giovedì 28 novembre 2013

Mitigare i danni degli eventi naturali avversi: la proposta del consiglio Nazionale dei Geologi di istituire un "ufficio territoriale geologico di zona"


Il 27 novembre 2013 passerà alla storia del parlamento italiano per ben altre questioni e mi sa che in pochi presteranno attenzione ad un'altra vicenda, quella della presentazione ad opera del Consiglio Nazionale dei Geologi di un progetto di Legge che prevede la costituzione dell’Ufficio Geologico Territoriale nei comuni italiani. Proporre di istituire un'altra classe di uffici pubblici in seno alle Amministrazioni Locali potrebbe essere presa male dai sostenitori dello "Stato snello", ma le condizioni del territorio nazionale urgono una soluzione drastica che può essere compiuta solo se ci saranno persone competenti che vi si dedicano a tempo pieno e, ovviamente, con un cambiamento epocale nella mentalità degli italiani. Questo "costo" potrebbe portare a mitigare i rischi e a risparmiare parte delle risorse finanziarie che oggi vengono spese per riparare i danni delle calamità naturali.

Ho spesso battuto sul fatto che l'Italia sia un territorio difficile: un rilievo giovane governato da frane ed erosione, alta frequenza di aree collinari fatte di sedimenti sciolti e non di rocce dure, un susseguirsi di piccoli bacini idrografici, un territorio circondato da mari caldi e una elevata stagionalità nelle piogge costituirebbero un cocktail micidiale anche in assenza dell'Umanità. 
E invece bisogna considerare che l'Italia è pure un Paese molto popolato. 

Tutto questo imporrebbe una grande attenzione nell'uso del territorio per non pregiudicarne l'assetto idrogeologico. Ed invece si nota come specialmente dal dopoguerra ad oggi a proposito di assetto del territorio e di uso del suolo si sia fatto tanto di quello che non doveva essere fatto e pochissimo di quello che doveva essere fatto. 
Tale situazione ben si riflette su dei dati che ha ricordato il Presidente del C.N.G., il Consiglio Nazionale dei Geologi, Gian Vito Graziano, citando i dati del ministero dell'Ambiente: oggi le persone esposte ad un elevato rischio idrogeologico sono almeno 6 milioni e gli edifici a rischio sono circa 1,2 milioni. 
E purtroppo il rischio non è solo teorico se dal 1960 in poi, quindi in poco più di 50 anni, 541 inondazioni hanno colpito 451 località appartenenti a 388 comuni diversi, causando 1.760 vittime; nello stesso periodo 812 frane in 747 località distribuite in 536 comuni, hanno provocato la morte di 5.368 persone. Nessuna delle 20 regioni italiane si è rivelata immune da questo aspetto (sono esclusi da questo computo i morti del Vajont e di Stava, dovuti a cedimenti imputabili esclusivamente alla mano dell'Uomo).
Oltre alle vittime bisogna pensare anche ai danni materiali degli eventi naturali: case, infrastrutture e attività economiche distrutte o danneggiate. 

Le aree ad elevato rischio sismico sono ben oltre il 50% del territorio nazionale e interessano il 36% dei comuni; le persone esposte ad un elevato rischio sismico sono 22 milioni e gli edifici a rischio sono 5,5 milioni, fra i quali ovviamente scuole ed ospedali. E quindi come non pensare anche alle vittime e ai danni dei terremoti che nello stesso periodo hanno interessato il territorio (Irpinia 1962 e 1980, Belice 1967, Friuli 1976, Assisi 1997, Abruzzo 2009, Emilia 2012) insieme a tante altre scosse che hanno causato quantomeno dei discreti danni? 

L'aspetto principale della questione è la scarsa conoscenza del territorio. 
A questo proposito voglio citare un episodio riferitomi quando, subito dopo i tragici fatti sardi, lo stesso Gian Vito Graziano è andato ospite a Porta a Porta: Bruno Vespa ha posto una precisa domanda: "Quale è la soglia del livello di allerta per cui un sindaco deve intervenire?
La risposta è stata: "Al di là dei vari livelli di allarme dipende anche dalla situazione del suo territorio. La responsabilità di un amministratore è conoscere le problematicità del proprio territorio e quindi agire quando, dove e come necessario, perché ci possono essere situazioni critiche che si innescano anche in situazioni climatiche non estreme”. 

Quindi come ha fatto notare un geologo sul Geoforum, ci vuole “conoscenza del territorio e cultura della prevenzione, è su questo che da anni ci battiamo”. 
In effetti solo così si possono valutare gli scenari di vulnerabilità ed esposizione del territorio una volta che viene lanciato dalla Protezione Civile un allarme. In assenza di questi elementi (probabilmente anche perché non sono mai stati opportunamente definiti) non si ha la giusta valutazione del rischio. 
Il problema, molto pessimisticamente, è: ma gli amministratori locali hanno queste competenze o la voglia e le possibilità di averle?

Il presidio territoriale idrogeologico è previsto dalla direttiva della presidenza del Consiglio dei ministri del 27/02/2004, “indirizzi operativi per la gestione organizzativa e funzionale del sistema di allertamento nazionale e regionale per il rischio idrogeologico ed idraulico ai fini di protezione civile", pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 59 del 11 marzo 2004. 
Questa struttura dovrebbe: 
- individuare le aree a pericolosità e a rischio idrogeologico
- effettuare il monitoraggio continuativo dei movimenti franosi e delle piene, attesi o in atto, attraverso un'adeguata attività di ricognizione del territorio di competenza 
- individuare ed organizzare in tempo reale i necessari servizi di contrasto, in particolare di pronto intervento e di prevenzione non strutturale
- compiere azioni di vigilanza sulla rete idrografica secondaria 
- supportare gli uffici tenici dei comuni di competenza nella programmazione di interventi di mitigazione preventiva delle aree a rischio

In linea teorica ogni comune dovrebbe avere un piano di emergenza fatto bene. Senza andare a vedere il modo con cui questi piani sono fatti e quindi senza capirne il grado di attendibilità, funzionalità etc etc, bisogna notare che in molti comuni questo piano non esiste nemmeno... 
E mi pare statisticamente improbabile che non ne siano dotati solo dei comuni “non a rischio” (ammesso che ci siano comuni in Italia che non presentino nessun rischio...) 
 
Il fatto è che, dopo 10 anni, si vede come queste strutture non hanno risolto la situazione. Quindi la proposta di “stabilizzare” il ruolo del geologo dandogli un posto preciso e caratterizzante può servire. Infatti il Geologo opera per definizione per il monitoraggio, la salvaguardi e la valutazione del territorio. 
Un maggior coinvolgimento dei geologi, quindi, consentirebbe una piu' attenta ed efficace pianificazione territoriale che, a propria volta, porterebbe a una riduzione degli eventi calamitosi che affliggono tutto il Paese.

Vediamo allora in cosa consiste la proposta di legge dei geologi italiani "monitoraggio e salvaguardia del territorio per la mitigazione del dissesto idrogeologico e la prevenzione delle catastrofi naturali?” 
Si prevede l’istituzione dell’Ufficio Geologico territoriale di zona in ogni comune italiano, con lo scopo di monitorare il territorio per valutare preventivamente e prevenire i rischi geologici e qualunque forma di calamita' naturale. 
I compiti di questo ufficio sono molteplici. Ad esempio:
- effettuare un lavoro di monitoraggio territoriale ai fini delle attività di valutazione (previsione) e prevenzione dei rischi geologici o qualsivoglia forma di calamità naturale 
- effettuare il presidio territoriale idrogeologico, con compiti di vigilanza sulla rete idrografica secondaria (quei piccoli torrenti e canali che non solo escono facvilmente dagli argini, ma che trasportano verso i corsi d'acqua principali ogni sorta di detriti che poi si bloccano in corrispondenza dei ponti 
- individuare le aree a pericolosità e rischio idrogeologico presenti nel territorio di competenza, specificando in dettaglio: ambiti territoriali, popolazione, infrastrutture e insediamenti esposti

Certo, c'è sempre, almeno in italia, il rischio che questa diventi una semplice e “normalmente inefficiente” struttura burocratica su cui scaricare problemi e colpe. Ma secondo me le Pubbliche Amministrazioni non possono continuare con la pratica attuale delle consulenze a gogò, e necessitano tutte di qualche geologo a tempo pieno impegnato nel settore. 
Ritengo anche che non si debba per forza andare obbligatoriamente a livello comunale ma che posano essere individuati dei consorzi fra comuni più piccoli a patto che ci sia una certa uniformità territoriale. 

Ovviamente rimane il problema di farsi capire da chi non è in grado di capire ma soprattutto da tutti quelli che non vogliono capire e, come ho già scritto, finchè il geologo viene chiamato per fare solo una valutazione finale di certi interventi (dai piani regolatori alla costruzione di un edificio) e non viene coinvolto in queste operazioni dall'inizio, sarà sempre percepito come un costo e un rompiscatole e non come una risorsa...

lunedì 25 novembre 2013

Scie chimiche, terremoti ed alluvioni: disinformazione a gogò. Quando la finiranno?


Il secolo che doveva essere quello dei nuovi lumi si sta rivelando quello in cui leggende e scemenze si diffondono ad una velocità terrificante. Con l'aggravante rispetto all'antichità che ora c'è una risposta scientifica ai fenomeni naturali che una volta, non avendo la minima idea del perchè succedevano, venivano attribuiti a dei e ad altre forze sconosciute. Anche a proposito della recente alluvione in Sardegna si sono scatenate le voci imbecilli dei soliti complottisti secondo i quali il tutto sarebbe stato un fenomeno artificiale dovuto ad un esperimento militare di quei perfidi soggetti che sono gli americani, ovviamente con il consenso del nostro governo, ridotto semplicemente a strumento in mano ai disegnatori del “nuovo ordine mondiale”. Ho però cercato di capire cosa aveva scatenato questi deliri e credo di esserci riuscito: gli esperimenti per la creazione di piogge artificiali, di cui però non sono riuscitodi capire lo “stato dell'arte”: non ho trovato lavori scientifici attendibili in materia, ma per lo più accenni su siti di cui non sono in grado di certificare l'attendibilità.

Prima di leggere questo post metto un piccolo glossario:
- NWO: nuovo ordine mondiale (New World Order) è secondo la teoria complottista, l'obbiettivo di un gruppo di potere oligarchico e segreto (ma neanche tanto per qualcuno perchè sarebbe il Bilderberg) che vuole conquistare il dominio su tutta la Terra con varie tecniche.
- i complottisti (o complottardi) sono i sostenitori di questa idea
- Gli sciacomici sono i sostenitori del complotto delle scie chimiche
A metà settembre Silvia Bencivelli, giornalista de “La Stampa” scrisse un articolo in cui ha ricostruito l'origine della bufala delle scie chimiche. L'articolo è disponibile qui.

Sostanzialmente sono d'accordo ma esiste la possibilità che ci sia stato davvero qualche tentativo dei militari di fare cose del genere (penso durante la guerra del Vietnam in particolare e in generale da tutte le Grandi Potenze durante la Guerra Fredda). Tornando alla Bencivelli, a seguito di quell'articolo i seguaci di Marcianò, Lannes e compagnia le inviarono in risposta delle offese personali spesso rivoltanti ma data la ovvia impossibilità di dimostrare tutte quelle sciocchezze l'unica arma che hanno i fanatici è questa. C'è poco da fare.

A Silvia Bencivelli continua ad andare la mia solidarietà.
 
I COMPLOTTISTI E I DISASTRI NATURALI

Vediamo oggi che dopo anni che i terremoti vengono addebitati ad un'arma segreta della NATO (le prime notizie mi sono arrivate dopo il terremoto di Haiti del 2010), anche per l'alluvione in Sardegna secondo i complottisti la colpa è della NATO (e secondo qualcuno persino di Israele).

Di sicuro la motivazione di questa alluvione sta in circostanze meteorologiche anomale, in particolare una depressione nel Mediterraneo Occidentale che guida il tempo in tutta l'Europa, ma non essendo un meteorologo mi astengo dal trattare l'argomento. E, come ho già detto, con una quantità di pioggia del genere era impossibile pensare che nessun fiume esondasse. Questa è una circostanza importante che dimostra come si debba convivere con la possibilità che ci siano delle alluvioni e che l'unica cosa da fare sia un uso del territorio tale da mitigare al massimo i danni.

Purtroppo a causa di chi non capisce o non vuole capire tutto ciò, registriamo a proposito del "caso Sardegna" una escalation di idiozie. E cioè che questo evento sia stato provocato da operazioni militari della NATO. Sapevo che sui social network qualcuno, con l'alluvione ancora in atto, aveva parlato di questo. Credevo fossero pazzi isolati ma avevo sottovalutato il problema perchè purtroppo si sono alzate le voci dei soliti complottisti, fra i quali naturalmente Lannes e Marcianò 

LANNES E MARCIANÒ, CASI CLINICI O SPECULATORI?

Su Gianni Lannes ho qualche dubbio: la trasformazione di un bravo e coraggioso giornalista d'inchiesta in un amplificatore di idiozie mi risulta che sia iniziata quando ha iniziato a studiare i terremoti dopo l'evento aquilano. Ora, è chiaro da cosa scrive che sulla geofisica non si è infornato su canali normali, ma ha dato retta a complottismi vari (curiosamente, sembra che ce l'abbia anche con Giuliani, il che è tutto dire...). Diciamo che è partito dai soliti siti alternativi e ne ha sposato le tesi. Tesi di chi filosofeggia o favoleggia, anziché lavorare sui dati.

Questo per dire che secondo me per qualche motivo Lannes sia impazzito ma nel contempo sia in buona fede quando spara quelle idiozie. Non so bene dove possa andare a curarsi né come fare a curarlo perchè ridiventi l'ottima persona di una volta.

Questo vale anche per alcuni gruppi di “sciacomici”, tipo “il cielo su Firenze”, tanto per nominarne uno. A proposito gli sciacomici hanno indetto una manifestazione a Modena prima di Natale. Mi spiace che quel giorno devo lavorare, altrimenti andavo davvero a vedere quanti erano, così, per farmi due risate a vedere dal vivo i loro cartelli...

Ma che Rosario Marcianò da Sanremo, il mitico Tanker Enemy, sia in buona fede per me è una eventualità molto remota e sono convinto che costui sia il tipico personaggio che cerchi di campare alle spalle dei gonzi. 

LANNES E I TERREMOTI, UN DELIRIO

Ad ogni buon conto, in estate Gianni Lannes si è eroicamente esposto al pubblico ludibrio (ad esclusione di quei 300 squinternati che lo seguono) a proposito del terremoto delle Apuane e degli altri eventi sismici che lo hanno seguito attribuendone la colpa ad una combinazione fra HAARP (che mi risulta non essere più in funzione), scie chimiche e manovre militari. Unire scie chimiche e terremoti provocati da HAARP, due delle principali bufale che scorrono in rete da un po', rappresenta una eccezionale teoria unificante del complottismo.

Gli ho risposto a proposito del terremoto delle Apuane su Scienzeedintorni; ho anche provato sul suo blog, non ricevendo risposta e, anzi, i miei commenti sono stati regolarmente censurati. Ho poi lasciato perdere quel tripudio di altre scemenze che si sono succedute nel suo blog.

E POI ANCHE SULLE ALLUVIONI, MA È IN COMPAGNIA...

Scemenze che ora riguardano un'altra questione, l'alluvione in Sardegna: oggi secondo lui le scie chimiche sono la causa della terribile alluvione. Non so se ha cominciato lui o gli è venuta l'ispirazione da quei pazzi che hanno blaterato in materia su Facebook.

Fattosta, citando testualmente il Nostro:
Dal loro punto di vista l'esperimento ha funzionato: morti, devastazioni del territorio, paura sociale e caos. Impulsi a microonde hanno preceduto la formazione del ciclone che ha sconquassato adesso la Sardegna. Qualche giorno prima del disastro pianificato a tavolino dagli alleati di Washington sotto l’ombrello Nato, l' attività di irrorazione chimica a bassa quota nel cielo con alluminio e bario ha reso l’aria estremamente elettroconduttiva.

I velivoli usati per la nebulizzazione in Sardegna sono decollati dall’aeroporto militare della Nato di Decimomannu a Cagliari.

Comunque stavolta l'aviazione civile non c'entra: la disamina dei tracciati radar (mese di novembre 2013) ha escluso il coinvolgimento di aerei di linea commerciali nell'attività di nebulizzazione dei centri abitati".
Dopo, in un raro momento di lucidità, Lannes dice una cosa di cui in molti, come sostengo anche io, fanno finta di non sapere:

E’ anche vero che ufficialmente almeno 6 milioni di persone in Italia vivono in aree sottoposte a dissesto idrogeologico

Poi però ritorna nella sua bischeraggine: ma proprio su questa fragilità geomorfologica sono stati innestati gli esperimenti bellici, proprio per avere una copertura, un utile paravento, poiché ci sarà sempre l'italidiota di turno che obietterà qualche precedente storico.

In pratica secondo lui oggi questi fenomeni possono solo essere provocati dall'Umanità.... Grandissimo. 

Il drammatico è che lo segue pure un ex senatore, Fernando Rossi che, fortunatamente per noi, ha concluso il suo mandato nel 2008 ed è fondatore della lista Per il Bene Comune che, altrettanto per fortuna, non pare accreditata fra le liste che prenderanno voti nel prossimo futuro.
Ecco cosa dice:
"Se i politici fossero in buona fede, dovrebbero anche dirci e/o richiedere ad aereonautica italiana, basi NATO e basi USA, Monsanto e Israele quante “inseminazioni” (scie chimiche) hanno fatto sulla Sardegna e sul resto d’Italia i loro aerei, e quante centinaia di tonnellate di metalli pesanti, sostanze tossiche e prodotti chimici “non meglio specificati” sono stati rilasciati in atmosfera, sotto il paravento del “controllo climatico". Se non lo fanno è perché sanno benissimo che sono quelle che hanno causato le straordinarie precipitazioni.

Forse qualcuno in alto ha dato ordini ben precisi perché non se ne parlasse? C’è un’attività criminale da parte di chi è in grado, attraverso le scie chimiche di, gestire l’inquinamento di acque, campi, animali e persone”.
Ora, posso capire l'antiamericanismo di un reduce del PCI (e, d'altro canto, anche a me non è che la politica USA mi sia sempre rimasta simpatica). Però a tutto c'è un limite... come tirare fuori la Monsanto, che sicuramente con i suoi metodi sta sulle scatole ad un mucchio di gente ma che non si capisce cosa c'entri qui. Ma è bello fare un calderone in cui infilate tutti gli odiati “nemici”…. 

Anche Marcianò, in una leggendaria intervista a La Zanzara su Radio24 si è espresso in tal senso, tra i frizzi e i lazzi dei giornalisti. Quando l'ho sentita in podcast (anzi, date le porcate che dice il personaggio quello è un porkast) stavo per soffocare perchè non respiravo più dalle risate. 
In pratica qualsiasi fatto climatico o sismico secondo loro è da addebitarsi ai carognoni della NATO.

SCIE CHIMICHE E ALLUVIONI:
POSSIBILI ORIGINI DI QUESTA GIGANTESCA BUFALA

Sono andato a cercare la questione: mi era noto che tentativi di provocare artificialmente la pioggia erano teorizzati almeno tra gli anni '50 e '60 in quel momento di delirio ottimistico sulle possibilità che l'Umanità potesse dominare la Natura crudele (qualcuno pensava persino che fosse possibile impedire i forti terremoti). E gli Israeliani ci hanno realmente provato a provocare la pioggia ma non credo abbiano avuto grandi risultati. Il principio sarebbe quello di inseminare le nuvole con delle polveri che fanno da nucleo di condensazione per il vapore acqueo che così si trasforma in pioggia. 

Guardando in rete ci sono diverse notizie al riguardo ma sono scettico sui risultati anche perchè in bibliografia scientifica non c'è molto al riguardo (e ricordo che quello che fa testo è la bibliografia scientifica in peer-review, Wikipedia e tutta un'altra serie di siti senza un controllo della comunità scientifica non fanno testo).

Un altro sito riporta che l'Unione Sarda avrebbe pubblicato nel 2002 un articolo secondo il quale sarebbe stato avviata una operazione per provocare pioggia artificiale in modo da rimediare alla cronica siccità nell'isola.

Oggettivamente non ne so nulla di questa storia e non ho il tempo di indagare. Immagino comunque che la citazione sia reale. Ed è probabile, se quanto riportato risponde a verità, che ci fosse stato un coinvolgimento di qualche ricercatore israeliano. 

Pertanto se la  connessione scie chimiche - terremoti è una totale idiozia, l'idea che siano un sistema per avvelenare l'Umanità e specialmente che servano a provocare pioggia sono le classiche leggende nate a partire da un minimo fondo di verità, come spesso è successo nelle mitologie dell'antichità. Da qui ad arrivare a farle diventare un'arma di distruzione di territori è chiaramente un passaggio demenziale.

Ora cerchiamo di capire il passaggio: ricordate Lannes che se la prendeva con la Protezione Civile perchè sono stati realizzati degli scenari di distruzione in caso di terremoto? Per lui questa era la dimostrazione che c'era un complotto per creare terremoti artificiali e sapendo i parametri di questi esperimenti venivano ipotizzati i danni. Una persona normale capisce che la situazione è molto diversa e che la Protezione Civile deve fare questi piani per avere un'idea di quello che può succedere in caso di forte terremoto (ovviamente naturale...)

Ma come per quella faccenda, anche in questo caso la logica vorrebbe che esperimenti del genere “pioggia artificiale” vengano (o, meglio, verrebbero?) svolti non per incrementare le precipitazioni in atto o previste ma in fasi di siccità durante le quali ogni goccia di acqua piovuta sarebbe da addebitare esclusivamente all'esperimento in atto. Anche perchè se vuoi aumentare le riserve idriche ti ci voglio delle piogge più continue e deboli, non un flash-flood....

Temo però che per i complottardi sia una esercitazione mentale impossibile.


venerdì 22 novembre 2013

Le origini dei Nativi Americani: un mix fra Eurasia occidentale e orientale?


La notizia del sequenziamento del genoma di un bambino di 4 anni di 24.000 anni fa trovato in Siberia (il genoma più antico fino ad oggi sequenziato) porta dati interessanti e in parte sorprendenti sull'origine degli Nativi Americani ma nel contempo - ammettendo che questo genoma sia significativo della poplazione a cui apparteneva il proprietario - può giustificare meglio alcune caratteristiche genetiche delle popolazioni del Nuovo Mondo, a partire dalla questione dell'aplogruppo X e forse anche dell'origine delle lingue amerinde. 
 
Il quadro generale del popolamento delle Americhe prevede una colonizzazione a partire dall'Asia avvenuta durante la fase di deglaciazione seguita all'ultimo massimo glaciale: 16.000 anni fa l'aumento delle temperature divise la calotta glaciale che copriva il Nordamerica in due parti, la Laurentide ad Est e un'altra minore ad ovest nella zona della Catena delle Cascate, lasciando un passaggio libero nella zona delle odierne province canadesi di Alberta e Saskatchewan.
Su tracce di presenza umana anteriori a 20.000 anni fa non c'è attualmente consenso nella comunità scientifica (i 20.000 anni fa sono una data particolare, perchè appunto corrispondono all'ultimo massimo glaciale). Secondo alcuni Autori è possibile che nell'interglaciale precedente, prima che il progressivo nuovo raffreddamento rendesse il Mare di Bering e le zone limitrofe un inospitale deserto freddo, ci siano stati arrivi in America; al momento  però non sono state trovate prove sufficienti per accertarlo.

Sul chi fossero questi pionieri sono state fatte diverse ipotesi, e abbastanza ovviamente la maggior parte porta a popolazioni asiatiche.
Anzi, diciamo che la provenienza asiatica è una certezza. Ci sono meno certezze su quale parte del continente sia la vera zona di provenienza.

Ricordo che le Americhe registrano almeno 3 ondate diverse di penetrazione umana nel continente: le due più recenti occupano aree limitate: 

- gli Inuit: distribuiti fra Alaska, Canada e la parte estrema occidentale della Siberia, parlano lingue eskimo – aleute da molti Autori correlate alle lingue dell'Eurasia settentrionale 

- i Na-Denè: occupa(va)no una parte della costa pacifica tra USA e Canada e una zona tra Arizona New Mexico e aree limitrofe (Apaches e Navajos). Hanno una sicura origine siberiana, probabilmente nei monti Altai: i loro dialetti sono affini alle lingue sino-tibetane e a quelle caucasiche (ed infatti è stata istituita la superfamiglia linguistica sino – dene – caucasica). In particolare il legame più stretto appare quello con un gruppo di idiomi in estinzione, le lingue siberiane (solo poche centinaia di persone parlano l'ultimo dialetto rimasto, il Ket). La distinzione dei Na – Denè con i loro vicini parlanti lingue amerinde è prevalentemente su base etnica e linguistica in quanto da un punto di vista genetico gli incroci con le tribù vicine hanno diluito il genoma originario.

Agli Amerindi è attribuito Il resto (e la stragrande maggioranza) della popolazione nativa americana. Le loro origini sono dibattute. Se la maggior parte della comunità scientifica ritiene esatta una origine dall'Asia settentrionale, qualcuno pensa ancora all'Asia meridionale o ad un mix. Ci sono addirittura alcuni ricercatori che ipotizzano uno stretto legame fra gli Amerindi e gli antichi abitanti delle isole giapponesi ora confinati nella parte settentrionale di Hokkaido, gli Ainu, un altro popolo di origini genetiche e linguistiche piuttosto dibattute. 

Di fatto nell'Asia nordoccidentale ci sono diverse lingue difficilmente correlabili con altre, vicine o lontane che siano (sulla lontananza, basata ricordare il collegamento degli idiomi Na-Denè alle lingue caucasiche, che significa collegarle pure al basco...)
Sulle lingue amerinde intorno al 1990 c'era un certo consenso a classificarle vicine alle lingue euroasiatiche (quindi anche all'indoeuropeo, e la circostanza che in alcune lingue degli Stati Uniti l'accusativo è usato esattamente come nell'indoeuropeo potrebbe essere una traccia importante), ma non ho trovato molto nella letteratura recente. Anzi, secondo altre fonti le lingue amerinde sarebbero collegate a quelle dell'Asia meridionale.

5 anni fa scrissi un post sulle strane concordanze fra il DNA dei nativi americani e quello degli europei. In particolare la questione riguarda l'aplogruppo X del DNA mitocondriale, diffuso anche se in percentuali minori del 5% della popolazione in Europa Occidentale, Vicino Oriente e nelle Americhe, con una particolare diffusione nelle Isole Orcadi, in Georgia e fra i Drusi del Libano. Queste popolazioni hanno in comune la caratteristica di essere isolate e quindi possono presentare anomele frequenze di alcune variazioni genetiche: gli abitanti delle Orcadi sono un classico esempio di popolaizone insulare, i Drusi rappresentano un gruppo etnico piuttosto chiuso e i Georgiani hanno una lingua particolare che probabilmente ha funzionato da blocco parziale degli incroci con i vicini (come del resto è accaduto per i baschi).

La presenza di questo aplogruppo nei nativi nordamericani fu in principio attribuita a incroci avvenuti dopo l'inizio della colonizzazione europea del continente; una ipotesi assolutamente logica ma che però non ha retto perchè i dati mostrano una divergenza ben più antica di pochi secoli.

C'era poi la questione dell'Uomo di Kennewick: uno scheletro di 9000 anni fa trovato negli USA nordoccidentali (nello stato di Washington) con fattezze “vagamente caucasiche” e che appunto apparteneva all'aplogruppo X.
All'epoca citai un lavoro di due genetisti americani, Stanford e Bradley, i quali avevano lanciato l'ipotesi di un flusso di popolazione lungo la banchisa polare dell'Oceano Atlantico tra europa ed america Settentrionale che avrebbe apportato nei nativi americani dei geni europei; inoltre una tale spiegazione poteva dare conto anche delle somiglianze fra le punte di lancia dei Clovis americani con quelle dei Solutreani europei. Diversi studiosi ne hanno parlato, con periodici parossismi nella discussione come nel 2012.

Per quanto riguarda la genetica, molti aspetti suggeriscono un legame più stretto fra le popolazioni di Asia Settentrionale, Europa e Americhe rispetto alle popolazioni dell'Asia Meridionale e dell'Oceania e in questi giorni è apparsa una notizia interessante al proposito.

Un team di genetisti è riuscito a sequenziare completamente il genoma dello scheletro di un bambino morto a circa 4 anni ritrovato in Siberia circa 24.000 anni fa (quindi prima dell'ultimo massimo glaciale ma in una fase già estremamente fredda). È il genoma più antico attualmente sequenziato in maniera completa. Il sequenziamento completo di un genoma così "vecchio" è stato reso possibile dalle condizioni fredde e sostanzialmente secche in cui si sono conservati questi resti.

Il genoma evidenzia un certo grado di associazione con il genoma dei nativi americani; il problema è che molte altre caratteristiche lo rendono più vicino alle popolazioni dell'Eurasia occidentale che a quelle dell'Eurasia orientale, come sarebbe stato invece più logico aspettarsi. 
In sostanza i dati ricavati da questo scheletro propongono una provenienza del patrimonio genetico dei nativi americani per almeno un terzo da popolazioni dell'Eurasia occidentale e gli altri due terzi riferibili dall'Eurasia orientale. Ancora non c'è un lavoro specifico sull'argomento, ma solo un breve accenno su “Science” che si riferisce ad una comunicazione di Eske Willerslev, un ricercatore danese molto impegnato nel DNA antico. Aspettiamo ovviamente di saperne di più, ma qualcosa si può già ricavare.

È vero, come mi ha detto un altro personaggio molto “ferrato” in materia, che “una rondine non fa primavera”, cioè che per avere maggiori certezze bisognerebbe avere qualche dato in più (in questo caso altri individui da cui trarre il DNA): non è detto che un solo individuo studiato possa rappresentare la “media” di quella popolazione (potrebbe essere portatore di qualche linea che non c'entra niente o addirittura potrebbe provenire da un ceppo estraneo capitato lì per qualche combinazione).
Però questi dati, al netto di questa precisazione, confermano le origini euroasiatiche settentrionali degli amerindi, sia pure più miste del previsto.
La presenza di geni dell'Eurasia occidentale giustifica meglio anche i possibili collegamenti fra le lingue indoeuropee e quelle Amerinde.

Ma sicuramente l'altro aspetto importante è proprio quello dell'aplogruppo X: nel post precedentemente citato ho fatto notare che la sua distribuzione di base è in Europa e Vicino Oriente ma che è sporadicamente presente in alcune popolazioni americane non strettamente collegate fra loro.  
Non si sa di preciso quando questo aplogruppo si sia originato: proprio a causa della sua rarità ci sono molte incertezze nel calcolo e il valore medio (26.000 anni fa) oscilla attorno a una forbice di parecchie migliaia di anni. Dovrebbe essere comparso in Medio Oriente, per poi suddividersi qualche migliaio di anni dopo nei sottogruppi X1 (tipico ed esclusivo dei Paesi Arabi) e X2, che si trova invece sparso per Europa, Paesi Arabi, Asia settentrionale e Americhe (questi dati sono stati elaborati nel 2003). Da questo lavoro comunque sembrerebbe che l'aplogruppo presente negli Altai (X2e) non ha relazioni particolari con X2a (quello presente in America che appare differenziatosi precocemente in una zona del Vicino Oriente. 

L'aplogruppo X potrebbe quindi essere stato una componente minore delle prime genti colonizzatrici arrivate in America dopo l'ultimo massimo glaciale e quindi anche questa caratteristica genetica sarebbe arrivato in America dalla Beringia e non dalla banchisa atlantica.
Meno poetico ma più semplice. E soprattutto così è più facile spiegarne la distribuzione in varie popolazioni amerinde lontane tra loro e con un'età di divergenza fra i vari ceppi molto più antica rispetto alla colonizzazione europea.

mercoledì 20 novembre 2013

Ponti medievali sicuri e ponti moderni non sicuri


Stavo scrivendo questo breve post per far vedere come nel Medioevo qualcuno sapeva che i fiumi in piena sono nemici dei ponti. E per far vedere due soluzioni medioevali confrontandole con soluzioni odierne molto meno sagge. 
Poi è arrivata l'alluvione in Sardegna e il crollo parziale di un ponte che è costato la vita ad una persona. Da alcune immagini mi pare di cogliere un grave errore costruttivo, per cui se quei ponti medioevali che descrivo sono fatti apposta per non crollare a causa della corrente durante eventi eccezionali, questo pare fatto con una filosofia opposta: frapporre nell'alveo un terrapieno. Complimenti al progettista e a chi ha approvato il lavoro, semprechè la mia impressione ricavata da quelle immagini sia giusta. Altrimenti mi scuserò.

Voglio farvi vedere delle immagini di ponti medioevali, per notare come in quei tempi in alcune zone dove tutti temevano le bizzarrie di fiumi e torrenti che potevano essere molto cattivi, si imponeva una attenzione particolare nel costruirli.

Questa foto mostra il Ponte di Grecino a Varese Ligure, un paese davvero carino che se passate da quelle parti merita di essere visto (e intorno al quale ci sono ottimi trekking da fare). 
Il ponte è stato costruito nel XVI secolo, su un torrente affluente del Vara, il Crovana ed è sicuramente suggestivo, specialmente camminandovi sopra. Si può notare una cosa interessante: è costituito da una arcata singola ed è molto alto.
Come mai? Semplicemente perchè così è a prova di alluvione, particolarmente in caso di una “bomba d'acqua”. 

La foto è stata presa dal ponte della Strada Provinciale 49, che è molto più basso.
Indovinate quale dei due ponti è più a rischio in caso di alluvione......
E si sa cosa è successo in questi anni nel Ponente ligure....

Questa seconda foto mostra uno dei ponti più celebri della Toscana: il “Ponte della Maddalena” o “del diavolo” (tralasciamo le leggende su questa seconda denominazione). 


Lo troviamo sul Serchio un po' a monte di Borgo a Mozzano. La Garfagnana merita una visita (paesi molto belli e paesaggi da trekking al quadrato) e vedere il Ponte della Maddalena è praticamente obbligatorio, visto che ci si deve passare accanto (vale anche per chi fa turismo in treno: la ferrovia ci passa sotto e volendo la stazione di Borgo a Mozzano è a poche centinaia di metri).

È un ponte particolarmente antico, attestato già ai tempi della Contessa Matilde. Mi pare comunque che sia stato ricostruito ai tempi di Castruccio Castracani (XIV secolo).

La forma appare molto curiosa, innanzitutto perchè è asimmetrica.
Ma come mai è asimmetrica? Quello che conta è la larghezza dell'arco: più l'arco è largo, più deve essere alto. Per questo la forma è così bizzarra.

Ma ha un suo motivo: la zona dell'arco più alto è quella sotto la quale passa la parte più forte della corrente del fiume. Ed è necessaria per permettere una larghezza dell'arco tale che in quel settore non ci sia nulla che fa resistenza nel caso in cui ci sia una piena del Serchio: a questo modo non c'è un pilone che si oppone alla corrente del fiume (la quale in caso di piena può essere parecchio, ma parecchio impetuosa), e può rischiare di rompersi: inoltre senza piloni non ci sono neanche ostacoli che possono fermare tronchi e altri oggetti.

La Garfagnana è una delle zone più delicate della Toscana per le alluvioni. E il Serchio ne ha combinate di tutti i colori, al punto che in Toscana per dire che qualcosa ha un costo esagerato i nostri vecchi dicevano: “è costato più che il fiume ai lucchesi”.
In particolare mi ricordo molto bene l'alluvione del 1982, in cui molti ponti rimasero interrotti per mesi e franò una parte della Strada Statale 11 tra Ponte a Moriano e Chifenti.
Ma da quelle parti qualcosa succede purtroppo quasi tutti gli anni perchè siamo vicini al mare e il rilievo sembra fatto apposta per scaricare le precipitazioni.

Inutile dire che il Ponte della Maddalena, grazie alla sua forma, nel 1982 se la sfangò egregiamente, al contrario di alcuni suoi simili molto più giovani ma con parecchie arcate che per un motivo o l'altro hanno mal sopporatato la piena.

A Firenze, invece, dove i capricci dell'Arno sono più saltuari, l'esigenza di costruire i ponti in funzione della corrente non era sentita, e infatti sono stati “regolarmente” distrutti durante le piene eccezionali del 1177 e del 1333. Evidentemente il Serchio è più cattivo.

E ora passiamo, purtroppo ai ponti dei tempi nostri. Nell'alluvione in Sardegna di ieri un poliziotto in servizio è morto, lasciando moglie e due bambini nel crollo di un ponte.
Una cosa terribilmente triste.

Ho visto le immagini su Repubblica dell'alluvione sarda e fra queste ce ne sono alcune che riguardano questo ponte, vicino a Dorgali. Non riesco però più a linkare l'album fotografico. Ne ho però per fortuna salvata una, che è questa:


Da un lato si vede un terrapieno dritto che conduce al ponte. A me pare che questo terrapieno sia costruito a partire da una delle due sponde di un alveo fluviale molto largo (probabilmente in secca quasi tutto l'anno anche nella parte centrale, il resto è possibile che venga occupato solo in casi ecdezionali), il cui inizio è addirittura fuori dalla foto. Anche dall'altra parte c'è un breve terrapieno prima della curva.

Se la mia interpretazione è giusta, allora chi ha progettato l'opera e chi l'ha avvallata hanno commesso un errore gravissimo: con quel complesso terrapieni + ponte hanno parzialmente bloccato un fiume, lasciandogli solo un piccolo sfogo, peraltro probabilmente del tutto sufficiente per piene “ordinarie”.

Un alveo naturale è dimensionato per la massima piena “normale”. Figuriamoci per una piena molto superiore a quella massima normale... 
È chiaro ed evidente che con quanto ha piovuto in Sardegna ci sarebbero state PER FORZA delle esondazioni, ma magari con un uso più corretto del territorio ed una maggiore attenzione nel costruire le cose i danni materiali e le vittime potevano essere di gran lunga inferiori.

Che differenza fra il medioevo e oggi...

martedì 12 novembre 2013

Giotto Dainelli (1878 - 1968): geologo, geografo ed esploratore (e grande divulgatore). Di Marco Bastogi

"Se fra le discipline naturalistiche ve n'è una alla quale si debbano prodigare più larghe provvidenze, questa è indubbiamente la Geologia: sia perchè, dal punto di vista puramente scientifico, essa affronta – con beneplacito dei colleghi che non sono geologi – problemi di una grandiosità difficilmente superabile, e sia perchè essa è la base, il fondamento, per applicazioni pratiche quasi illimitate, che interessano quasi ogni manifestazione delle genti civili"
Giotto Dainelli (1943) – da "L'insegnamento della Geologia" Annali dell'Università italiana n.4

Oggi su Scienzeedintorni ospito Marco Bastogi. Essendo quasi coetanei, lo conosco dai "bei tempi" dell'Università. Marco, nonostante una intensa attività professionale, è anche un personaggio molto noto e attivo nella divulgazione scientifica. Autore di numerosi articoli e relatore a diverse conferenze è stato anche vicepresidente della sezione fiorentina del CAI. In particolare per il 90° di quello che oggi è il Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze, Marco ha tenuto una conferenza su Giotto Dainelli, una colonna della geologia fiorentina (e non solo) della prima metà del XX secolo. Giotto Dainelli è stato uno scienziato che ha fatto della divulgazione scientifica un credo già ai primi del '900. Quindi per certi versi è stato un antesignano dei blogger scientifici; ed è per questo che ho chiesto a Marco di scrivere un qualcosa su questa importante figura della Geologia e della Geografia non solo fiorentina o italiana. 

Giotto Dainelli (che vediamo in una foto conservata nell'archivio CAI di Firenze) è stato uno dei più celebri personaggi della cultura italiana nel periodo compreso tra ledue guerre ed è conosciuto in ambito internazionale soprattutto per le sue esplorazioni scientifiche, tra le più importanti del ‘900. 
Nacque a Firenze il 9 maggio 1878. Il padre, era un generale medico che vantava illustri origini patriottiche risorgimentali, mentre la madre era figlia di Adriano Mari che fu senatore del Regno d’Italia. A causa dei continui cambiamenti di sede di lavoro e della passione per i viaggi del padre, Giotto Dainelli rimase lontano da Firenze durante il periodo dell’infanzia. 

E’ stata proprio la passione per i viaggi, ereditata dal padre che lo portò ad orientare la scelta dei suoi studi verso discipline, come le Scienze Naturali, indirizzate verso i più vasti orizzonti. 
Si laureò presso l’istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento di Firenze nel 1900 sotto la direzione del grande Geologo Prof. Carlo De Stefani (1851 - 1924), al tempo direttore dell’Istituto, con una tesi sul Monte Promina in Dalmazia; fin da allora Dainelli rimarrà molto legato a questo territorio. 
De Stefani darà un’impronta formativa determinante al giovane Dainelli, avviandolo all’apprendimento secondo il metodo dell’osservazione di campagna, al nazionalismo scientifico e verso le ricerche extraeuropee in Asia ed in Eritrea. 
Cominciò subito a viaggiare accompagnato dall’inseparabile macchina fotografica, con la quale immortalò luoghi e persone sul Monte Bianco (1899 e 1901); si recò in Dalmazia come paleontologo ed in Bretagna e Marocco da geografo. 

Nei primi anni dopo la laurea, frequentò corsi di perfezionamento all’Università di Vienna ed al Politecnico di Zurigo e nel 1903 divenne libero docente in Geologia e Geografia Fisica a Firenze. Fu certamente di impulso per Dainelli la presenza a Firenze della Società di Studi Geografici e Coloniali (nata a Firenze il 7 giugno 1895), oggi nota come Società di Studi Geografici con la relativa pubblicazione della Rivista Geografica Italiana
Fu in Africa Orientale nel 1905 - 1906 in occasione del Congresso Geografico di Asmara assieme al geografo amico e compagno di studi, Olinto Marinelli, altro grande personaggio che contribuirà a formare la sua personalità di scienziato. Queste sezioni geologiche appartengono ad un loro lavoro del 1908. Attraverseranno l’Eritrea settentrionale e la Dancalia orientale con un viaggio esplorativo dai diversi risvolti: geografici, geologici, antropologici, etnologici ed archeologici; in quell’occasione, scalerà assieme a Marinelli, il vulcano Alid. 
I risultati furono decisamente ottimi, innumerevoli i dati ed il materiale che fu portato a Firenze. Numerosi furono gli articoli pubblicati sulla Rivista Geografica Italiana; il resoconto dei due scienziati, fu pubblicato in un volume dal titolo: “Risultati scientifici di un viaggio nella colonia Eritrea”, che usci nel 1912. 

Dainelli, da convinto nazionalista interventista, non era certamente contrario all’espansione coloniale italiana, ma, al riguardo, manifestava un interesse prettamente scientifico, antropologico e culturale che rispettava la dignità e l’identità delle popolazioni, in contrapposizione alla cosiddetta “missione civilizzatrice” di stampo prettamente colonialista in voga al tempo. Egli riteneva che l’espansione coloniale dovesse essere lenta e graduale per favorire lo sviluppo dei territori che venivano acquisiti (un punto di vista decisamente diverso dal concetto ordinario di colonialismo...)

Nel 1910, all’età di 32 anni, divenne il sesto Presidente della Sezione del Club Alpino Italiano di Firenze e resterà in carica per ben nove anni. E’ da qui che forse ha inizio il suo desiderio di comunicare con il grande pubblico, il voler diffondere la cultura scientifica senza specifiche intenzioni formative, ma per accrescere la percezione dell’importanza degli aspetti geografici e geologici nell’ambito delle attività umane, esercitando al contempo il radicamento di questi comprensioni nella società. 
Punto cruciale della divulgazione e che Dainelli, grazie alle sue avventurose imprese potrà svolgere, è che non basta essere chiari e saper scrivere bene come ha certamente ben dimostrato nelle sue quarantamila pagine di scritti che ha lasciato, ma è necessario riuscire a coinvolgere l’emotività delle persone. Molte delle sue opere hanno per obbiettivo quello di far conoscere e divulgare le grandi scoperte che farà nell’occasione delle sue esplorazioni in Asia ed in Africa. Dainelli capì l’importanza di stabilire un collegamento con i soci del C.A.I., pensando alla creazione del Bollettino della Sezione che da allora, ancora oggi raggiunge stabilmente i soci. Fu una sua personale iniziativa quella di organizzare “carovane scolastiche”, per avvicinare e far capire la Montagna ai giovani. 

Nel 1913, sotto la guida dal medico ed esploratore Filippo De Filippi farà parte della memorabile spedizione scientifica, una delle più rilevanti e fruttuose del secolo scorso per i dati che verranno raccolti. L’esplorazione durò 17 mesi ed ebbe come obbiettivo l’area montuosa compresa tra il Karakorùm e l’Himalaya percorrendo l’India, il Kashmir, il Baltistan ed il Ladakh, fino a raggiungere il Turkestan cinese (l’attuale Sinkiang), per fare quindi ritorno in patria.
Della celebre spedizione facevano parte il comandante Alberto Alessio (geofisico), il Dott. Giorgio Abetti (astrofisico che sarà direttore dell’Osservatorio di Arcetri tra1922 e il 1957), il Marchese Nello Ginori Venturi (meteorologo), il Tenente Cesare Antilli (fotografo ufficiale), la guida valdostana Giuseppe Pettigax e naturalmente Giotto Dainelli come geografo e geologo. 
Nella primavera del 1914, un altro gruppo arriverà per affiancare la squadra di esploratori già operante. Completeranno la squadra Olinto Marinelli (Geografo), Camillo Alessandri (meteorologo), due topografi inglesi (Sprangher e Wood) per raggiungere tutti assieme la zona del passo del Karakorùm con campo base sull’altipiano del Depsang. 
L’impresa ebbe come obbiettivo l’esplorazione del ghiacciaio Rimu, il completamento delle triangolazioni iniziate dagli inglesi e dai russi nei rispettivi possedimenti in India e Turkestan e l’approfondimento dello studio della fisica terrestre mediante una estesa concatenazione di stazioni gravimetriche e magnetiche. 
Il lavoro richiedeva una notevole attività esplorativa legata all’attraversamento di zone impervie e dei grandi ghiacciai del Karakorùm orientale. 

Dainelli contribuì per gli aspetti geologici, ma si allargò personalmente approfondendo anche quelli antropologici ed etnologici. Pubblicherà il diario della sua esperienza di geografo naturalista nei volumi editi a Firenze nel 1924, sotto gli auspici della Regia Società Geografica Italiana: “Paesi e genti del Caracorùm e Vita di carovana nel Tibet occidentale”.
Già nei primi numeri del bollettino C.A.I., appariranno articoli sulla Spedizione in Karakorùm, da lui inviati. Per completare le osservazioni compiute nel 1913-1914, tornò nella stessa area con una nuova spedizione questa volta da lui diretta ed organizzata di concerto con l’Istituto Geografico Militare, alla quale parteciparono il tenente Enrico Cecioni (in veste di fotografo) ed il capitano Alessandro Latini come topografo. 
Questa missione, che raggiunse zone ancora inesplorate, fu descritta da Dainelli ne “Il mio viaggio nel Tibet Occidentale” (Mondadori, Milano, 1932). I risultati scientifici di grande valore furono raccolti in due serie distinte: la prima comprendente 4 volumi che uscirà tra il 1922 ed il 1934 (Relazioni scientifiche della spedizione italiana De Filippi nell’Himalaia, Karakorùm e Turchestan cinese), mentre la seconda serie, coordinata da Dainelli stesso, comprenderà 12 volumi che usciranno nello stesso periodo (1922 - 1934), con il contributo di altri illustri scienziati non direttamente implicati nella spedizione. 

Giotto Dainelli, per formazione era certamente più geologo che geografo, ma all’epoca, la distinzione tra le due discipline, non era così rigorosa. La sua attività nel campo geografico lo completerà indirizzandolo verso studi associati all’evoluzione geografica del territorio nel tempo (paleogeografia). Spesso mostrava un atteggiamento critico nei confronti dei Geografi per il loro prevalente approccio umanista della materia e per la loro scarsa sensibilità ad informare il pubblico dei soro studi. 
Dainelli sosteneva che i Geografi avrebbero dovuto avvicinarsi molto più alla realtà, alla vita della nazione ed al grande pubblico, a vantaggio di una cultura geografica più diffusa ed accessibile almeno rivolgendosi alle persone cosìddette colte. 
La divulgazione, per Dainelli, è quindi uno strumento essenziale e lo dimostrerà durante tutto l’arco della sua lunga attività di esploratore e scienziato. Pubblicazioni geografiche, belle nell’aspetto e nella forma, secondo Dainelli, possono servire alla causa, non certo le monografie minuziose e dai pesanti contenuti scientifici. 

Dainelli, nel 1922, a proposito dei Geografi e sul modo che hanno di presentare la loro scienza, scriverà su Il Marzocco (la rivista mensile del gabinetto Vieusseux di Firenze), …”non hanno fatto alcun passo verso il grosso pubblico; sono sempre “in cattedra”, sono sempre i “professori”. Bisogna scender di cattedra e togliersi la veste professorale e non temere mai di scender troppo purché si ottenga una maggiore diffusione della cultura geografica“… Questa asserzione, riferita da uno dei massimi esponenti della scienza geografica ed esploratore della prima metà del secolo passato, fanno di Giotto Dainelli un personaggio straordinariamente moderno, indiscutibilmente insolito nel modo di comportarsi dei grandi luminari universitari di quegli anni.
Nel 1919, “The Geographical Review”, segnalerà Giotto Dainelli, tra i migliori Geografi europei riferendosi in particolare alla collana delle “Memorie Geografiche”, da lui creata a supplemento della “Rivista geografica che ha diretto tra il 1907 e il 1918, ma anche per i suoi studi sulla Dalmazia e su quelli demografici della Toscana. Nello stesso anno diventerà socio dell’Accademia dei Lincei. Su incarico dell’Accademia d’Italia, tornerà in Africa tra il 1936 - 1937 ed in particolare in Etiopia, nel Corno d’Africa, con una missione esplorativa, da lui diretta ed organizzata, al lago Tana. A seguito di questa esplorazione, pubblicherà nel 1939, un volume dal titolo “La Regione del Lago Tana”, una monografia regionale condotta secondo gli schemi tradizionali, ma con intenti chiaramente divulgativi.

Dopo la sua prima esperienza di libero docente in Geologia e Geografia Fisica a Firenze, nel 1913, vinto il concorso per la cattedra di Geografia presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Napoli, passerà per chiamata dall’Università di Pisa, dove manterrà la cattedra fino al 1921. Una nuova cattedra questa volta di Geologia, gli sarà conferita presso la Facoltà di scienze naturali di Napoli che manterrà fino al 1924.
Con la morte del suo maestro Prof. Carlo De Stefani, nel 1924 accetterà a Firenze la cattedra di Geologia e Paleontologia che manterrà fino al 1953, quando al quando al compimento del settantacinquesimo anno di età, si ritirerà dall'insegnamento, stabilendosi a Roma. 
La Società Geografica Italiana, l’anno successivo (1954), in occasione del suo cinquantennio di iscrizione, lo onorò di una medaglia d’oro, mentre il 9 ottobre 1957 la Facoltà di Scienze Naturali dell’Università di Firenze, gli conferirà, all’unanimità, il titolo di Professore emerito. 
Dainelli morì quasi novantenne il 16 dicembre 1968 a Firenze, dove era da poco rientrato da Roma. 

Di lui ci restano oltre 600 pubblicazioni scientifiche di carattere geologico, paleontologico, geografico, ma anche storico e divulgativo, scritte in un arco di tempo compreso tra il 1901 fino al 1967. Di ambito tipicamente accessibile a tutti, si deve ricordare il suo libro sul Monte Bianco del 1928, che illustra gli aspetti fisici della montagna e la vita dei popoli delle valli sottostanti. Merita menzione una monografia apparsa su “L’illustrazione Italiana” dedicata al “Mondo Alpino” ed i suoi due volumi sulle Alpi del 1963. In occasione del 39° congresso del Club Alpino Italiano, nel 1908, fu stampato un libro sulla Toscana con il titolo “Monti e Poggi Toscani”. Si tratta di una serie di articoli redatti da vari studiosi tra cui Dainelli e da alpinisti fiorentini. 
Nel 1941 uscì per la collana Grandi Italiani, della UTET, "Marco Polo”, oltre duecento pagine che Dainelli scrisse in una settimana senza consultare nessun libro! 
Nel 1950 sempre la UTET pubblicò “ La conquista della Terra”, una storia delle scoperte e delle esplorazioni geografiche. Si tratta della prima pubblicazione di questo genere da parte di un autore italiano. 
A suo nome risultano una trentina di specie fossili e quattro viventi, gli fu inoltre intitolata una cima dei monti Kazbek nel Caucaso georgiano. 

E’ sepolto nel piccolo cimitero di San Martino a Terenzano ad est di Settignano, vicino alla cappella della famiglia della madre che a Terenzano avevano una grande tenuta agricola. Sulla lastra tombale, oggi in totale stato di abbandono, si legge ancora: Giotto Dainelli, Geologo, Geografo, Esploratore. “Amo soprattutto la Scienza e l’Italia”

Nota finale: non entro nella questione politica: Dainelli è stato l'ultimo podestà di Firenze e aderì alla RSI. Su queste scelte, che sono avvenute in un contesto particolare e in cui la politica c'entrava poco, c'è un dibattito piuttosto complesso che esula dagli scopi di questo post (AP).

giovedì 7 novembre 2013

Breve risposta a chi ha contestato (anche non molto educatamente) il mio post sui trasporti di qualche giorno fa


Il post sulla questione dei trasporti pubblici ha avuto uno strascico molto polemico e soprattutto maleducato e volgare. Chi volesse può andare a leggere i commenti
Ho ammesso l'errore in cui sono caduto, ingenerato semplicemente dal fatto che quanto scritto in quella pagina taroccata de “Il Sole – 24 ore” era assolutamente compatibile con i dati in mio possesso e da me considerati reali. Altre volte mi sono sbagliato (mica sono infallibile...) e ho provveduto a scusarmi con gli interessati senza neanche che me lo avessero chiesto...

I dati esistono, li ho (“in generale” non parlo a vanvera). Anzi, alcuni sono anche peggiori di quanto da me scritto. Sto anche esaminando quando ho tempo e cioè pochi minuti al giorno la pubblicazione segnalatami dai personaggi di cui sopra. In alcune parti mi lascia perplesso ma voglio evitare polemiche né mi va di fare l'azzeccagarbugli confrontandomi con persone poco corrette.

A questo punto:

1. in genere se qualcuno ha qualcosa da dire porta dei dati e non redarguisce in maniera maleducata chi ha dati o idee diversi dai suoi

2. a me dei problemi fra quelli dell'area C e Pisapia mi interessa “il giusto” e non intendo essere coinvolto in questioni del genere. Ammetto di aver goduto della sconfitta di Letizia Moratti, ma soprattutto per i suoi atteggiamenti antievoluzionistici sia da ministro della pubblica disinformazione che da sindaco di Milano, città che merita un sindaco migliore di uno che toglie i finanziamenti al Darwin – Day e invita Harun Yahya e i suoi accoliti (senza entrare nel merito della qualità degli altri sindaci meneghini degli ultimi anni, non vivendo da quelle parti e occupandomi di tutt'altro che la politica, ogni giudizio non su questioni scientifiche sarebbe – come dire – non pertinente a queste pagine)

3. non vedo la necessità di scrivere con una acredine come quella che è stata usata, a meno di non sentirsi punti su un nervo scoperto o di non sapere rispondere

4. non mi sembra che ci sia la voglia di fare un confronto costruttivo, vi basta gridare le vostre convinzioni

5. ho cose più importanti e in scadenza da fare e, limitatamente a Scienzeedintorni, ho diverse altre cose più urgenti di cui parlare che riprendere un post di un argomento un pò accessorio

Pertanto:

Anche se ho già impostato un post (mi si scusi il bisticcio di termini) di risposta, non mi sembra che questo tipo di atteggiamento meriti una risposta “a brevissimo”.

Faccio solo notare di aver scritto testualmente in altre occasioni di essere contrario ai divieti e, specificamente ne post incriminato che ci saranno sempre (e vanno considerati!) millemila validi motivi per cui qualcuno non può utilizzare il mezzo pubblico e deve per forza usare il mezzo privato.
Non vedo quindi come io possa essere considerato un talebano. Anche io uso quando mi è necessario, l'automobile anche se per fortuna (dal mio punto di vista) riesco a farne a meno molto spesso.

Comunque, per chi fosse interessato, non potendo ovviamente per questioni legali diffondere pubblicazioni coperte da copyright né avendo un sito idoneo per farlo, mi limito in fondo a questa breve nota a mettere un elenco di link, quindi pagine liberamente consultabili, a cui poter attingere.
Anche se sicuramente Lor Signori diranno che sono sballati, nonostante la varietà e in qualche caso l'autorevolezza, delle fonti (non solo associazioni ambientaliste, con le quali - figuratevi - sono spesso in polemica).

Avviso finale: d'ora in poi eventuali commenti sguaiati o non conformi alle basilari regole di educazione saranno rimossi appena possibile: su Scienzeedintorni si discute esclusivamente in maniera civile e figuriamoci se faccio una eccezione per questioni squisitamente politiche di una città da me lontana 300 km e che ora frequento molto raramente.

Ecco l'elenco di risorse, incluse le ultime appena segnalate da Luca Faso nei commetti all'altro post e che ringrazio per la gentilezza: