanse abbassando drasticamente nel Devoniano il tenore di CO2 atmosferico, le sue concentrazioni massime si hanno in corrispondenza della fine del Permiano con le eruzioni che portarono alla formazione dei Trappi dell'Emeishan e di quelli della Siberia Occidentale e nel Cretaceo, quando l'attività di LIP era molto intensa (Ontong Java / Manihiki /Hikurangi, Caraibi, Madagascar, Kerguelen ed altre ancora), accompagnando la fratturazione del Gondwana.

L'INCREMENTO CONTEMPORANEO DI CO2 A CAUSA DELLE EMISSIONI ANTROPICHE

In questa immagine si nota l'incremento di CO2 a partire dalla rivoluzione industriale. Il valore odierno è di circa di 400 parti per milione, sempre inferiore a quello medio terrestre, ma pur sempre un quantitativo che non si vedeva almeno da 50 milioni di anni fa (quando la Terra era sicuramente ben più calda).

Il dato più interessante è che le emissioni di CO2 del 2015 sembrano in leggera diminuzione. Sono sempre “troppissime”, ma in questo momento si potrebbe forse festeggiare l'inizio dell'inversione di un trend devastante.
Le vediamo in questa immagine tratta appunto dal rapporto, dove si vede che dal 1990 al 2014 siamo saliti quasi del 60%, da 22 a poco meno di 36 miliardi di tonnellate / anno.
Purtroppo si nota che già altre 2 volte negli ultimi 25 anni questo valore era leggermente sceso (anni 1992, 1999 e 2009), in corrispondenza di momenti di crisi economica; si è trattato però di una inversione di brevissima durata in un trend in costante e vertiginoso aumento. La speranza è che si sia davanti ad una inversione di tendenza strutturale e che la Cina cerchi dei modi per frenare il disastro ambientale che la sta caratterizzando (per esempio una stretta sull'uso del carbone nella produzione di energia elettrica dovrebbe perfezionarsi nell'immediato futuro).

Oggi purtroppo il bassissimo prezzo del petrolio non induce all'ottimismo sul controllo delle emissioni: è noto che lo sviluppo dalla rivoluzione industriale in poi è stato guidato dalla presenza di energia abbondante e a basso costo e le energie alternative (o complementari) hanno già difficoltà di competitività con gli idrocarburi con il petrolio a 80$ al barile, figuriamoci ora che ne costa 40...
(naturalmente questo in un mero conto economico privato... se si guarda alle varie conseguenze ambientali è enorme...)

Di fatto la crescita delle emissioni negli ultimi anni è dovuta in parte agli USA, ma soprattutto a grandi Paesi “emergenti” come Cina e India come si vede in quest'altro diagramma.
Ad esempio la Cina sta aumentando le sue emissioni ad un tasso elevatissimo: se le ci sono dovuti circa 20 anni per raddoppiarle da 1 a 2 miliardi di tonnellate tra il 1970 e il 1990, il raddoppio successivo (4 miliardi di tonnellate) è avvenuto nel 2002, poco più di 10 anni dopo; negli ultimi 10 anni le ha più che ulteriormente raddoppiate, arrivando a quasi 10 milioni di tonnellate / anno. Oggi risultando ampiamente in testa della classifica degli emettitori: tutti insieme 4 soggetti (Cina, USA, UE e India) sono responsabili del 60% delle emissioni e fra questi la Cina è responsabile per il 45%, quindi l'ex Celeste Impero è responsabile di poco meno del 30% delle emissioni globali. È chiaro ed evidente che tutti dobbiamo fare la nostra parte ma una politica di diminuzione da parte dei cinesi avrebbe sicuramente un impatto più determinante di altre.
Anche le emissioni dell'india crescono, e parecchio, ma in modo meno tumultuoso che nell'altro stato asiatico.
Quanto agli USA c'era stata una frenata, che però sembra ormai passata, come confermerebbero altri episodi del genere guardando cosa è successo negli altri casi simili degli ultimi 30 anni.
L'Europa invece mostra un netto calo dopo che per 30 anni siamo rimasti più o meno allo stesso livello.


Da notare quest'altro grafico: è il quantitativo di CO2 atmosferico negli ultimi 700.000 anni ricavato dai dati della carota Vostok.
I bassi valori di CO2 sono tipici delle fasi fredde, mentre ad alti valori di CO2 corrispondono alte temperature. Si nota la correlazione fra temperature e CO2. Vediamo inoltre come le attività antropiche stiano spingendo i livelli di biossido di carbonio a livelli ampiamente superiori anche a quelli massimi degli ultimi 700.000 anni. Il fatto è che la correlazione mi pare un po' approssimata e talvolta sembra che sia il tenore di CO2 a “rincorrere” le temperature e non viceversa.


GHIACCI E LIVELLI DI CO2

E ora una cosa che è una mia opinione. 
È comunemente accettato che le alte temperature dipendano dagli alti valori di CO2 e non ci sono dubbi sul ruolo del biossido di carbonio... nella storia della Terra è un fatto abbastanza accertato.
Ma sia la glaciazione del permo – carbonifero che quella attuale sono state precedute da una forte discesa del tenore atmosferico di CO2. Si vede bene come questo livello scenda in particolare quando inizia a formarsi la calotta antartica
Ora, la mia opinione sugli ultimi 700.000 anni (e, in generale, nei periodi glaciali come il nostro e quello del permo-carbonifero), è che sia successo il contrario.
Mi spiego: i ghiacci trattengono molto biossido di carbonio, per cui più ghiaccio c'è più CO2 vi è trattenuto. Quindi all'aumentare dei ghiacci dovrebbe diminuire il tenore del gas in atmosfera e viceversa.

Ne consegue, se ho ragione, che nel bilancio delle emissioni vada anche computato il CO2 che proviene dallo scioglimento dei ghiacci e dal disgelo del permafrost. 

[1] McLean 1978: a terminal  Mesozoic "greenhouse": lessons from the past. Science 201, 401-406 
[2] Franks et al 2014: New constraints on atmospheric CO2 concentration for the Phanerozoic Geophys. Res. Lett., 41, 4685–4694   

lunedì 7 dicembre 2015

... e ci risiamo con le trivellazioni nell'Adriatico che provocherebbero i terremoti.... che....


In questi giorni abbiamo già a che fare con prese di posizioni originali – chiamiamole così – di noti esponenti della Scienza sui cambiamenti climatici, affermazioni poi riprese da zichicchirichì, più una macchietta che uno scienziato in pensione di cui per fortuna ci siamo (quasi del tutto) liberati. Sto scrivendo qualcosa in merito e, data la mia visone forse un po' originale del problema, anziché scrivere un “instant post” vorrei fare qualcosa di più completo. Purtroppo l'instant post mi tocca scriverlo davvero: neanche a farlo apposta appena dopo che ho parlato dei legami fra estrazione di idrocarburi e attività sismica in Oklahoma mi tocca riparlare della questione per stigmatizzare quelle che il più noto italico ragioniere definirebbe una cagata pazzesca e cioè le illazioni sul fatto che la sequenza sismica dell'Adriatico sia collegata alla attività di estrazione di idrocarburi (anzi, “alle trivelle”). Personalmente sono poco convinto dell'utilità di estrarre petrolio dall'Adriatico (specialmente ora che purtroppo il petrolio te lo tirano dietro. Il drammatico è che un pezzo così scientificamente assurdo sta diventando virale su Internet ed è stato pari pari ripreso persino dalla agenzia ANSA, che ha fatto così una pessima figura. 

Non voglio parlare della sequenza sismica dell'Adriatico Centrale di questi giorni. Un ampio e dettagliato rapporto lo potete trovare sul blog dell'INGV.  Mi limito a fornire tra le tante disponibili questa carta presa da [1] (che ho scelto proprio perchè è di oltre 10 anni fa), grazie alla quale si evidenzia che la zona interessata dalle scosse di ieri e di oggi è esattamente quella più attiva in tutto l'Adriatico. Quindi – come dire – siamo nella logica delle cose. 

Ma voglio soffermarmi sulla diffusione di una nota semplicemente demenziale in cui si ipotizza un collegamento fra questi terremoti e le trivellazioni in Adriatico a scopo di ricerca di idrocarburi.
Vediamo quindi queste poche righe che riporto senza linkarle per non rischiare di dare i classici click a cotale scritto, righe che sono significativamente intitolate "Terremoto Adriatico: intenso sciame sismico fino a magnitudo 4.0 Colpa delle trivellazioni per la ricerca del Petrolio?"

Un intenso sciame sismico costituito da una dozzina di eventi è stato registrato questa mattina al largo della costa adriatica dell'Abruzzo. Cinque dei terremoti sono da considerarsi forti. La scossa più energetica ha avuto una magnitudo di 4.0 gradi sulla scala Richter, due hanno raggiunto il magnitudo3.9,una il magnitudo 3.7. Tutti gli epicentri sono stati localizzati a una settantina di chilometri dalla costa ed una profondità compresa tra 18 e 30km.Gli eventi più forti sono stati avvertiti dalla popolazione nei comuni dell'Abruzzo più vicini alla costa come Pescara e Vasto. Da fonti non ancora confermate sembra che gli epicentri sia localizzati in una zona non molto distante dall'area in cui si stanno effettuando trivellazioni per la ricerca del petrolio. Indagini cominciate l'estate scorsa che già avevano sollevato molte perplessità e timori nella popolazione per una regione ad alto rischio sismico.

Sono righe pieno di approssimazioni, illazioni e inesattezze: ma la cosa peggiore è che chi l'ha scritto è indicato come un geologo... anche se non figura nell'ordine dei geologi della sua regione (ma vuol dire poco....del resto neanche io sono iscritto all'Ordine).
Iniziamo con un primo capolavoro: 5 di questi terremoti sarebbero da considerare “forti”. Definire “forte” un terremoto di M 4 mi pare davvero... un po' forte... mi piacerebbe sapere in base a che cosa è staro definito “forte”... normalmente un terremoto del genere si definirebbe o “leggero” o “di scarsa importanza”. Per essere "forte" secondo le convenzioni geofisiche dovrebbe aver avuto una M compresa fra 6 e 6.9.
Secondo capolavoro … un geologo che continua a chiamare la Magnitudo (anzi, IL magnitudo...) come “scala Richter”...
Terzo capolavoro: le classiche “fonti non confermate” secondo le quali ci sarebbero da quelle parti “trivellazioni per la ricerca del petrolio”. 

Purtoppo questo post demenziale è diventato virale e si sta diffondendo sempre di più in rete. E il problema è che la ggggente ci crede, in quanto il livello di informazione su questo problema è parecchio scarso, specialmente se dà retta alla D'orsogna, che sta davvero diventando un problema per chi vuole fare una corretta informazione scientifica (tengo a precisare che non è una geologa, checchè se ne dica).
E questo lo si vede anche dalle varie interrogazioni parlamentari in merito in cui, parlando di questioni scientifiche, la Scienza è trattata davvero in malo modo.

Faccio quindi una serie di considerazioni.

1. cos'è la sismicità indotta di origine antropica?
Alcune attività antropiche possono modificare lo stato di sforzo o diminuire l'attrito lungo piani di faglia preesistenti. Ad esempio 
  • creazione di invasi (dopo la costruzione di una diga sotto il lago conseguente può attivarsi della sismicità per l'improvviso cambio del carico della pressione sovrastante) 
  • operazioni minerarie, come estrazione di idrocarburi
  • immissione di liquidi nel sottosuolo, che è il caso più frequente, sul quale ci sono per gli USA (dove il problema è piuttosto preoccupante) parecchi lavori

La sismicità indotta avviene quando le attività antropiche rimettono in movimento vecchie faglie che ormai non sarebbero più in grado si muoversi da sole 
Queste attività antropiche possono anche mettersi in movimento delle faglie attive che lo avrebbero comunque fatto di loro in futuro. In questo caso si parla di sismicità attivata

Nel caso degli idrocarburi grosse quantità di liquidi vengono immesse nel terreno a scopo di smaltimento: spesso insieme al petrolio viene pompata una salamoia salina e più i giacimenti sono maturi (cioè in via di esaurimento) più aumenta la percentuale di acqua rispetto al petrolio. La sismicità nell'Oklahoma in tutto il XX secolo è correlabile a questa attività fino dagli anni '30 [2], come ho scritto in questo post.
In altri casi il liquido viene iniettato in giacimenti maturi per aumentare la pressione o per innalzarne il livello della falda ed aumentare la produzione residua di greggio.

In alcuni casi i liquidi entrano nelle zone di faglia sottostanti. Ricordo che una faglia è una frattura nel terreno intorno alla quale si è avuto un movimento relativo fra i due blocchi contrapposti. 
Questi due blocchi sono tenuti fermi dall'attrito: un terremoto si produce quando le spinte tettoniche riescono a vincere l'attrito lungo il piano di faglia, una zona spessa da pochi millimetri a parecchi metri posta fra i due blocchi fatta di roccia sbriciolata come quella che si vede in questa immagine (scientificamente si chiama zona di taglio o zona cataclastica: per fare un paragone è come la segatura che si ottiene quando si taglia un legno). 
Introducendo liquidi in zone del genere l'attrito può diminuire fino al punto da non essere più sufficiente a vincere l'attrito, provocando un terremoto. 
Ciò succede in condizioni piuttosto particolari che riguardano circa il 10% dei pozzi di reiniezione negli USA, quelli ad alto tasso di reiniezione in zone dove lo spessore dei sedimenti è molto basso e si arriva preso al basamento formato da rocce metamorfiche paleozoiche [3]. Ne ho parlato in questo post.

Invece l'estrazione, diminuendo le pressioni, può innescare sismicità ma a livelli estremamente bassi.

Anche il fracking non porta in generale sismicità (o, almeno, sismicità registrabile) di suo: personalmente conosco solo due casi del genere, Preeese Hall in Inghilterra nel 2011 e Poland Township nell'Ohio nel 2014 (ho parlato specificamente del caso dell'Ohio). La sismicità invece viene portata spesso, appunto, dalla reiniezione nel terreno delle acque residue di questa attività, che sono tante e davvero piene di inquinanti.  

Insomma, le “trivelle”, cioè le semplici operazioni di perforazione a scopo esplorativo da sole non sono minimamente in grado di provocare questi terremoti. E inoltre ricordo che in Italia il fracking non si può fare non perché il parlamento lo ha vietato, ma perché (per fortuna!) non ci sono le rocce adatte... è come se a Roma avessero vietato sul territorio nazionale la caccia alla tigre..  

2. sono strani i terremoti in quest'area? Direi di no visto che, come mostra la carta presentata all'inizio del post, questa sequenza sismica è avvenuta nella zona dell'Adriatico in cui ci sono più terremoti perché è una delle aree dove la placca adriatica si deforma internamente, schiacciata com'è tra la zolla africana e quella europea la stanno comprimendo (anzi, sembra persino che si stia rompendo in due proprio all'altezza dell'Adriatico centrale). 

3. la profondità di questi eventi non è minimamente compatibile con quella di una sismicità indotta dalle conseguenze dell'attività petrolifera, che viene risentita molto perché è superficiale (gli ipocentri sono a profondità inferiore a 10 km). Non è possibile fisicamente indurre terremoti a quella profondità.

4. la sismicità indotta ha un suo comportamento molto particolare e cioè inizia molto debolmente per poi aumentare con il tempo. Anche in questo caso non si ravvisa nessuna possibilità nel caso in oggetto. Potrebbe dunque trattarsi invece di sismicità attivata? Ripeto di no per il solo fatto che non è possibile che le attività antropiche possano dare conseguenze così in profondità

Da ultimo una considerazione.

Personalmente la ricerca di idrocarburi in Adriatico mi sembra serva poco. Ma se le motivazioni dei contrari sono assurde come la sismicità indotta, gli airgun che distruggono il fondo marino o danneggiano i cetacei e - per finire - le esternazioni della D'Orsogna siamo messi male...

Personalmente sono preoccupato per i rischi di inquinamento (dovuti ad incidenti, non alle attività ordinarie) ma non ho nessun sistema per quantificarli. 

Purtroppo nei no-triv non ho mai trovato motivazioni diverse, per esempio:
  • quanto inciderebbe questo petrolio nella riduzione della bolletta energetica italiana?
  • quanto si potrebbe risparmiare facendo risparmio energetico intervenendo sull'efficienza energetica degli edifici e su una razionalizzazione del sistema dei trasporti? 

E in ogni caso sarebbe meglio secondo me anche dal punto di vista economico aspettare: estrarre petrolio con i prezzi attuali significa sprecare una risorsa....

BIBLIOGRAFIA CITATA:

[1] Oldow et al (2002) Active fragmentation of Adria, the north African promontory, central Mediterranean orogen Geology 30, 779–782
[2] Hough e Page 2015 A Century of Induced Earthquakes in Oklahoma? Bulletin of the Seismological Society of America, Vol. 105, No. 6,. –, December 2015 doi: 10.1785/0120150109
[3]Weingarten et al 2015 High-rate injection is associated with the increase in U.S. mid-continent seismicity Science 348, 1336 - 1340


venerdì 4 dicembre 2015

I probabili legami fra sismicità storica ed estrazione di petrolio in Oklahoma nel XX secolo


Negli Stati Uniti centrali la sismicità indotta dalla reiniezione di fluidi è un problema di grande importanza che riguarda soprattutto Texas, Oklahoma e Ohio. La bassa profondità di questi eventi e la loro intensità che spesso supera M 4 arrivando fino a 5.5 provocano danni in territori che non erano abituati a confrontarsi con problemi sismici. Normalmente si associa la reiniezione di fluidi alle acque di flow-back del fracking, ma questo non è sempre vero, nel senso che in alcuni casi questi fluidi vengono da giacimenti tradizionali. Questo vale soprattutto per l'Oklahoma, dove nuove tecniche di coltivazione hanno reso possibile l'estrazione di petrolio da giacimenti precedentemente considerati esauriti ma che producono molta più brine saline del normale. La novità per quanto riguarda questo Stato è che a queste reiniezioni potrebbe essere correlata anche l'attività sismica del XX secolo, in particolare durante gli anni '30 e '50

la carte evidenzia le zone interessate dalla sismicità indotta
dalla reiniezione di fluidi nella zona centrale degli USA
Gli Stati Uniti, con l'eccezione della costa pacifica e il suo entroterra, non sono particolarmente noti per ospitare fenomeni sismici di rilievo. Di fatto tutto quello che sta ad est delle montagne Rocciose è considerato un'area stabile, in cui però ci sono delle faglie che possono davvero muoversi, come nel caso dei forti terremoti di  New Madrid (tra Missouri, Arkansas, Tennessee e Mississippi) tra il dicembre 1811 e il febbraio 1812). Ci sono poi chiarissime evidenze che altre faglie paleozoiche siano ancora saltuariamente attive: ad esempio la faglia di Meerse nell'Oklahoma ha prodotto nelle ultime migliaia di anni eventi sismici piuttosto forti (M>6) [1]
Dal 2009 si è assistito ad un notevole aumento della sismicità nella fascia centrale degli Stati Uniti, che è stato collegato alle operazioni di reiniezione nel terreno a scopo di smaltimento delle acque inquinate provenienti dalle attività di fracking. 

Il caso più tipico è quello dell'Oklahoma, dove dal 2008 ad oggi 2 dicembre 2015 si sono registrati 84 eventi con M superiore a 4 mentre tra il 1990 e il 2007 il database ne comprende appena 2 nel 1995, peraltro nell'estremo sud dello stato, non interessato dalla sismicità attuale di tipo antropico: probabilmente sono connessi all'attività tettonica della zona di Ouachita, che continua sia pure a ritmi molto blandi da quando nel Paleozoico superiore quella zona era compresa nella parte americana della fascia orogenica Ercinica.
Come ho scritto in questo post, è stato evidenziato che l'induzione di sismicità su faglie preeesistenti interessa il 10% dei pozzi di reiniezione, quelli che soddisfano due condizioni fondamentali: un alto tasso di reiniezione e la bassa profondità sotto i sedimenti delle rocce del basamento cristallino [2]. In Oklahoma entrambe queste condizioni sono soddisfatte e quindi è una delle zone più "calde" per questo fenomeno e il governo dello Stato (repubblicano) è stato costretto obtorto collo a prendere delle decisioni che hanno ostacolato l'industria petrolifera.

TERREMOTI DA REINIEZIONE DI ACQUE DI GIACIMENTI TRADIZIONALI

La cosa interessante però è che in Oklahoma questa sismicità non è legata (solo) alle acque del fracking perché in questo Stato la reiniezione è aumentata moltissimo negli ultimi anni, ma sembra dovuta soprattutto ad attività convenzionali. 
Come mai ad un certo punto le attività convenzionali producono un forte aumento di fluidi? 

Quando un giacimento invecchia la percentuale di petrolio recuperata si abbassa nei confronti di quella delle acque salate (tecnicamente dette brine saline). A questo punto entrano in gioco le tecniche di Enhanced Oil Recovery (EOR), che servono per stimolare la produzione di un giacimento. La tecnica più classica è quella della iniezione di acqua nelle vicinanze (in genere si usano le stesse brine appena estratta insieme all'olio): a questo modo si aumenta la pressione nel giacimento, e così il petrolio riesce a risalire (e – contestualmente – si smaltiscono le brine, che non possono essere rilasciate nell'ambiente). Ma ad un certo punto la percentuale petrolio / brine del fluido estratto si abbassa troppo e il giacimento viene considerato esaurito.

LO SFRUTTAMENTO DEL PETROLIO NEL XX SECOLO IN OKLAHOMA

Un lavoro appena uscito [3] ha considerato la storia della produzione di petrolio e di reiniezione primaria di acque e ha trovato che è possibile – se non probabile – l'origine antropica di alcuni eventi sismici che hanno interessato l'Oklahoma in tutto il corso del XX secolo. 

Come si vede dalla figura qui accanto, i primi pozzi datano al 1896 e la prima fase di elevato sfruttamento c'è stata tra il 1907 e il 1929. La produzione ha toccato il livello massimo assoluto nella storia dell'Oklahoma tra il 1920 e il 1935 (nonostante la depressione del 1929). Un nuovo incremento si è avuto dopo la II guerra mondiale, ma dagli anni '50 l'esplorazione di nuovi pozzi non riuscì a compensare quelli in via di esaurimento; di conseguenza la produzione di petrolio in questo Stato, dopo il picco dell'inizio degli anni '70, ha continuato a calare inesorabilmente fino a qualche anno fa e molti giacimenti vennero considerati esauriti.
Nel 2004 il prezzo del petrolio è tornato a salire, passando i 40 dollari al barile e toccando addirittura i 140 dollari e, a parte un breve calo, dal 2010 è sempre stato sopra i 60 dollari (anzi, dal 2011 all'estate del 2014, stabilmente sopra i 100 dollari).
I prezzi alti e il miglioramento delle tecniche di recupero avanzato con l'iniezione di fluidi hanno reso conveniente lo sfruttamento di due tipologie di giacimenti precedentemente scartati: quelli considerati esauriti (il rapporto petrolio / brine era diventato troppo basso)  e quelli precedentemente scartati sempre per l'eccessiva presenza di acqua.
Siamo quindi davanti a giacimenti convenzionali ma coltivati in maniera piuttosto estrema, in cui si estrae petrolio con una percentuale di acqua (o, meglio, di brina salina) molto superiore al normale, acqua che ovviamente deve essere smaltita in qualche modo. E questo diventa un problema da risolvere.
Come?
Una parte viene sfruttata di nuovo come acqua di reiniezione per stimolare la produzione, ma quella in più o viene depurata (processo molto costoso) oppure finisce nei pozzi di stoccaggio permanente, con il risultato di aumentare la sismicità indotta, in quanto si avverano le due condizioni fondamentali descritte da Weingartner: un forte tasso di reiniezione e la scarsa profondità del basamento cristallino.
E infatti i terremoti sono iniziati in coincidenza con l'incremento della produzione di petrolio, ottenuta appunto da questi pozzi una volta non considerati remunerativi.
Oggi con il prezzo del petrolio così basso lo sfruttamento di questi giacimenti è ovviamente stato sospeso.

UN LEGAME FRA ATTIVITÀ SISMICA E PETROLIFERA
IN OKLAHOMA PER TUTTO IL XX SECOLO?

La cosa impressionante è che molto probabilmente anche la sismicità pregressa in Oklahoma ha una origine antropica che è stata riconosciuta solo oggi.
L'efficiente apparato burocratico di questo Stato conserva contea per contea i permessi di reiniezione per la stimolazione dei pozzi dal 1932 e per lo smaltimento delle brine dal 1945 (anche se non vengono indicati i quantitativi) ed è stato facile per i ricercatori localizzarli tutti: i dati dimostrano quindi che già negli anni '30 erano iniziate le operazioni di Enhanced Oil Recovery introducendo acqua nel sottosuolo. 
I due periodi di elevata sismicità registrati nel XX secolo coincidono con le fasi di elevata produzione di petrolio, quello tra il 1920 e il 1940 e quello fra il 1950 e il 1970.

I collegamenti geografici fra pozzi di reiniezioene
ed eventi sismici negli anni '50 del XX secolo
In particolare il terremoto di El Reno del 9 aprile 1952 (M 5.5, con intensità fino al VII grado) è avvenuto vicino a due pozzi di reiniezione. In sostanza 6 dei 7 eventi con M>3 registrati negli anni '50 sembrano essere collegati alle attività di reiniezione. Solo l'evento M 4.0 del 17 giugno 1959 parrebbe essere naturale a causa della attività tettonica residua della zona di Ouachita (come quelli del 1995).
Venendo ai giorni nostri, il fortissimo incremento dell'attività sismica coincide con l'inizio dello sfruttamento di quei pozzi precedentemente scartati per il loro elevato contenuto di acqua nei fluidi estratti dal 2007. 
Concludendo, anche se non vi sono certezze assolute, è fortemente probabile l'origine antropica di questi terremoti, grazie a 3 generi di indicazioni:

  • la coincidenza temporale fra i picchi di attività di reiniezione e attività sismica
  • la coincidenza spaziale fra gli ipocentri dei terremoti e la localizzazione dei pozzi di reiniezione 
  • il tipo di scuotimento generato in particolare dagli eventi del 1952 e del 1956

Il problema per il passato è l'imprecisione della localizzazione e della profondità degli eventi e di alcuni pozzi (di cui comunque non si conosce l'entità delle reiniezioni) e la scarsità di registrazioni strumentali. Questo in particolare vale per gli eventi connessi al primo boom della produzione (1920 / 1935), durante la quale sembrano essersi verificati i primi casi di sismicità indotta.

NOTA FINALE: a scanso di equivoci e stupide strumentalizzazioni ripeto per l'ennesima volta che non c'è nessuna relazione fra i terremoti emiliani del 2012 e le attività petrolifere

[1] Crone e Luza 1990. Style and timing of Holocene surface faulting on the Meers fault, southwestern Oklahoma Geological Society of America Bulletin, v. 102, p. 1 - 17  
[2] Weingarten et al 2015 High-rate injection is associated with the increase in U.S. mid-continent seismicity Science 348, 1336 - 1340
[3] Hough e Page 2015 A Century of Induced Earthquakes in Oklahoma? Bulletin of the Seismological Society of America, Vol. 105, No. 6, pp. –, December 2015, doi: 10.1785/0120150109