domenica 11 dicembre 2011

Il Corpo delle Miniere e l'industria mineraria italiana negli ultimi 200 anni

Ringrazio il prof. Giuseppe Tanelli, del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze che mi ha fornito il testo della sua comunicazione durante il convegno di Firenze dal titolo "Dal Regio Corpo delle Miniere alle georisorse del futuro”. Da essa ho tratto spunto per una storia dell'attività mineraria degli ultimi 200 anni in Italia.

Nella seconda metà del Settecento, grazie alla rivoluzione industriale, carbone fossile e minerale di ferro diventano materie prime strategiche. C'è interesse anche in alcuni stati dell'Italia pre – unitaria intorno ai nuovi modelli produttivi a carattere industriale e questo porterà allo sviluppo delle Scienze della Terra: Granducato di Toscana, Regni di Sardegna e delle Due Sicilie, Lombardo-Veneto organizzano campagne di prospezione mineraria e, in un quadro di marcata mobilità nazionale ed europea, scienziati e tecnici italiani, visitano i più importanti distretti minerari e frequentano le grandi scuole geologiche e mineralogiche dell’Europa. Fu anche grazie a questi scambi che emersero alcuni grandi naturalisti e geologi, quali Ermenegildo Pini, Giovanni Arduino, Matteo Tondi, Antonio Lippi, Leopoldo Pilla, Ottaviano Targioni Tozzetti, Giuseppe Gjuli, Igino Cocchi e Alberto La Marmora. Nomi che oggi dicono poco perchè purtroppo la storia delle scienze non è una materia insegnata ma lo dovrebbe essere, 

Nel 1779 la scoperta dell'acido borico ne i soffioni del “Lago Cerchiaio”, nei pressi di Monterotondo (Colline Metallifere Toscane), dovuta al grande naturalista Paolo Mascagni, fu il preludio a una delle prime produzioni industriali, antecedenti l'Unità d'Italia: ad una prima fase pionieristica iniziata nel 1818 da una società livornese alla quale partecipava lo stesso Mascagni, seguì dal 1827 una vera produzione industriale del “sale sedativo” nel 1827, grazie ad un francese naturalizzato livornese, Francesco Larderel (da cui il nome della località principale dove troviamo i soffioni).

Il 18 ottobre del 1822 con le Regie Patenti di Carlo Filippo, vengono isituiti il Regio Corpo delle Miniere Sarde, con compiti tecnici ed amministrativi, ed il Consiglio Superiore delle Miniere, con funzioni di indirizzo e controllo. Con l’Unità d’ Italia le competenze del Corpo e del Consiglio delle miniere, sono estese a tutto il territorio nazionale. Nel 1861 ai compiti minerari si aggiunsero quelli relativi alla Carta geologica; questo nojn fu un parto indolore ma l'esito finale di una lotta fra chi, come Filippo Cordova, Ministro dell’Agricoltura del primo Governo Ricasoli, voleva che la cartografia geologica venisse affidata a geologi naturalisti e Quintino Sella che impose alla fine l'attribuzione di questo compito ai geologi provenienti dall'ingegneria.

Nel 1881 esce ad opera del Regio Corpo delle Miniere una pubblicazione fondamentale nella storia mineraria italiana, "Notizie Statistiche sulla Industria Mineraria in Italia dal 1860 al 1880”. Le informazioni riportate nel volume forniscono un significativo spaccato della situazione industriale e socio – economica del nostro paese: l’Italia unificata è un paese povero ed arretrato, carente di materie prime minerali, in particolare di combustibili fossili di qualità. La situazione per il ferro era sensibilmente migliore, grazie in particolare ai depositi di ossidi dell’Elba e a quelli di siderite del Bergamasco.

In questa pubblicazione si legge che l’acido borico a Larderello era ottenuto "facendo sboccare i soffioni (naturali o ottenuti mediante perforazioni del terreno) nell’acqua di bacini detti lagoni ed evaporando poi questa con il calorico del vapore dei soffioni".
L'era della Geotermia iniziò proprio nella località toscana nel 1904, quando il calore mise in moto un apparecchio che fornì energia per l'accensione di cinque lampadine.

Sempre secondo le "notizie statistiche" negli ultimi anni Settanta dell’Ottocento, la produzione mineraria annuale può essere stimata attorno ad un valore di 100 milioni di lire (attorno allo 0,8% del Pil); circa il 60 % era dovuto allo zolfo della Sicilia (35 milioni); i minerali di piombo e zinco della Sardegna e della Toscana concorrevano per 12 milioni, i marmi apuani per10 milioni e l'acido borico ricavato dai soffioni di Larderello per 2 milioni.
A questi si univano pochi combustibili fossili: torbe dell’Arco alpino, ligniti della Maremma e giacimenti di carbone del Sulcis per un valore di circa 3 milioni di lire (contro i 40 milioni di importazione di litantrace). 

La mancanza di risorse energetiche era già allora il problema principale dell'Italia: in Belgio, Inghilterra e Stati Uniti la rivoluzione industriale si era basata sulla presenza di carbone. E che l'Italia non era ancora una realtà industriale lo dimostra il fatto che a fronte di una produzione di minerali di ferro per circa 2,5 milioni di lire da Elba e Bergamasco le importazioni di ghisa, acciaio, prodotti semilavorati o lavorati e macchinari raggiungevano un valore di circa 70 milioni di lire.

La carenza di combustibili fossili e la mancanza di idonei impianti metallurgici faceva sì che anche la produzione di minerali di base, come rame, piombo, zinco, stagno e antimonio fosse per almeno due terzi destinata all’esportazione in nazioni da cui poi tornavano prodotti semilavorati e lavorati. Queste attività minierarie erano presenti su tutto l'arco alpino, la Sardegna e nelle zone  geologicamente più antiche dell'Italia centrale (soprattutto in Toscana). Alcune di queste coltivazioni sono state attive ben oltre  la fine della II Guerra mondiale. Fra le poche eccezioni di rilievo c'era la produzione di mercurio, estratto per distillazione dal cinabro delle miniere delle Alpi Apuane e del Monte Amiata (la prima miniera amiatina, aperta nel 1846, fu quella del Siele).

Lo zolfo quindi rappresenta nei primi decenni dell’Unità d’Italia la più remunerativa produzione mineraria: grande parte era prodotto nelle solfare siciliane ed inviato all’estero per la produzione di acido solforico e per la solforazione delle viti. Lo stesso volume del Regio corpo delle Miniere  contiene al riguardo una precisa denuncia di sfruttamento del lavoro minorile: vi è chiaramente evidenziato come "nei cunicoli e nelle gallerie delle miniere lavorino attorno a 3500 adolescenti in tenera età, detti carusi, impiegati al faticoso lavoro del trasporto a spalla del minerale solfifero, anche da grande profondità”.
Quando nel 1907 Luigi Pirandello pubblica “Ciàula scopre la luna”, lo zolfo siciliano domina ancora il mercato mondiale, ma dopo pochi anni entra in crisi schiacciato dalle primitive e disumane tecniche di coltivazione, dalla concorrenza dello zolfo americano, estratto con moderne tecniche di solubilizzazione in sito e dalla scoperta dei grandi giacimenti di pirite della Maremma nei primi anni del Novecento

Con il XX secolo inizia anche l’estrazione della bauxite nei giacimenti abruzzesi e pugliesi, quale materia prima dell’alluminio, il metallo “innovativo e tecnologico” dell’Ottocento e, come accennato, l’estrazione della pirite dai grandi giacimenti della Maremma, che caratterizzerà in modo marcato la storia mineraria di tutto il secolo. La pirite usata fino agli anni Sessanta limitatamente alla produzione di acido solforico, con l’entrata in funzione dello stabilimento di Scarlino, viene ad essere anche una risorsa di minerale di ferro secondario e di energia. 

All’inizio del Novecento si realizza la più importante svolta industriale del nostro Paese nel settore minerario con la messa in funzione degli altiforni di Portoferraio (distrutti dai bombardamenti della seconda guerra), Piombino e Bagnoli, alimentati principalmente dal minerale elbano
Le esigenze di materie prime ferrifere legate agli eventi della Prima Guerra Mondiale portarono inoltre all'utilizzazione delle grandi masse di scorie della metallurgia etrusco-romana del minerale elbano che si trovavano nella piana di Baratti a Populonia. La loro rimozione ebbe eccellenti risvolti archeologici, perchè sotto alle scorie fu scoperta della vasta necropoli arcaica di S.Cerbone.

Nel corso del Novecento fino alla seconda Guerra Mondiale si ha una marcata espansione del settore minerario e metallurgico, in particolare durante il periodo autarchico degli anni Trenta. Si intensificano le coltivazioni delle ligniti dell’Italia centrale e del carbone del Sulcis, la migliora qualità del carbone nazionale, per il cui sfruttamento viene fondata la città di Carbonia.

Nel secondo dopoguerra le attività minerarie, in particolare in Toscana e Sardegna, concorsero marcatamente alla ricostruzione del tessuto industriale del paese. Però con la crescita socio-economica, si determina in Italia e in Europa quel processo, tipico di tutte le società industrialmente avanzate, per cui cessano le attività primarie come quella estrattiva, e si sviluppano le attività secondarie e terziarie.

Così dagli anni Settanta del Novecento, si assistette ad una lenta dismissione dei grandi distretti minerari italiani ed è del dicembre del 1993 l’ultima seduta del Consiglio Superiore delle Miniere: a cavallo fra il XX ed il XXI secolo, con il trasferimento alle Regione di tutte le competenze minerarie - a meno dei materiali energetici - vengono chiusi i Distretti minerari e finisce la storia del Corpo delle Miniere. 

E oggi? Dopo la chiusura, un paio di anni fa, della miniera aurifera di Serrenti-Furtei (nel Campidano) è rimasta solo quella di bauxite a Olmeda (Sassari) a ricordare il cammino plurimillenario delle attività minerarie metallifere in Italia.
Per quanto riguarda l'estrazione di minerali non metalliferi abbiamo ancora fra Toscana, Calabria e Trentino ottime coltivazioni di materiali feldspatici, dei quali siamo ancora i più grandi produttori mondiali e di marmi  (specialmente ma non solo sulle Alpi Apuane). Poi, al salgemma di Saline di Volterra si affiancano circa 5.000 cave di materiali litoidi, marne da cemento, pietrisco, sabbie e ghiaie, tutti materiali usati più o meno nei dintorni, troppo spesso al centro di marcate conflittualità, socio-economiche ed ambientali

Nel settore energetico, chiuse le ultime miniere di lignite di S.Giovanni Valdarno e Pietrafitta, restano i centri estrattivi di vapore endogeno della Toscana, che concorrono a soddisfare circa il 2% del fabbisogno elettrico del paese e quelli di petrolio e gas sparsi dalla Pianura Padana, alla Basilicata, all’Adriatico fino al Mar Ionio, che rispondono a circa il 10% della domanda energetica primaria

Prospettive? Poche, a parte il settore energetico se ci sarà lo sperato sviluppo della geotermia a bassa entalpia per usi di riscaldamento domestico: alto costo del lavoro e bassi quantitativi di minerale estraibili non consentono alle nostre vecchie miniere una competitività internazionale, anche se ogni tanto sui giornali li legge di qualche società che fra Toscana e Sardegna opera dei sondaggi per l'estrazione di oro.

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