venerdì 26 dicembre 2014

Lo stato di New York vieterà per legge il fracking con l'approvazione dell'elettorato


Andrew Cuomo, recentemente rieletto governatore, annunzia che prossimamente verrà definitivamente bannata la pratica del fracking nel territorio dello stato di New York. il provvedimento è stato preso anche perchè l'opinione pubblica locale non nutre simpatia per questa pratica e quindi non ci saranno danni per il Partito Democratico locale. Un aspetto particolare della vicenda è che le proteste sono venute soprattutto da proprietari terrieri che contavano sui proventi delle concessioni sui propri terreni, ma non dalle case petrolifere.  

In molti stati degli USA l'attività di estrazione di gas con il fracking sta incontrando resistenze delle popolazioni locali. In alcuni casi tali resistenze hanno spesso portato al pronunciamento in materia di varie corti locali, che in una serie di casi hanno dato ragione alle popolazioni (ma ci sono anche sentenze di senso opposto). Questo succede persino nello stato più petroliofilo di tutti, il Texas. E oggi c'è addirittura uno stato intero, e piuttosto importante, che sta per vietare il fracking per legge: quello di New York 

Lo stato di New York è compreso nel territorio sotto al quale, a migliaia di metri di profondità, si trovano il Marcellus Shale e l'Utica Shale, due delle più importanti formazioni scistose dalle quali è nato negli Usa il boom dei gas – shales. Come si vede da questa carta in buona parte del territorio del New England il Marcellus sta sopra all'Utica: in poche aree esiste solo una delle due formazioni.
Pennsylvania, West Virginia e Ohio sono gli altri tre stati maggiormente interessati da queste formazioni e hanno approfittato come pochi altri del boom dei gas – shales, le cui riserve di idrocarburi possono essere sfruttate solo con la discussa e discutibile tecnica del fracking, di cui ho parlato spesso.

Ricordo in particolare due cose sul fracking, premettendo di essere “piuttosto contrario” a questa pratica:
1. non è possibile farlo in Italia perché, semplicemente, non ci sono le rocce adatte: quindi chi sostiene che hanno già fatto fracking, ad esempio in Emilia – Romagna, dice solo una emerita cazzata, come ho fatto notare qui
2. non è il fracking che genera la sismicità indotta, ma la reiniezione nel terreno di quella parte dei liquidi usati per farlo che fuoriesce dai pozzi: cioè si può fare fracking anche senza innescare sismicità, “limitandosi” ad inquinare il sottosuolo ed eventualmente in caso di depurazione non riuscita, le acque superficiali

Al contrario dei governi vicini, quello dello Stato di New York è sempre stato piuttosto prudente sul fracking, anche a causa delle varie proteste popolari di questi anni. Ci sono diverse organizzazioni che contrastano l'industria petrolifera: fra queste porto ad esempio il Delaware Riverkeeper Network, che specificamente si occupa della sicurezza delle acque di uno dei fiumi più importanti del New England, il Delaware. Per cui si è andati avanti a suon di moratorie e di sentenze di corti locali, che hanno più o meno ristretto il divieto.
Di fatto l'opinione pubblica dello stato è chiaramente divisa fra favorevoli e contrari al divieto, ma il successo piuttosto netto riportato nelle ultime elezioni ha convinto il rieletto governatore Andrew Cuomo a esporsi in maniera piuttosto netta sulla questione, anche perché i sondaggi dicono che non si deve aspettare conseguenze negative da questa azione.

Il divieto non è ancora stato emesso definitivamente, ma per il Commissario all'Ambiente Joe Martens il suo avvento è prossimo e le sue conseguenze saranno evidenti solo nella parte meridionale del New York, la cosiddetta “Southern Tier”: ben il 63 % delle aree nelle quali c'è una potenzialità di sfruttamento dei gas – shales sarebbero lo stesso sottoposte a divieto anche senza questo ulteriore passo, in quanto fanno parte del bacino di alimentazione degli acquiferi di New York City e Syracuse, che non possono assolutamente correre il minimo rischio di essere inquinati. 

È estremamente favorevole al bando anche il Commissario alla Salute Howard Zucker, il cui dipartimento ha studiato i rapporti fra attività estrattiva con il fracking e salute pubblica: proprio queste ricerche hanno costituito uno dei capisaldi che hanno portato a questa decisione. 
Zucker afferma anche un'altra cosa: negli stati vicini studi del genere non sarebbero stati effettuati prima dell'inizio delle operazioni di trivellazione. La sua conclusione è che non vorrebbe che i suoi figli vivessero in quelle zone. Al che Andrew Cuomo ha detto che “se il Commissario alla salute dice così, allora neanche io voglio che i miei figli vivano in zone in cui si pratica questa attività e ovviamente non lo voglio per qualsiasi ragazzo dello Stato di New York”.
Piuttosto chiaro, direi.

La disparità di opinioni sul divieto di fracking comunque esiste anche nella Southern Tier, persino fra i proprietari terrieri, a cui negli USA appartengono anche i diritti di sfruttamento del sottosuolo: alcuni sono “molto dispiaciuti” (eufemismo...) perché devono rinunciare a parecchi quattrini e definiscono questo divieto un'occasione persa per rivitalizzare l'economia. Nel loro mirino ci sono anche gli studi del dipartimento della salute, che secondo loro hanno trascurato apposta gli effetti dell'uso di altre fonti energetiche. Altri invece plaudono all'iniziativa per paura che il fracking porti inquinamento.

Ora bisogna aspettare la mossa definitiva del governo newyorkese, ma anche un'ondata di istanze contrarie che quella parte dei proprietari terrieri favorevoli al fracking presenterà sicuramente alle varie corti di giustizia.

Chi invece pare prenderla con filosofia, paradossalmente, sono le compagnie petrolifere: sarà forse che così si evita l'immissione di altro gas in un momento in cui i prezzi sono bassissimi (e quindi poco remunerativi) e c'è persino chi sostiene che sia proprio questo l'aspetto che ha convinto il commissario all'ambiente ad annunciare il divieto, e non gli studi scientifici. 
In pratica il bando farebbe gli interessi sia dell'ambiente che delle compagnie petrolifere, anche se difficilmente un fatto del genere potrebbe avvenire in uno stato governato dal Partito Repubblicano, per il quale l'industria petrolifera rappresenta di gran lunga il maggior finanziatore. 
Ufficialmente i repubblicani newyorkesi hanno espresso il loro disappunto, ma in questo stato secondo i sondaggi anche buona parte degli elettori repubblicani sono contrari al fracking (sia pure senza essere la maggioranza dei simpatizzanti del partito).

Il rischio per l'industria petrolifera è grave perchè è possibile, a partire dalla California (dove esistono già diversi divieti locali), che altri stati scelgano questa strada.



domenica 21 dicembre 2014

La geodinamica dello sciame sismico del Chianti e un risvolto comico sulla faccenda


La sequenza sismica APPARE in netto calo per intensità e numero di scosse, come pare ovvio.
Dico appare perché, altrettanto ovviamente, non si può escludere una recrudescenza degli eventi, come in effetti è successo ieri sera: dalle 11.00 di ieri mattina sabato 20 dicembre fino alle 20,25 si sono verificate solo altre 3 scosse. Poi fino alla mezzanotte ne sono state registrate di nuovo altre 6, comprese fra una M di 2.0 e 2.9.  

Veniamo ad un inquadramento tettonico delle scosse e devo ringraziare Paolo Balocchi e Massimo della Schiava con cui ho avuto brevi ma significativi scambi di opinione.

Come pensavo già ieri pomeriggio che ero fuori casa queste scosse sono avvenute lungo una faglia trascorrente in direzione perpendicolare alla catena appenninica. Lo si vede dal tensore pubblicato dall'INGV. Fra quelle trascorrenti ci sono le faglie più famose della Terra, come la San Andreas e la nord anatolica. Vediamo qui una schematizzazione di una trascorrente pura, il cui movimento si verifica su un piano di faglia verticale.  



L'Appennino Settentrionale è il risultato della collisione fra la placca adriatica e quella europea. Il fronte di scontro oggi è lungo la pianura padana (le faglie responsabili dei terremoti emiliani sono dovute proprio a questo scontro). Poi il fronte scende lungo l'Adriatico, per poi rientrare sulla terraferma a nord del Gargano e dirigersi verso lo Jonio passando per il Golfo di Taranto (La Puglia non è ancora stata coinvolta nell'orogenesi).
  
Nel versante tirrenico dell'Appennino ci sono delle fosse allineate lungo la catena il cui significato è controverso. Ne ho parlato qui. Ci sono però anche delle strutture perpendicolari alla catena, dette antiappenniniche, che servono per “accomodare” le deformazioni all'interno di una fascia sostanzialmente bloccata posta fra il fronte attivo e i mari Ligure e Tirreno. 
Questa figura, modificata dall'amico Paolo Balocchi per renderla più chiara, è tratta da un lavoro molto vecchio ma significativo del team diretto dal buon prof. Boccaletti, e illustra le principali lintee antiappenniniche, che più o mneo si allineano in direzione SW – NE.
Vediamo come la sequenza sismica di questi giorni sembra essere annidata lungo una di queste faglie, la Piombino – Faenza (che prende il nome dalla nota località della costa etrusca e non dal sottoscritto...), sulla quale dovrebbe essersi impostato un altro sciame sismico che l'estate scorsa ha colpito la val d'Elsa nella zona di Sangimignano. 
La Piombino – Faenza è probabilmente la responsabile di buona parte dell'attività sismica dell'Appennino Romagnolo tra il Muraglione e la piana romagnola. In Toscana Meridionale lungo questo allineamento è addirittura servito per la risalita di magmi recenti della Provincia Magmatica Toscana, esattamente il Monte Capanne all'Elba, il vulcano di San Vincenzo sulla costa toscana, i lamproiti di Montecatini Val di Cecina e, fondamentale ai giorni nostri, il corpo granitico che è sotto l'area geotermica di Larderello

Più in su, vicino a Firenze fra Dicomano e Pontassieve, alla Piombino - Faenza dovrebbe essere attribuita la responsabilità della formazione della Valdisieve, una struttura lineare antiappenninica in cui si alternano zone più strette a zone più larghe come nella zona della Rufina, i "bacini pull - apart", spesso associati alla tettonica trascorrente. Vediamo in figura uno dei più famosi pull - apart attivi odierni, il Mare di Marmara, provocato dalla faglia nord anatolica ed il suo meccanismo di formazione.



Un'ultima osservazione: venerdì c'è stata la disgraziata iniziativa sulle scie chimiche alla Regione, organizzata da un gruppo consiliare minore (dove per fortuna non c'era praticamente nessuno). 
Ricordo che se per qualcuno un pò grullerello ed esaltato le condense aerodinamiche e dei motori degli aerei sono delle scie chimiche fatte con prodotti che avvelenano l'umanità e modificano il clima. Secondo altri servono addirittura  ad agevolare la produzione artificiale di terremoti, insieme a HAARP. E c'è il solito deficiente che non cito e non linko per non dargli pubblicità che continua a dire che "i terremoti con scarsa profondità sono spesso di origine artificiale, o meglio antropica, anzi bellica" (nella fattispecie sarebbero provocati dalla aerosolterapia bellica, NdR) e anche per questo sciame si chiede "se per caso, lo zio Sam ha riattivato i riscaldatori ionosferici bombardando le fagli sismiche attive? "

Pensate un po': convegno sulle scie chimiche a Firenze e sciame nel Chianti.... coincidenza? noi di Piombager diciamo di no... chissà se qualcuno di quei matti collegherà i due fatti...

Da ultimo aggiungo qui tre link piuttosto interessanti:

1. Il rapporto dell'INGV sulla sequenza
2. un post di Massimo della Schiava, centrato in particolare sul perchè questi eventi sono stati risentiti molto fra Firenze  e Prato
3. un commento su "abitare nel Chianti o nel Mugello"  di Marco Mucciarelli


sabato 20 dicembre 2014

lo sciame sismico del Chianti di ieri 19 dicembre 2014


Nota inziale: Questo è un post scritto in fretta. Tornato tardi dal lavoro e, notizia di servizio, non potrò aggiornarlo fino a domani sera. 

Come sapete oggi la zona del Chianti è stata teatro di uno sciame sismico di una certa importanza, con 8 scosse di M uguale o superiore a 3.
Innanzitutto vediamo dove si colloca l'area interessata dall'attività: nella zona di Mercatale Val di Pesa, in un rettangolo di dimensioni ristrette, diciamo circa 30 km quadrati, visibile nella carta qui sotto.


Vicini alla zona di attività ci sono Greve in Chianti e Passo dei Pecorai, oltre a Mercatale. Zone fra le più belle paesaggisticamente parlando (e anche da un punto di vista alcolico sono messe “benino” ...) anche se non sono particolarmente popolata.

Il Chianti è sede di una modesta sismicità. Anche se ci sono state due punte, una nel senese nel 1798 e una a Impruneta nel 1895. Di quest'ultima ho avuto una testimonianza diretta: mio nonno che all'epoca aveva 4 anni e chi mi raccontò che si spaventò e non poco (abitava a Porta Romana e dunque nella zona di Firenze più vicina all'epicentro).
Di tutte queste scosse io a Firenze ho sentito (e bene) solo quella delle 10.39 mentre ero nel palazzo dove hanno sede i laboratori di antropologia dell'università, in via del Proconsolo.
Le altre non le ho sentite ma anche a Firenze sono state sentite notevolmente, in particolare la più forte, quella di M 4.1 delle 11.36 che stranamente non ho percepito pur essendo sempre in centro a Firenze, anche se in un altro palazzo.
Questa scossa è stata percepita piuttosto intensamente specialmente ai piani alti.

La seconda immagine mostra la concentrazione degli eventi. Purtroppo ho poca preparazione come computer graphics nè ho avuto il tempo di fare un GIS. Si vede che sono tutte ben concentrate appunto in quel rettangolo. Se avrò tempo cercherò se ci sono dei trend nella distribuzione


La terza immagine mostra l'andamento nel tempo di tutta la giornata del 19 dicembre. Come si vede siamo davanti ad un classico esempio di sciame sismico in cui non esiste una scossa principale ma ci sono diversi eventi di magnitudo massima confrontabile.
Il picco si è verificato al mattino, con le due scosse più forti giunte a circa un'ora di distanza l'una dall'altra. Nel pomeriggio sono continuate le scosse (e siamo a più di 80 con M uguale o superiore a 2) ma si registra, come normalmente accade, una diminuzione degli eventi in intensità e numero.
ATTENZIONE: il tempo usato è quello internazionale il "Greenwich Mean time" e quindi in italia siamo in anticipo di un'ora: la scossa delle 10.39 è avvenuta alle 9.39 GMT 


Purtroppo non sono riuscito a trovare il meccanismo focale.

La sequenza sembra dunque diminuire di intensità, ma in uno sciame del genere il ritorno di un evento di intensità paragonabile a quelli più forti è uno scenario ipotizzabile,  e in quel caso anche le repliche potranno nuovamente impennarsi, aumentare di nuovo in numero, frequenza ed intensità.
Siccome è molto difficile fare delle previsioni (specialmente per quanto riguarda il futuro!) non si può dunque escludere un ritorno di fiamma e quindi la probabilità che nei prossimi giorni si verifichi qualche nuova scossa talmente forte da essere percepita anche a Firenze, che è a una ventina di km dall'epicentro, è reale.
Le scosse minori continueranno di sicuro per un pò e infatti mentre sto scrivendo ne sono state registrate altre 3, di ci una a M=3

Spero che questa sequenza serva a far capire che anche in una zona relativamente poco sismica come la città di Firenze con il terremoto non si scherza e ricordo che le 3 principali categorie di edifici che devono resistere ad una scossa: Ospedali, centri di coordinamento della Protezione vile e le scuole sia per preservare la popolazione giovane (la scuola di San Giuliano di Puglia è purtroppo un triste, tristissimo esempio), sia perché sono i luoghi migliori per ospitare eventuali sfollati.
Non voglio più sentire discorsi tipo “la maestra ha fatto bene a far uscire i bambini perché quell'edificio è fatiscente”.
Anche perché oggi gli studenti erano tutti fuori dopo una piccola scossa sia pure ben percepita, ma non è sempre così: magari i terremoti forti dessero un preavviso (evitiamo commenti tipo L'Aquila, grazie).
E quando arrivano o si è preparati o buonanotte al secchio.


A chi mi ha telefonato (e non ha avuto risposto perché quando sono a lavorare il telefono è spento) o scritto messaggi, post etc etc cosa rispondo: che sto per andare a dormire tranquillo perché questa sequenza non ha aumentato né diminuito la probabilità di un “evento principale” tipo quello del 1895. E il rischio esiste indipendentemente dalla sequenza in atto

domenica 14 dicembre 2014

Gli incontri fra i polinesiani dell'Isola di Pasqua e i nativi del sudamerica confermati dalla genetica dei nativi di Rapa Nui


L'isola di Pasqua (che sarebbe meglio chiamare con il nome indigeno di Rapa Nui) è quanto di più isolato si possa concepire. Fu scoperta e colonizzata dai polinesiani secoli prime che ci arrivasse nel 1722 Jacob Roggeween. Quando l'olandese la scoprì, nell'isola si era già conclusa da un pezzo la costruzione dei famosi Moai. Che i nativi di Rapoa Nui siano polinesiani, lo dimostrano la lingua ed altre caratteristiche etniche. La domanda interessante è se dopo essere arrivati lì nel XIII secolo (quando raggiunsero anche le Hawaii e la Nuova Zelanda, questi intrepidi marinai siano poi riusciti ad arrivare anche  alle coste del continente americano (il che, obbiettivamente, parrebbe abbastanza ovvio viste le loro capacità di navigazione...). Su questo fatto le tracce sono controverse. Adesso per verificarlo è stata fatta una cosa inversa e cioè cercare nei polinesiani, in particolare fra gli abitanti dell'Isola di Pasqua, tracce di antenati sudamericani. Queste tracce sono state trovate e aprono interessanti orizzonti.


Ho un ricordo confuso di una cosa che mi aveva colpito quando la lessi diversi anni fa e che però non mi è più riuscito trovare: dei polli sudamericani che possedevano delle caratteristiche genetiche tali da far pensare ad una loro origine polinesiana (anzi, era praticamente sicuro, se ricordo bene). Questi polli quindi sarebbero una ottima prova del fatto che i polinesiani siano arrivati anche in America Meridionale. Sul perché mancano tracce genetiche dei proprietari di quei polli la soluzione più semplice era che erano stati fatti fuori quando hanno tentato di sbarcare (facile incolpare per questo le tradizioni di sacrifici umani del continente americano). 


Che i polinesiani siano arrivati in Sudamerica sostanzialmente non può stupire: se sono arrivati fino all'isola di Pasqua (mi chiedo ancora come avranno fatto a trovarla... non so nulla della loro espansione, ma immagino abbiano battuto a tappeto l'oceano) perché non andare oltre quel minuscolo territorio verso un bersaglio così grosso come un continente? Mi chiedo inoltre come mai non abbiano colonizzato anche le Galapagos....

Quello che non tornava era, a parte questi polli, la mancanza di una impronta genetica umana nell'America Latina. È vero che ogni tanto spuntano in Sudamerica dei casi di DNA polinesiano; ma alla fine la soluzione “normale” di questi ritrovamenti è che i corpi indagati appartenessero a persone che i civili e timorati di Dio europei avevano portato nel continente come schiavi o a loro discendenti più o meno diretti. Addirittura ne sono stati trovati (notizia fresca) fra i Botocudos del Brasile: molte popolazioni dell'Africa Australe hanno fra gli antenati dei malgasci, però in questi Botocudos il genoma è tipicamente malgascio, senza tracce dell'Africa continentale (1); ma poi anche qui la soluzione più corretta sembra essere l'arrivo tramite i trafficanti di schiavi. Al solito tanto clamore per nulla....
E soprattutto nessuna prova, a parte quei famosi polli.


Se quindi le tracce sicure di polinesiani in America Meridionale sono scarse i forti sospetti di incontri fra nativi del Sud America e Polinesiani derivavano soprattutto dalla diffusione nel Pacifico della patata dolce, che sembra avvenuta all'epoca della espansione dei polinesiani del XIII secolo e quindi in età precolombiana. La presenza della patata dolce in Polinesia dimostra che oltre ai contatti fra l'America meridionale e Rapa Nui, c'erano ancora contatti fra Rapa Nui e il resto della Polinesia. 
Attenzione che la patata dolce è una specie molto diversa dalla patata che noi conosciamo (anzi, non è neanche una solanacea....).

Purtroppo non è possibile allo stato attuale un tracciamento genetico dell'antico viaggio della patata dolce nel Pacifico, perché da quando sono arrivati gli europei gli interscambi di animali e piante fra le varie coste e le varie isole del Pacifico hanno obliterato le tracce dei vecchi movimenti (2).


Per capirci di più sono state eseguite delle analisi genetiche dei nativi dell'Isola di Pasqua, dai cui risultati, pubblicati su Current Biology, sono emerse delle cose piuttosto interessanti. Oltre alla presenza di oltre il 15% di geni europei, il cui inserimento dai calcoli sarebbe avvenuto nella seconda metà del XIX secolo (cosa abbastanza ovvia, direi ma il risultato conferma la validità del metodo usato), ci sono le prove di contatti in tempi precolombiani fra pasquani e nativi sudamericani: questi genomi pasquani hanno circa l'8% di geni tipici del Sudamerica, il cui innesto è calcolato al XIV secolo, quello successivo alla colonizzazione di Rapa Nui (3). È comunque ancora da chiarire quale o quali siano le popolazioni amerinde da cui provengono questi geni.

Non ci sono discendenti in linea diretta maschile o femminile di questi (o queste) sudamericane, e questo non stupisce perché dopo pochi decenni di contatti con uomini “civilizzati” di origine europea fra violenze, malattie, deportazioni e quant'altro nel 1877 erano rimasti appena 111 nativi, rispetto agli oltre 2000 del 1722 e agli oltre 10.000 del passato più florido della civiltà di quest'isola e quindi chissà quante linee dirette sono state perse....  Oggi dovrebbero essere più di 3000 in una popolazione che ne conta in tutto circa 6000. 


La domanda è: ma sono stati i pasquani ad andare in America portando indietro delle persone dal continente o viceversa? 

La genetica ovviamente non può risolvere il dubbio, ma considerando le doti eccezionali dei polinesiani come navigatori, e che queste doti non paiono essere presenti fra i sudamericani precolombiani, la prima ipotesi è praticamente certa anche in mancanza di prove e testimonia quindi almeno un viaggio di andata che si è perfezionato con un viaggio di ritorno. 
Secondo alcuni studi questi viaggi sarebbero stati abbastanza regolari, ma non so quali siano le basi per affermarlo. Essendo cose proposte da persone ben più autorevoli del sottoscritto in materia le devo accettare, però le date di arrivo di questi amerindi si collocano in un intervallo ristretto ben precedente rispetto all'arrivo dei conquistadores e questo mi fa pensare che si sia trattato di incontri sporadici. 


Quindi i polinesiani dell'Isola di Pasqua in America ci sono arrivati davvero, anche se non è dato sapere quante volte ci siano stati, tantomeno se sono riusciti a tornare indietro almeno due volte. Resta comunque una scoperta particolarmente interessante perché stabilisce un rapporto fra due civiltà così diverse e separate da migliaia di km di oceani.


(1) Malaspinas et al. (2014).Two ancient human genomes reveal Polynesianancestry among the indigenous Botocudos of Brazil. Curr. Biol. 24, R1035–R1037.
(2) Moreno-Mayar et al. (2014). Genome-wide ancestry patterns in Rapa Nui (Easter Island)suggest pre-European admixture with Native Americans. Curr. Biol. 24,2518–2525.
(3) Roullier et al. (2013). Historical collections reveal patterns of diffusion of sweet potato in Oceania obscured by modern plant movements and recombination. Proc. Natl. Acad. Sci. USA 110,2205–2210

lunedì 1 dicembre 2014

Un'altro sciame sismico negli USA in cui aumenta con il tempo l'intensità e i suoi perchè


Gli Stati Uniti occidentali sono caratterizzati da una sismicità intensa e famosa (in particolare la California) e gli sciami sismici sono all'ordine del giorno. Una cosa strana è che in questi giorni si sta verificando uno sciame “alla rovescia”, cioè una sequenza in cui numero e intensità delle scosse aumentano con il passare del tempo ed è la terza volta in 50 anni che da quelle parti succede una cosa del genere. Vediamo cosa succede e perché.

Uno sciame sismico è una sequenza di eventi sismici in cui non c'è, come nei forti terremoti, un evento principale che dà il via ad una sequenza di repliche di intensità molto inferiore, ma una serie di eventi molto vicini fra di loro in cui molti hanno più o meno la stessa intensità, il cui valore tende a diminuire con il tempo, fino a quando il disturbo si esaurisce. Nella primavera del 2008 avevo parlato di uno strano caso di sciame sismico “alla rovescia” vicino a Reno, al confine fra California e Nevada, dove tra febbraio e luglio 2008 (una cinquantina di eventi di cui i più forti si sono registrati alla fine di Aprile).

In Italia sciami sismici sono relativamente frequenti: la Valnerina in Umbria ne è colpita molto spesso (a volte come nel 1979 con esiti purtroppo molto evidenti), ma la cosa interessa tutto l'Appennino centrale tra Romagna, Marche, Umbria e Abruzzi. Anche il terremoto del 2009 è avvenuto durante uno sciame sismico e ciò è alla base, da un punto di vista pratico, delle polemiche sul comportamento della Commissione Grandi Rischi: purtroppo questa non è la norma e magari i terremoti fossero preannunciati da uno sciame sismico.. Il sisma dell'Aquila è avvenuto indipendentemente dalla sequenza in corso.

Ho detto “quasi sempre” perché ci sono degli sciami “alla rovescia”, in cui si assiste ad un incremento nel numero e nella intensità degli eventi.
I casi conosciuti in letteratura in genere sono inquadrati nella “sismicità indotta” dalla reiniezione di liquidi nel sottosuolo per il loro smaltimento, specialmente ma non solo in caso dei reflui del fracking (ne ho parlato quio per “eccitare” la produzione di pozzi petroliferi; come è noto è stato ipotizzato un meccanismo del genere anche per i terremoti emiliani, specificamente indicando come matrice del problema il pozzo di reiniezione Cavone 23, ma la cosa non è stata ritenuta poi verosimile, checchè continuino a pensare così un po' di gente al di fuori del campo specifico. Ne ho parlato diffusamente anche in una intervista fattami da Tiziana Brazzatti per Gravità Zero.

Significative eccezioni a questa regola si trovano negli Stati Uniti occidentali.

Infatti il caso del 2008 a Reno non è l'unico. Una cosa simile successe nella zona di Adel, nell'Oregon meridionale, 200 km a nord di Reno nel 1958, quando fu raggiunta e superata una M di 5. Uno sciame sismico durato diversi mesi in circostanze curiose, almeno dal punto di vista cronologico: un mese prima, il 26 aprile 1968 fu effettuato un test nucleare sotterraneo a Boxcar, in Nevada a circa 500 km di distanza e questa sequenza iniziò il 25 maggio, quindi circa un mese dopo.


Uno sciame di questo tipo è attualmente in corso in una zona molto selvaggia che fa parte dello Sheldon National Wildlife Refuge: a partire da luglio 2014 una serie di terremoti sta colpendo un'area a meno di 50 km a sud di Adel. Anche in questo caso magnitudo massima e numero di eventi sono progressivamente aumentati fino ad un massimo che si è avuto verso il 20 di novembre, quindi 10 giorni fa e 4 mesi dopo l'inizio della sequenza. Per adesso si contano 640 scosse con M superiore a 2.0. 
Vediamo la sua collocazione grazie all'Iris Earthquake Browser

BREVE CRONACA DEI MESI COMPRESI FRA LUGLIO A NOVEMBRE

La sequenza è iniziata con 5 eventi di M compresa fra 2 e 3 il 12 luglio. Entro la fine del mese si contano una cinquantina di eventi, dei quali uno solo ha avuto una M maggiore di 3 (3.1) ed è avvenuto il 24, quindi 12 giorni dopo l'inizio dell'attività.
Ad agosto il numero degli eventi è raddoppiato (ricordando, tuttavia che il rapporto non è significativo perché la sequenza in luglio ha interessato solo gli ultimi 20 giorni del mese). Di questi ben 13 hanno avuto un M maggiore o uguale a 3 (e questo invece è significativo); il massimo è stato un M=3.6 il 19.
Settembre è stato un momento di stasi: una cinquantina di eventi dei quali solo 5 di M superiore a 3, questi ultimi tutti compresi fra il 15 e il 24 del mese.
Ad ottobre si è notata una certa recrudescenza dei fenomeni: il primo del mese è stato contraddistinto dal record provvisorio: un evento di M 3.9 seguito da altri 8 eventi con M superiore a 3 e un'altra quarantina nella classe di M fra 2 e 3.
A novembre la sequenza è schizzata verso un massimo di attività che dura tutt'ora: 300 scosse nella classe fra M 2 e 3, 75 fra M 3 e 4, e 8 con M superiore a 4 fra il 6 e il 21 del mese, dopodichè c'è stato un rilassamento, perché dal 24 in poi “solo” 5 eventi hanno avuto una M superiore a 3 rispetto ai 65 delle 3 settimane precedenti e c'è stato un rallentamento anche nelle classi di maglitudo inferiori.

Ovviamente non sono in grado di capire se questa attenuazione sia solo momentanea oppure se l'attività riprenderà con rinnovato vigore. Vedremo, l'importante è dare la notizia di ciò che sta avvenendo.

LE POSSIBILI MOTIVAZIONI DI UN FENOMENO DEL GENERE

Gli Scienziati pensano che il meccanismo che provoca questi sciami sia lo stesso che provoca gli sciami da sismicità indotta: il percolamento delle acque superficiali in profondità lungo le zone di faglia.
Tra un lato e l'altro di una faglia c'è un livello fatto di rocce rotte, che tecnicamente si chiama “zona cataclastica”. Questo livello può essere molto più permeabile delle rocce delle pareti delle faglia e in casi del genere rappresenta una via preferenziale per le acque che si infiltrano nel terreno. La presenza di acqua diminuisce la forza di attrito che tiene ferma la faglia, talvolta al punto tale da provocarne il movimento.

Ho constatato una curiosità: le 3 zone in cui ci sono stati questi eventi hanno una caratteristica in comune: sono vicine al bordo nord - orientale del Great Basin, una grande depressione di origine tettonica fra la catena della Sierra Nevada e le Montagne Rocciose meridionali, come si vede dalla carta in cui i punti in rosso le segnalano.

Però siccome per adesso non ho trovato questo aspetto registrato nella letteratura scientifica non sono in grado di poter affermare che questo sia un legame da un punto di vista geologico fra queste 3 situazioni.

venerdì 28 novembre 2014

Di come la nomenclatura del dissesto idrogeologico in italiano dimostri la particolare attitudine di questi fenomeni a presentarsi nel nostro Paese


Nel territorio italiano, circondato da mari piuttosto caldi e dal rilievo giovane, colli e monti costituiscono quel sistema tanto paesaggisticamente ineccepibile per cui andiamo famosi, quanto di difficile gestione, e non solo a causa dei tanti sedimenti "vagamente consolidati" che lo compongono. Non può quindi stupire che i processi dominanti nell’evoluzione naturale del paesaggio siano frane e alluvioni. Potrebbe invece stupire la ricchezza dei termini con cui questi processi possono essere chiamati nella nostra lingua, che invece è una conseguenza diretta di questa situazione.

La quantità di nomi con i quali un fenomeno naturale viene descritto in una lingua è un indice della sua frequenza. Ad esempio gli esquimesi usano una serie di parole diverse per distinguere vari tipi di ghiaccio che probabilmente per l'italiano medio sarebbero tutti uguali, mentre la parola “neve” è praticamente sconosciuta in tutta l'Africa a sud del Sahariana tranne che per le tribù che vivono nella zona del Kilimangiaro.


L'inglese, che ci ha abituato alla semplicità̀ dei termini che indicano qualcosa di essenziale (a partire proprio con “start”, ben più veloce dell'italiano “partenza”), non ha una parola semplice per descrivere un fenomeno naturale (e per l'Italia naturalissimo...) come le frane: le chiama infatti con la parola composta “landslide”, letteralmente “scivolamento di terra” (in pratica quello che in un vocabolario italiano è messo proprio come significato del termine frana).

Questo perché il fenomeno “frane” nelle isole britanniche è un qualcosa che non avviene frequentemente ed è soprattutto circoscritto alle scogliere che contrassegnano molte delle loro coste. Ingenti fenomeni franosi accadono negli USA e nel Canada, ma per lo più nella parte occidentale e quindi hanno scarsamente inciso nella storia della lingua.

La dimostrazione che in Italia eventi del genere hanno una particolare importanza ce lo dicono diverse cose da un punto di vista lessicale.
Innanzitutto il termine stesso, “frana”, una parola corta come poche, che fa pari con un altro termine decisamente semplice e corto come “crollo”. E, tanto per tornare all'inglese, anche in questo caso se per noi c'è stato un “crollo” in una parete di roccia per gli inglesi c'è stato invece un “rockfall”. In genere le parole inglesi sono più corte di quelle italiane. Le frane costituiscono una rilevante eccezione a questa regola, indovinate perché...

Ma c'è di più. Nella letteratura scientifica la classificazione delle frane è ovviamente in lingua inglese ed è formata da nomi doppi e lunghi.
Invece, come mi ha notare il prof. Nicola Casagli, frane e alluvioni in italiano sono identificate con tantissimi termini diversi singoli. 
Elenchiamone qualcuno, senza considerare le decine di nomi e varianti dialettali. Alcuni hanno un contenuto veramente poco scientifico, e spesso, se usati impropriamente, rischiano di ingenerare una gran confusione, ma ce ne sono altri che descrivono fedelmente il tipo di “landslide” in oggetto: fenomeno franoso, franamento, smottamento, scoscendimento, scivolamento, sprofondamento, sfaldamento, slittamento, colata, flusso, valanga, cedimento, crollo, caduta, tracollo, dissesto, rovina, ruina, rovinata, lavina, slavina, sfacelo, sfascio, schianto, rottura, frattura. Mi pare di averne nominati 26 oltre a quello originario. Scusate se è poco.

La stessa cosa succede per quanto riguarda le alluvioni. In inglese sono tutte dei “flood”, la cui conseguenza è un “flooding” (di solito in una floodplain). E invece noi in Italia oltre all'alluvione abbiamo piena, allagamento, inondazione, esondazione, straripamento, tracimazione, diluvio, invasione d’acqua, sommersione, fiumana, trabocco, sormonto, dissesto, lama (15 nomi in tutto). Da notare come anche questi termini, più ancora che nel caso delle frane, precisano bene il tipo di flooding: un allagamento è sicuramente un flooding leggero, mentre una inondazione è pur sempre un flooding, benchè più severo.

A questi 15 termini se ne potrebbe aggiungere un sedicesimo: diluvio; un termine un po' arcaico se inteso come alluvione (il Diluvio universale, ad esempio, conosciuto in inglese come il Noah Flood o il Biblical Flood) che per noi oggi è più una pioggia incessante di lunga durata
Forse di termini per definire le alluvioni ce n'erano troppi e darwinianamente la pressione selettiva ne ha eliminati una buona parte, tranne che per ambienti come quello religioso, molto tradizionalisti e spesso restii alle novità: d'altro canto se in inglese una heavy and prolonged rainfall può portare ad un flood, stavolta siamo noi italiani a semplificare, raccogliendo in un termine unico una lunga serie di piogge forti e l'alluvione che ne è seguita.

Un altra dimostrazione che questi eventi naturali fanno parte del nostro inconscio è l'uso di questi termini in senso figurato: ammetto di essere “una frana” giocando a calcio (proprio non mi è mai riuscito...) mentre per qualcuno Mozart quando ci si metteva produceva delle “alluvioni di note”. 
Quindi le stesse parole – frana e alluvione – vengono utilizzate anche per identificare cose che con l’argomento qui trattato non c’entrano proprio nulla, come per esempio: tracolli finanziari, prestazioni scadenti, scarsa destrezza nel primo caso, profusione, sovrabbondanza, grande quantità nel secondo.
Quindi se in Inglese bisogna indicare chiaramente che lo sliding lo ha fatto il terreno (altrimenti niente frana), in Italia chiunque (o qualsiasi cosa) può franare. 
Una alluvione di significati in un Paese che sta franando, in tutti i sensi....

domenica 12 ottobre 2014

Dopo Genova 2014 alluvioni e rischio idrogeologico ancora in evidenza. Situazione e prospettive


Quanto nuovamente successo a Genova in questi giorni ripropone per l'ennesima volta il disastro dell'assetto del territorio in questo Paese. Disastro che ha molte radici, naturali antropiche e politiche. Come ho scritto svariate volte per un amministratore locale in cerca di consensi è più “utile” la sponsorizzazione di una sagra paesana o la costruzione di una strada, cose che l'elettore medio “vede” subito, che non promuovere sistemazioni idrauliche, delle quali quando funzionano non se ne accorge nessuno proprio perché hanno funzionato. Franco Gabrielli, il capo della Protezione Civile, in questi giorni è molto pessimista e se non ci fosse la task – force di D'Angelis probabilmente lo sarebbe ancora di più. Riassumo un attimo la situazione generale, tanto per dare dei punti fermi nel dibattito, un dibattito che dovrebbe rimanere sempre vivo e non limitarsi a pochi giorni dopo un evento

Il mancato allerta a Genova è sicuramente un fallimento del sistema di previsioni che invece in tutti questi anni in Italia ha dimostrato una certa affidabilità, con scarsi “falsi positivi” (cioè allarmi rivelarsi infondati) e persino minori mancate previsioni. Un sistema del quale possiamo andare orgogliosi perché non ha eguali al mondo. 
È importante notare la mancanza di falsi positivi: un sistema che ne dà parecchi non è affidabile perché c'è il fondato rischio che al terzo mancato allarme la popolazione prenda alla leggera quelli successivi.
Francamente mi auguro che ci sia una inchiesta volta a capire se ci sia stata qualche leggerezza. Ma non mi piace un processo sommario, ne mi auguro conseguenze per le persone nel caso l'errore sia stato compiuto in buona fede, con una sentenza tipo L'Aquila (ma lì vorrei sapere chi è stato il CTU dell'accusa...). Ed in ogni caso le colpe maggiori sono a monte, e cioè di come è stato gestito il territorio e non solo a Genova. 

Mi auguro invece che vengano condannati e zittiti personaggi come Rosario Marcianò o Gianni Lannes (tanto per rientrare nell'argomento scie chimiche) che nei loro deliri favoleggiano di fantomatici attacchi deliberati alla popolazione producendo artificialmente questi disastri e li invito a studiare climatologia e meteorologia su testi scientifici e non alla iutiùb iunivèrsiti (secondo loro e i loro seguaci invece meteorologia e climatologia ufficiali raccontano panzane e sono complici della strage, non so come definire certi pensieri...)  

Nel 2011 le precipitazioni così elevate ai primi di novembre furono innescate da un mare estremamente caldo che provocò una evaporazione più massiccia del solito. Non ho dati sulle temperature del Mar Ligure in questi giorni ma mi pare strana una anomalia come 3 anni fa anche perché la stagione non è stata certo così calda dalle nostre parti come lo fu il 2011 (mentre lo è stata molto di più rispetto alla media in Europa Settentrionale). Questione di disposizione delle correnti e delle figure di alta e bassa pressione.
Ovviamente se verrò a conoscenza di dati che smentiscono quanto ho detto sarà mia cura pubblicarli alla svelta.
Quel che mi pare un po' anomalo in questa vicenda è stato una vera e propria “fermata” delle nuvole su Genova. Forse questo è un imprevisto che ha fatto saltare i modelli?

ITALIA E NELLA FATTSIPECIE GENOVA: PERCHÈ IL DISSESTO IDROGEOLOGICO?

Qualche anno fa individuai alcuni aspetti fondamentali che conferiscono all'Italia la patente di Paese europeo più a rischio per l'assetto del territorio:
1. ha un rilievo giovane 
2. molte delle colline e addirittura delle montagne sono fatte di materiali particolarmente erodibili o di sedimenti “vagamente consolidati” (questo è un termine non scientifico, ma l'ho coniato perché rende bene l'idea) 
3. dai due punti precedenti si ricava che in una buona fetta di territorio il motore principale di formazione del paesaggio siano le frane
4. il rischio sismico è molto elevato
5. è circondata da mari caldi che quindi possono provocare precipitazioni intense
6. i suoi bacini fluviali sono molto piccoli e quindi rispondono troppo presto ad intense precipitazioni e i corsi d'acqua hanno un regime torrentizio
7. ha una densità di popolazione molto elevata

Se si eccettua la sismica e i sedimenti vagamente consolidati, questi do lo specchio della situazione genovese; anzi, la città della Lanterna è un esempio classico specialmente per i punti 5, 6 e 7 dell'elenco. 
Ho parlato diffusamente dell'alluvione genovese del 2011 confrontandola con quella del 1970. In particolare feci notare come la zona della foce del Bisagno era stata sede di un lazzaretto perché era molto scarsamente abitata; eppure era una bella pianura mentre la città si era formata sui due colli vicini, quello del centro e quello di Albaro. Il perchè di questa cosa era evidente: l'unica zona pianeggiante o quasi della città era troppo pericolosa a causa delle intemperanze del Bisagno e dei suoi affluenti (come, tanto per non fare nomi, il Fereggiano). 
Nel XIX secolo fu iniziata la costruzione la parte nuova della città in quella piana e negli anni '30 del XX secolo fu tombato il Bisagno, creando le condizioni per quei due disastri.

E QUESTA È LA SITUAZIONE

Questo non è che un esempio molto calzante e valido per tutta l'Italia: questi aspetti dovrebbero consigliare una maggiore attenzione all'uso e all'assetto del territorio, invece in una nazione così peculiare dal punto di vista idrogeologico è stato fatto tanto di quello che NON doveva essere fatto mentre non è stato fatto quasi nulla di quello che avrebbe dovuto essere fatto.
Per esempio sono stati costruiti interi quartieri in zone a rischio idrogeologico, specialmente dal dopo guerra, e anche le prestazioni antisismiche lasciano molto spesso a desiderare, per non parlare dei danni al territorio dovuti ad abusi sanati dai vari condoni edilizi. Per cui mi chiesi dove risiede nel cervello degli italiani il problema dell'assetto del territorio.

Una delle cose più gravi è stata sicuramente il restringimento degli alvei fluviali se non il loro tombamento. 
Quando un torrente o un fiume ha bisogno di spazio non chiede il permesso: se lo prende e festa finita.
Rimediare è difficile, a Genova come altrove: ci sarebbero da delocalizzare interi quartieri e intere zone industriali o almeno abbandonare le fasce più a rischio. 

GLI OSTACOLI, UN POSSIBILE CAMBIO DI REGISTRO 
E UN ESEMPIO DI QUELLO CHE ANCORA SI FA INCOSCIENTEMENTE

Altra cosa che lascia perplesso è sapere che i progetti per rimediare (almeno un po') a questa situazione ci sono, i soldi pure ma tutto si perde nei meandri della burocrazia e delle autorizzazioni. Non ho prove per sostenere che ciò sia vero o falso, ma se ciò risponde a verità anche questa cosa deve saltare fuori, a Genova come altrove. E iImmagino che nel caso specifico genovese sia vero, altrimenti Gabrielli su Repubblica non si porrebbe "il problema che in questo Paese, a distanza di 30 mesi da quando sono stati stanziati i fondi, si stia ancora dietro alla carta bollata, quando giovedì un uomo è morto e una città è andata sotto. I 35 milioni per il torrente Bisagno, non spesi per una girandola di ricorsi dopo l'assegnazione della gara, è uno scandalo della burocrazia pubblica. In questo caso, legato ai lunghi tempi della giustizia amministrativa".

Che la cosa sia vera, a Genova come da diverse altre parti, lo dimostra la task force governativa di Erasmo D'Angelis, che ha scovato 2.273 milioni assegnati dal 1998 a oggi per finanziare opere pubbliche volte alla messa in sicurezza del territorio e che non sono stati spesi.
Giustamente hanno “commissariato” questi soldi pochi mesi fa per renderli fruibili attraverso i presidenti delle Regioni, nominati commissari sull'argomento: questi risponderanno personalmente dell'effettuazione di opere da loro scelte e delle risorse finanziarie ottenute che, se non usate in tempo ragionevole, verranno tolte alla svelta. 
Per la cronaca, io ero fermo ai circa 1.300 milioni dichiarati a Giugno 2014; evidentemente D'Angelis & C hanno trovato altre situazioni del genere. 

Il problema è che la maggior parte di queste risorse basteranno per tamponare emergenze (semprechè bastino) e non verranno usate per interventi di ristrutturazione. 

Da ultimo un esempio di come NON si dovrebbe fare le cose ci viene dalla Campania.
Per velocizzare il rilascio dei pareri sulle istanze di semplificazione, una nuova legge regionale prevede che possa essere rilasciata la sanatoria dei condoni edilizi del 1985 e del 1994 (!!) nelle zone sottoposte a vincoli che non comportano l’inedificabilità assoluta senza il consenso delle amministrazioni preposte alla tutela del vincolo. Il Ministero dell’Ambiente non ci sta in quanto questa norma consentirebbe le sanatorie anche in zone a rischio idraulico, cosa che dovrebbe essere invece una competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente.

Sono evidenti qui una totale mancanza di know-how (o di incoscienza...) in materia ambientale da parte di chi approva leggi del genere  e una confusione normativa che non gioca a favore del corretto uso del territorio. 

martedì 7 ottobre 2014

Interpretazione elementare del processo di formazione delle idee - Uomini come atomi: ioni e co-ioni. Di Sandro Secci


Ho conosciuto Sandro Secci quando ero curatore della mostra delle farfalle al Tepidarium: ricordo quella persona con cui mi misi a parlare di evoluzione, adattamenti ed altro e che poi mi venne a trovare di nuovo per fare una seconda chiacchierata del genere. Da allora io e la Marghe andiamo spesso alle cene che organizza per gli amici (mi si consenta di celebrare i suoi leggendari risotti...), a cui partecipano un sacco di persone interessanti e si parla di tutto, scienza e tecnologia, arti figurative, musica, cinema, letteratura, politica, società e quant'altro, con qualche ovvia concessione al pettegolezzo (siamo umani....). Un vero “salotto”, insomma, non celebrato ma decisamente “di sostanza”, ormai entrato a far parte delle nostre abitudini. 
Una nostra amica, che Sandro chiama in questo scritto Tina, ha dei detrattori di cui si capisce poco il senso e così lui ha cercato di capirne il perché. Ne è nato uno scritto degno della migliore tradizione satirica: appena l'ho letto non ho potuto resistere alla tentazione di pubblicarlo, ovviamente dopo averne avuto il permesso, sperando che ci perdoniate delle licenze sulla chimica.

In questo provocatorio articolo, lungi dall'ambire ad essere una tesi scientifica dimostrabile, cercherò di far capire come alcuni processi riguardanti particelle di fisica elementare possano in un certo modo essere all’origine della percezione e successivamente della formazione di idee e giudizio nell'essere umano; tutto ciò per interpretare casistiche altrimenti inspiegabili, in fenomenologie correnti di denigrazione, di negazione del merito e di travisamento della realtà in genere, che non avrebbero ragione di esistere se non per i complicati processi biochimici che sono alla base del pensiero razionale.
Giornalieramente assistiamo a tali fenomeni attribuendone le cause a fasi ormonali, alternanze umorali, tratti caratteriali; ma ciò non basta a chiarire il ripetersi dell'evento nello stesso individuo o gruppo di individui e soprattutto non spiega il perché la scatagenesi reiterata, non porti il soggetto o i soggetti interessati una sorta di auto cautela o almeno di memoria storica, atta a non far reiterare certi comportamenti a dir poco scurrili.

A suffragio di questa tesi il dottor Manuel Crow allevò in Sudafrica un gruppo di un centinaio di esemplari di scimpanzé che svilupparono una parvenza di società civile; i ricercatori notarono in essi una organizzazione paraumanoide: alcuni individui furono emarginati, ad altri fu riconosciuta maggior autorità, talvolta senza una ragione comprensibile; ma fu altresì osservato che esistevano comportamenti negli individui “atipici” che determinavano una riammissione al gruppo o un decadimento dalle prerogative, cosa che raramente avviene negli uomini.

Tutto ciò mi ha fatto pensare che le cause di imprevedibilità comportamentale fossero da ricercare in fattori simili a quelli che sono la base della fisica elementare: il cervello umano incomparabilmente evoluto di certi individui, agirebbe da superconduttore di energia mentale, traducendo poi determinati picchi in una sorta di energia statica vera e propria, capace di caricare elettricamente sia l’individuo che le proprie idee; avverrebbe a questo punto una ionizzazione  del soggetto, simile per molti versi a quello che succede negli atomi. 
Come tutti ben sappiamo negli atomi ci sono particelle subatomiche cariche di energia positiva (protoni) o negativa (elettroni); alcuni atomi, interagendo fra sé possono formare dei legami condividendo alcuni elettroni (particelle negative); con un simile meccanismo un cervello particolare riesce a caricare se stesso e le proprie idee di un contenuto energetico tale da assumere lo stato di “ione”; e siccome non sarà il solo ad avere questa capacità di ionizzazione e attrarrà individui a lui simili con i quali condividerà le proprie idee alla stregua di quanto succede agli elettroni nei legami di covalenza.
Ciò porterà questi individui ad essere all’inizio due co-ioni, poi l’affare si ingrosserà e darà luogo ad un gruppo di co-ioni, i quali lavorando assieme stringeranno dei super legami con altri gruppi di loro simili assurgendo tutti quanti allo stato di super co-ioni; le idee che questo procedimento sprigionerà passeranno da normali co-ionate a super co-ionate; queste verranno portate avanti con ostinazione e determinazione tale da conferirgli vita propria e come i capolavori, saranno eterni e immutabili nell’iperspazio delle iper co-ionate.

Dedico questa mia breve tesi a tutti i detrattori della Tina e genericamente a tutti i co-ioni e super co-ioni che veleggiano inossidabili in ogni campo del cosiddetto scibile umano.