giovedì 31 marzo 2011

Aggioramento della situazione a Fukushima - di Eugenio Tabet

Con l'associazione Caffèscienza di Firenze, di cui sono socio, stiamo cercando di fare una pagina con degli aggiornamenti sulla situazioe di Fukushima, consci del fatto che sui giornali generalisti italiani le notizie non essendo "filtrate" da esperti non sono spesso molto chiare. Fra chi collabora con noi  c'èl il Dr. Eugenio Tabet, un fisico che ha lavorato fra l'altro all'Istituto Superiore di Sanità ed è un eccellente esperto in materia.
Pubblico volentieri il suo primo contributo, seguito alla interessantissima serata del caffèscienza straordinario in materia di venerdì 25 marzo, data a cui si riferisce la situazione in figura. Lo ringrazio a nome anche di tutti i lettori di scienzeedintorni.
Questa è atomic-caffè, la pagina di Caffèscienza Firenze sulla quale contiamo di inserire aggiornamenti e notizie varie




La situazione dell‘impianto, descritta nella tabella che riporta lo stato dei 4 reattori al 25 marzo visibile in figura, presenta oggi alcuni cambiamenti:

Nel reattore n. 1 vi è un aumento della pressione e della temperatura nel recipiente in pressione.
Nei reattori 1, 2 e 3 si è trovata acqua contaminata, in diversa misura, nelle vicinanze dell’edificio turbina. Valori decisamente alti sono stati trovati per il reattore 2, mentre per il 3 la misura non è stata effettuata. I valori trovati indicano che l’acqua è stata in contatto con combustibile seriamente danneggiato, probabilmente fuso, e che è arrivata all’edificio turbina in modo ancora sconosciuto.

Il meccanismo di contaminazione è quello noto: l’acqua nel contenimento primario entra in contatto con materiale fuso dal quale assorbe materiale radioattivo (non è nota la miscela di radionuclidi presente) e, se trova una via di fuga, in altri termini se si è in presenza di una perdita, trasporta altrove la contaminazione (i livelli trovati sono davvero alti, corrispondenti, misurati al pelo dell’acqua, ad un’esposizione pari a 1 Sievert/h (qualche Sievert corrisponde ad una dose letale-). Tutto ciò non depone certamente a favore del buono stato del nocciolo e del contenimento primario.

Le misure radiometriche appaiano, come in precedenza, erratiche, scarse e difficilmente correlabili con la distanza. I valori più alti sono dell’ordine dei 20 kBq/m2 (1 kBq è eguale a 1000 Bq) per lo Iodio-131 (per ciò che riguarda la contaminazione al suolo) e di meno di 1kBq/m2 per il Cesio-137.
Si tratta di valori non elevatissimi, paragonabili a misure in Italia dopo Chernobyl. Per le tracce di Plutonio si cerca conferma che si tratti di rilasci dall’impianto e non di residui del fall-out. Ora, malgrado la circostanza che i fattori di dose per il Plutonio sono di circa 4 ordini di grandezza più grandi (per l’inalazione) di quelli per lo Iodio o il Cesio, fortunatamente la quantità relativamente ridotta del Plutonio nel nocciolo e la sua minore volatilità dovrebbero “compensarne” la maggiore radiotossicità (in circostanze “normali”). Verosimilmente Iodio, Cesio ed altri prodotti di fissione restano, in altri termini, la maggiore sorgente di rischio per la popolazione.

Tutti gli organismi internazionali confermano la gravità della situazione, l’evoluzione della quale, a quasi venti giorni dall’inizio dell’incidente, rimane veramente incerta. Lo scenario peggiore, che purtroppo non può essere escluso, può prevedere, in uno o più reattori, un’estesa perdita dell’integrità del contenimento primario (che in qualche caso è verosimile che sia già avvenuta, in misura sconosciuta) con conseguente inevitabile rilascio all’ambiente di colossali quantità di materiale radioattivo.

Se ciò dovesse avvenire, le conseguenze, in un Paese popolato come il Giappone, con una densità di popolazione pari a oltre 7 volte quella della Bielorussia e 4 volte quelle dell’Ukraina (sede di Chernobyl) si collocherebbero su di una scala senza precedenti.

martedì 29 marzo 2011

Il Golfo di Cadice ed il limite Eurasia - Africa tra le Azzorre e Gibilterra

Il Golfo di Cadice e tutta la costa atlantica iberica e del Marocco sono più o meno regolarmente affetti da terremoti di notevole intensità a cui si accompagnano tsunami distruttivi. È anche possibile, come ho scritto parecchio tempo fa, che anche nel mito di Atlantide ci sia un ricordo di un avvenimento del genere. Il più antico evento sicuramente attestato è del III secolo AC e ha la sua massima espressione con il disastrose sisma di Lisbona del 1755

Il problema fondamentale è quindi capire la geologia della zona a W di Gibilterra, investigando quindi sugli ancora non chiari motivi di questi terremoti. E non è semplicissimo: una caratteristica normale della maggior parte dei limiti fra le varie zolle litosferiche è la loro chiarezza. Sfugge a questa regola soprattutto il limite fra la placca euroasiatica e quella africana, nel quale sono comprese alcune microplacche come quella adriatica e quella iberica, tra la giunzione tripla delle Azzorre e l'Iran.
Voglio occuparmi specificamente del limite di placca fra la giunzione tripla delle Azzorre e Gibilterra perchè finalmente si dovrebbe essere riusciti a modellizzare ed interpretare esattamente questa struttura, sulla quale ci sono idee un po' contrastanti: c'è chi come Medialdea pensa ad un “margine diffuso”, in cui il movimento fra le due zolle principali viene suddiviso negli spostamenti relativi di una serie di blocchi rigidi. Per altri autori come Gutscher si tratta di una zona di subduzione attiva. Altri, come il gruppo internazionale di cui fanno parte alcuni geologi bolognesi, tra cui il bolognese Nevio Zitellini, vedono una situazione un po' mista, con zone a differente regime tettonico.

Per parlare di questo margine (di cui vediamo una carta della sismicità ricavata con l'Iris Earthquake Browser per individuarlo meglio) occorre innanzitutto una descrizione geografico – geologica, partendo da ovest, dalla giunzione tripla delle Azzorre, fra le placche Eurasiatica, Africana e della America Settentrionale.

L'arcipelago delle Azzorre, che si trova a 1500 km circa dalla costa portoghese, è formato da una serie di vulcani traccia di un punto caldo posto sulla giunzione tripla in cui alla dorsale medioatlantica si collega la Terceira ridge, che marca il contatto fra la zolla euroasiatica e quella africana. Interessante è che nella Terceira Ridge al movimento trascorrente si aggiunge una componente distensiva, per cui le Azzorre sono una giunzione tripla di 3 margini divergenti fra loro e in questa zona Eurasia ed Africa si stanno quindi allontanando, anche se di poco mentre fra di lor si forma tra loro nuova crosta oceanica (Ravi Darwin Sankar, 2009: dynamics of mantle flow around the azores triple junction - tesi di laurea della Florida State University)

Proseguendo verso est il movimento diventa poi una pura trascorrenza lungo la zona di frattura “Gloria”, dopodichè le cose si complicano e si entra in quell'area in cui la situazione non è molto chiara.

Il fondo marino nei primi 1000 km circa a largo di Gibilterra è formato da una serie di rilievi e di valli. I rialzi principali, evidenziati nella carta, sono il Gorringa Ridge, l'Horseshoe Ridge (più a ovest rispetto alla cartina qui a fianco) e il Coral Patch, divisi fra loro da alcuni bacini, come l'horseshoe abilslal plane e il Seine Abissal plane. Il Gorringa Ridge è costituito essenzialmente da serpentiniti, cioè da crosta oceanica, come buona parte del fondo oceanico della zona.

Ancora più a est, tra il Coral Patch e la costa, ci sono tutta una serie di strutture compressive di varia età, per lo più terziarie, compreso un gigantesco prisma accrezionale molto recente evidenziato bene in figura ma ora completamente “morto” dal punto di vista sismico e quindi inattivo.  Il prisma  dimostra due cose:
-in quest'area il margine di zolla è stato chiaramente compressivo almeno fino al miocene,
- qualcosa è cambiato in tempi molto recenti, quando si è formato questo “margine diffuso”

La situazione attuale è eredità di una serie di vicissitudini geologiche ancora non del tutto chiarite che hanno caratterizzato la storia del margine dal rifting triassico in poi, complicata per giunta dalla presenza di un altro punto caldo, quello attualmente sotto Madeira che nel suo movimento relativo ha lasciato prodotti un po' dappertutto tra Cadice e Madeira, sotto forma di coni vulcanici adesso più o meno erosi che si elevano dal fondo pur non raggiungendo più la superficie del mare.

Una ulteriore complicazione è che molte faglie formatesi in un certo regime tettonico sono poi state preferenzialmente riutilizzate dai regimi successivi, in quanto le superfici di discontinuità già esistenti vengono preferenzialmente recuperate dalle nuove fasi tettoniche e pertanto nell'interpretazione dei profili sismici possono sorgere dei grossi dubbi sull'età e il significato di tali strutture.

Veniamo ora ai lavori più recenti sull'argomento, in particolare a uno il cui primo firmatario è Nevio Zitellini dell'università di Bologna che sta per uscire su Earth and Planetary Sciences and Letters: “The quest for the Africa–Eurasia plate boundary west of the Strait of Gibraltar”. Zitellini e il suo gruppo confermano l'ipotesi del margine diffuso e hanno notato tra la terminazione della zona di frattura Gloria e il continente, delle faglie verticali orientate WNW – ESE che formano una fascia larga circa una quarantina di kilometri lungo la quale avvengono attualmente le deformazioni. Queste faglie, denominate SWIM, tagliano indistinatamente tutte le strutture preesistenti. Hanno iniziato la loro attività non prima di 2 milioni di anni fa, quando evidentemente c'è stato il riorientamento del campo di sforzi regionale  che ha decretato la morte del prisma di accrezione e quindi a causa della loro giovinezza sono difficilmente evidenti a prima vista. A complicare ulteriormente le cose c'è l'elevato tasso di sedimentazione che contraddistingue l'area, per cui tendono ad essere mascherate dai sedimenti terrigeni.
Le SWIM non sono le sole faglie attive in questo momento: terremoti come quello di Lisbona dimostrano che nella Horseshoe Plain, omonima del ridge posto più a ovest, ci sono anche delle strutture compressive a basso angolo, dei thrust sostanzialmente in connessione con le SWIM, contro le quali finiscono (in effetti pare difficile che terremoti come quello del 1755 non siano dovuti a meccanismi di thrust come il recente terremoto di Sendai).
La figura che segue, sempre dall'ultimo lavoro di Zitellini riassume quindi i regimi tettonici fra la Gloria Fracture zone e Gibilterra. 


mercoledì 23 marzo 2011

Brevi riflessioni su De Mattei ed il terremoto


Vorrei commentare alcuni aspetti della questione De Mattei. Ma prima una questione di merito: ricevo un messaggio da un blog intitolato “dimissionidemattei.worldpress.com”
Essendo dal mio punto di vista una ottima iniziativa, che condivido, vado su questo sito e cosa vedo? Il mio post di ieri in versione integrale, compreso l'edit finale aggiunto stamattina, senza citare l'autore. No, cari amici, non si fa così.

Pertanto ho scritto a questo blog la seguente nota:
scusate, indipendentemente dal fatto che anche io caccerei volentieri de mattei da dove sta,a mi sembra che sia scorretto riportare integralmente il mio post in cui ho con fatica sbobinato 10 minuti di de Mattei – pensiero, comprese le precisazioni successive, senza citare la fonte.
Vi prego quindi di aggiungere la fonte. Grazie.

EDIT: tutto risolto. E naturalmente ho molto piacere che tale blog ospiti le mie idee

E veniamo a De Mattei.
Onestamente l'idea di Dio che lui porta avanti mi sembra molto medievale ma non sono un teologo e quindi mi chiamo fuori da questo ragionamento, su cui comunque farò alcuni appunti.
Rimarco ancora il passaggio sul “vescovo di Rossano”: è vero che non ha detto l'”attuale” vescovo di Rossano, ma solitamente mi pare che in italiano “attuale” sia sottinteso parlando di un incarico, specialmente se non è una persona conosciuta ai più.
È chiaro quindi che questa sia cattiva fede (a meno che in parti non a me note del discorso abbia detto che Mazzella era il vescovo di Rossano nel 1908). A questo modo gli ascoltatori di Radio Maria hanno pensato che pensasse così l'attuale vescovo di Rossano, cosa invece non vera. E che ci sia un certo imbarazzo lo dimostra il comunicato della Diocesi di Rossano.

A casa mia questo si chiama dire le cose in cattiva fede, sapendo che chi ti ascolta (l'ascoltatore “medio” di RadioMaria) crede pedissequamente a tutto quello che l'emittente propina: in generale gli ascoltatori di radio Maria sono persone molto credenti ma anche molto inquadrate dal punto di vista religioso e non preparate scintificamente.
Inoltre non è chiaro dove finisce il Mazzella – pensiero e ricomincia il De Mattei – pensiero.

Trovo fuorviante il poter pensare che i giapponesi si meritassero un castigo del genere (il paragone con Sodoma e Gomorra è evidente). Quanto al resto delle elucubrazioni su provvidenza, anime più o meno pie etc etc, non saprei proprio cosa dire, se non che le trovo abbastanza orribili. Ma sono “gusti” personali e – ripeto - in teologia non sono preparato e quindi non posso esprimersi sulla loro fondatezza. 

Tralasciando quindi la parte teologica, veniamo ad una frase che investe la scienza, di cui il Nostro è purtroppo una delle persone che la amministrano:
Nessuno può dire con certezza se il terremoto di Messina ieri o quello del Giappone oggi sia stato un castigo di Dio. 

Come fa argutamente notare un intelligente forumista di www.geologi.itcome geologi, siamo sicuramente in grado di affermare un principio: esistono nel mondo delle località soggette a forti sismi, ne esistono altre meno sismiche e ne esistono altre praticamente esenti da sismi.
La teoria del castigo divino non regge tanto, perchè i giapponesi già sapevano di trovarsi in un territorio sismico, e chi voleva poteva andarsene in zone meno sismiche, ad esempio l'Australia. Se è un castigo si tratta di una maledizione dovuta alla nascita in quello specifico luogo”.

Il succo è che i terremoti non arrivano “a caso”. Riferendosi in particolare al giappone, è noto che i terremoti di thrust si verificano soltanto nelle zone di subduzione, precisamente tra la fossa tettonica e l'arco magmatico (probabilmente compreso il terremoto di Creta del 365DC) e che – insomma - non è che questi fenomeni arrivano totalmente inaspettati. Poteva essere il caso dei terremoti di Nueva Madrid, nel Missouri per i quali ancora non c'è una spiegazione logica sicura (che comunque... esiste anche se non la sappiamo ancora).
Detto in soldoni: vuoi stare in una zona sismica? Sono affari tuoi.
Il discorso è che i disastri naturali di ogni ordine e grado arrivano nei luoghi dove dovrebbero arrivare (oltre a terremoti anche alluvioni, uragani, frane e quant'altro).

Quindi le contestazioni a De Mattei, che secondo me non può continuare ad essere vicepresidente del CNR, non riguardano il suo essere cattolico, sia pure un "bieco conservatore oscurantista".
Io a De Mattei contesto l'antidarwinismo che antepone la Bibbia alla Scienza, contesto queste affermazioni teologiche a livello geologico: è per questo che per me una persona del genere non può stare nella stanza dei bottoni del CNR.

In calce segnalo il comunicato, segnalatomi domenica, del presidente del CNR Luciano Maiani:

Nota di precisazione del Presidente del CNR Prof. Luciano Maiani in merito all’intervento radiofonico del Prof. Roberto de Mattei, Vice Presidente del CNR, sull’emittente radiofonica privata  Radio Maria - Una voce cristiana nella tua casa
Il 21 marzo scorso il prof. Roberto de Mattei ha reso un intervento all’emittente radiofonica privata Radio Maria - Una voce cristiana nella tua casa.
L’intervento a carattere teologico ha riguardato tra l’altro il tragico sisma che si è abbattuto sul Giappone l’11 marzo scorso.
Ferma restando la libertà di espressione quale bene garantito dalla nostra Costituzione, si precisa che i contenuti dell’intervento del prof. de Mattei non coinvolgono in alcun modo il CNR, che l’intervento non è stato reso nella sua veste di vicepresidente dell’Ente e che il contesto in cui esso è stato reso è estraneo alle attività e alle finalità del CNR.

Così parlò De Mattei: "Nessuno può dire con certezza se il terremoto di Messina ieri o quello del Giappone oggi sia stato un castigo di Dio"

Questa nel titolo è una delle frasi più significative dell'allucinante intervento del Vicepresidente del CNR a Radio Maria, dove conduce la trasmissione "Radici cristiane" (che prende il nome della sua rivista). Praticamente ha paragonato il Giappone e Messina a Sodoma e Gomorra...
Sarebbero riflessioni di per sè un pò forti già per un religioso, ma che si esprima in questi termini il vicepresidente del CNR è a mio avviso semplicemente scandaloso (e non mi pare di essere una voce isolata).  Ho reperito in rete un filmato in cui c'è parte dell'intervista. Non avendola - ovviamente - ascoltata in diretta non so se a Radio Maria presentando De Mattei abbiano detto che lui è il vice-presidente del CNR. Dubito che non lo abbiano fatto. 
Per chi non volesse perdere oltre 9 minuti di tempo o volesse capire bene quanto detto, oltre a linkare il video, ne ho effettuato la sbobinatura, che resterà qui a documentare il tutto (almeno fino a quando in Italia ci sarà libertà di opinione e rimarrà online scienzeedintorni)
Preciso che ho l'impressione che l'intervento non sia stato del tutto riportato quindi mancano alcuni pezzi. Anche la fine lascia molti dubbi se sia davvero la fine o no.
Se qualcuno si iscrive a Radiomaria e mi farà avere l'intervento completo ne sarei contento. Consiglio comunque di farlo prima possibile perchè non vorrei che venisse rimosso sulla scia della giusta ondata di polemiche.

Vorrei anche commentare alcune parti del discorso, ma è meglio che per adesso lo eviti.

Comunque: questo è il video


E questo è il testo sbobinato.


Cari amici di Radio Maria, buonasera.

Vi parla Roberto De Mattei e vorrei fare questa sera con voi alcune riflessioni che partono da fatti drammatici di attualità. Il primo fatto è la tragedia del Giappone, lo spaventoso terremoto e maremoto con il rischio nucleare che si profila.

Dice monsignor Mazzella che in primo luogo le grandi catastrofi sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio che ci scuote e ci richiama con il pensiero ai nostri grandi destini, al fine ultimo della nostra vita che è immortale.
Infatti se la Terra non avesse pericoli, dolori, catastrofi la Terra eserciterebbe sopra di noi un fascino irresistibile, non ci accorgeremmo che è un luogo di esilio e dimenticheremmo troppo facilmente che noi siamo cittadini del cielo.

Ma in secondo luogo, osserva l'arcivescovo di Rossano Calabro, le catastrofi sono talora esigenza della giustizia di Dio, della quale sono giusti castighi. Infatti alla colpa del peccato originale che tocca tutta l'umanità si aggiungono nella nostra vita le nostre colpe personali.

Nessuno di noi è immune dal peccato e può dirsi innocente. E le nostre colpe possono essere personali o collettive, possono essere le colpe di un singolo o quelle di un popolo ma mentre Dio premia e castiga i singoli nell'eternità è sulla Terra che premia o castiga le Nazioni, perchè le Nazioni non hanno vita eterna, hanno un orizzonte terreno. Nessuno può dire con certezza se il terremoto di Messina ieri o quello del Giappone oggi sia stato un castigo di Dio. 

Sicuramente è stata una catastrofe e scrive Monsignor Mazzella “la catastrofe è un fenomeno naturale che Dio ha potuto introdurre nel suo piano di creazione per molteplici fini degni della sua sapienza e bontà".
Ha potuto farlo per raggiungere un fine della stessa natura, ottenendo per mezzo della catastrofe un bene fisico pià generale come quando con una tempesta di venti che produce danni si purifica l'aria. Ha potuto farlo per un fine di ordine morale come per esempio acuire il genio dell'uomo, eccitarlo a studiare la la natura per difendersi dalla sua potenza distruggitrice e così determinare il progresso della scienza. Ha potuto farlo per uno dei fini per i quali la fede ci dice che talora l'ha fatto, come sarebbe quello di infliggere ad una città un esemplare castigo. Ha potuto farlo per un fine a noi ignoto. 

Per quale fine in concreto Dio ha operato in un caso speciale? Per quale fine Messina e Reggio sono state distrutte? Chi potrebbe dirlo? È possibile fare delle congetture, non è possibile affermare alcuna cosa con certezza. Intanto per noi, al nostro scopo basta la sicurezza che le catastrofi possono essere, e talora sono, esigenza della giustizia di Dio. E aggiungiamo questo concetto che Dio talora si serve delle grandi catastrofi per raggiungere un fine alto della sua giustizia si trova in tutte le pagine della Sacra Scrittura: che cosa furono il diluvio, il fuoco che cadde su Sodoma e Gomorra e quello che non si abbattè su Ninive se non castighi di Dio? Però si dice la catastrofe è cieca, punisce il colpevole ma colpisce anche l'innocente. Come si conciliano con la provvidenza queste stragi dell'innocenza e della virtù che avvengono ad esempio nel terremoto. 

La risposta è che Dio non potrebbe fare in modo che un terremoto colpisca il colpevole e rispetti l'innocente se non attraverso la moltiplicazione di miracoli, attraverso una profonda modifica del piano della creazione divina. Ora è chiaro che Dio può salvare e talvolta salva l'innocente operando un miracolo ma Dio non è obbligato a moltiplicare i miracoli o a rinunziare al piano della sua creazione per salvare la vita di un innocente. E poi Dio è padrone della vita e della morte di ognuno, misura i giorni dell'uomo sulla Terra e stabilisce l'ora e il modo della morte di ciascuno. Quindi l'innocente che muore sotto una catastrofe generale che punisce i colpevoli si trova nella stessa condizione nella quale si trovano tutti gli innocenti che sono sorpresi dalla morte. Per loro questa morte non è un castigo di colpa personale ma è l'esecuzione di un decreto di colui che è il padrone della vita e della morte.

Ogni giorno noi vediamo fanciulli innocenti, uomini virtuosi che muoiono di morte naturale o violenta. Perchè meravigliarsi quando poi vediamo molti fanciulli innocenti o uomini virtuosi morire sotto le rovine di un terremoto. La loro morte presa isolatamente non è diversa da quella di tanti uomini innocenti virtuosi che sono vittime di un accidente, muoiono ad esempio schiacciati da una macchina o investiti sotto un treno.

Ma c'è un terzo punto: le grandi catastrofi non sono solo spesso atti di giustizia di Dio ma sono altrettanto spesso una benevola manifestazione della misericordia di Dio. Abbiamo detto infatti che nessuno mettendosi la mano sulla coscienza potrebbe dare a se stesso un certificato di innocenza: nessuno può dire “io sono innocente” e non lo può dire né per il peccato originale che lo macchia né per i propri peccati personali.

Un giorno quando sarà sollevato il velo che copre l'opera della provvidenza e alla luce di Dio vedremo quello che egli avrà operato nei popoli e nelle anime ci accorgeremo che per molte di quelle vittime che oggi compiangiamo il terremoto è stato un battesimo di sofferenza che ha purificato la loro anima da tutte le macchie anche le più lievi e grazie a questa morte tragica la loro anima è volata al cielo prima del tempo perchè Dio ha voluto risparmiarle un triste avvenire. Scrive monsignor Mazzella: noi pensiamo con raccapriccio a quei momenti terribili passati da loro tra la vita e la morte sotto le rovine ma forse appunto in quei momenti discese su quelle anime il torrente di una speciale misericordia di Dio sotto forma di profonda contrizione e rassegnazione. Chi può dire ciò che è passato tra quelle anime e la misericordia di Dio negli ultimi momenti! Chissà con quali slanci Dio misericordioso e buono nelle terribili sofferenze ha toccato i loro cuori per unirli a lui. Chi potrebbe in una parola scandagliare l'abisso di espiazione, di merito e di doni di Dio che in quelle anime fu scavato per occasione del terremoto.

E non si tratta di pie illusioni. Perchè sta scritto che nella tribolazione Dio rimette più facilmente i peccati e versa più abbondantemente i suoi doni e sta scritto che Dio manda la morte prematura agli innocenti per liberarli da un triste avvenire.

(problemi di audio a 8.35)

Per comprendere l'azione della Provvidenza che dà una ragione a tutto ciò che avviene, anche alle tragedie come i terremoti, bisogna però avere una prospettiva soprannaturale, la prospettiva di chi crede nell'esistenza di un Dio creatore e remuneratore della vita eterna. Chi nega Dio, gli atei, i laicisti militanti, ma anche coloro che pur non professando l'ateismo vivono di fatto nell'ateismo pratico, costoro non possono concepire l'idea della Provvidenza.

POSTILLA EDITATA GRAZIE AD UNA SEGNALAZIONE:
Monsignor Mazzella non è il vescovo attuale di Rossano Calabro, ma quello in carica nel 1908 e De Mattei non precisa nulla al riguardo, facendolo sembrare quindi, pur senza affermarlo, che quelli espressi siano pensieri attuali. Come riporta infatti Sibarinet, giornale online locale, in un comunicato la diocesi dfa notare che attualmente l’Arcivescovo di Rossano-Cariati è S.E. Mons. Santo Marcianò. Pertanto le dichiarazioni contenute in quegli articoli non sono in alcun modo attribuibili a Mons. Marcianò. Il che mi sembrerebbe una bella smentita e la dimostrazione dell'imbarazzo che anche all'interno della Chiesa stanno prtando le dichiarazioni di De Mattei.

Sempre secondo Sibarinet, la diocesi di Rossano Calabro afferma che "ieri pomeriggio è apparsa, su alcuni giornali online e siti internet vari, una dichiarazione riferita a mons. MAZZELLA, arcivescovo di Rossano dal 1898 al 1917 e riportata durante una trasmissione di Radio Maria. Di seguito a tale dichiarazione sono scaturite polemiche ed equivoci che richiedono alcune precisazioni:
 Nella trasmissione di Radio Maria del 16 marzo 2011 il prof. De Mattei ha citato alcune riflessioni sul terremoto di Messina del 1908 dello stesso mons. Orazio Mazzella tratte dallo scritto La provvidenza di Dio, l'efficacia della preghiera, la carità cattolica ed il terremoto del 28 di Dicembre 1908: cenni apologetici, Desclée e C., Roma 1909.
Nel suo intervento il prof. De Mattei ha fatto riferimento ad un dibattito filosofico emerso tra il ‘700 e l’800 sul senso del male e della sofferenza. In questo ambito egli ha citato la riflessione che Mons. Mazzella ha sviluppato all’indomani del terremoto di Messina del 1908.
Con le sue meditazioni il vescovo Mazzella si inseriva in quel contesto culturale dentro il quale esse vanno lette. 
 

giovedì 17 marzo 2011

Le avventure di un geologo del petrolio in Libia - di Mauro Annese

Pubblico molto volentieri questi ricordi di Mauro Annese durante la sua lunga esperienza di geologo al servizio delle compagnie petrolifere in Libia. Disse un mio (grandissimo) professore: "in Geologia tutto è possibile, tranne l'uomo gravido". E qui Annese ricorda un episodio sul quale, ricordandolo, oggi a distanza di decine di anni ci ridiamo sopra, ma all'epoca il buon Mauro passò qualche brutto quarto d'ora: non trovare nulla quando a 2 kilometri c'era un mare di petrolio è stata una bella sfortuna.... Ma la Natura è così e la geologia è una delle sue branche più pazze. 

Desidero raccontare una storia, una delle tante, che mi sono capitate durante la mia quarantennale avventura nel mondo del petrolio e di geologo in Libia: lo spunto? un articolo su un giornale che mi ha fatto riandare ai vecchi tempi, quasi cinquan’anni fa! quando, per conto della Mobil Oil, eseguivo ricerche petrolifere nel deserto libico.

Nel 1967 la Oxy (Occidental Oil Company,) una piccola società petrolifera americana ha ottenuto dal Governo Libico, grazie anche all’amicizia del suo Presidente, Mr. Hammer con il Re Idris, una serie di concessioni petrolifere molto appetibili in quanto resi di un’altra società petrolifera, la Oasis, che produceva grosse quantità di greggio nelle vicinanze di queste concessioni o permessi di ricerca.
Per legge, infatti, dopo un certo numero di anni, parte di queste concessioni dovevano essere restituite alla Stato perché altre società potessero subentrarvi e fare ulteriori investimenti. A causa del grande rush dell’epoca, le concessioni potenzialmente più interessanti erano di limitata estensione a differenza di quelle meno appetibili (come la 82 assegnata nel sessanta all’ ENI richiesta, si suppone, più per l’onore della firma che per il suo vero valore petrolifero).
Per questo motivo, l’Oasis è stata costretta dopo dieci anni, a restituire, con riluttanza, zone di sicuro interesse petrolifero alle quali hanno avuto accesso sia la Oxy (conc. n. 103) che la nostra Agip (101). Entrambe vi hanno trovato grosse quantità di greggio tuttora in estrazione anche se in minor misura.

Incidentalmente, è vero che la Oxy ha ottenuto questi permessi per via dell’amicizia del suo Presidente col Monarca libico: ma c’è anche da dire onestamente che la la Oxy aveva pattuito, in cambio delle appetibili concessioni, lo sviluppo e lo sfruttamento dell’immenso bacino acquifero dell’oasi di Kufra (scoperto guarda caso dal nostro Ardito Desio), da cui poi Gheddafi fece partire il famoso “fiume fatto dall’uomo” che porta acqua potabile dal deserto alla costa Mediterranea.
Ma la fortuna della Oxy non è stata tanto la concessione 103, ma la fortuita assegnazione di un reso della Mobil nella zona meridionale della concessione 12 dove erano stati perforati due pozzi sterili, di cui uno molto profondo. Nessuno ha richiesto questa concessione tranne la Oxy che l’ha acquisita unicamente per poter meglio vendersi alla Borsa americana dimostrando di detenere diverse concessioni petrolifere (anche se spazzatura come questa della 12) ed incrementare il valore delle sue azioni.
Ciò che ha quasi decuplicato invece il valore delle azioni della Oxy che è passata in pochi giorni da 10 a 120 dollari ad azione, è stato il fortunato ritrovamento sul reso della Mobil, società nella quale lavoravo io, nella concessione 12 a seguito di un rifacimento ed una più moderna interpretazione della sismica eseguita dalla americana GSI.

Infatti, per uno strano scherzo della natura, il petrolio è stato trovato dalla Oxy a soli due km. dico due km dal campo base della Mobil, dove io lavoravo, in una struttura a tappo detta “domo” di rocce porosissime (40% !) e molto permeabili di tipo scogliera. C’è da dire che la porosità media di una roccia petrolifera è del 15-20%.
Il giacimento costituto da soli 18 pozzi è diventato in pochi mesi il più grosso produttore dell’Africa e del Medio Oriente: la sua produzione era infatti, ed è stata per molti anni, di un milione di barili al giorno, oltre 50.000 barili al giorno per pozzo la metà della produzione totale Italiana.
Purtroppo all’epoca il costo al barile era di soli 2.5 dollari ed al Governo Libico andavano solo le royalties del 12.5%!

Essendo stato io il geologo responsabile sul pozzo sterile della Mobil(il K1-12), la Mobil ha cercato la mia testa: in Libia ed in America tutti i geologi della Società petrolifera di New York, hanno indagato sulla incredibile circostanza, hanno rivisto metro per metro tutti i campioni di terreno estratti durante la perforazione del pozzo (debitamente conservati in magazzino) e sono arrivati alla conclusione che a soli due o tre km dal giacimento della Oxy, nel nostro pozzo, non c’era traccia di manifestazioni di greggio né della facies a scogliera che accanto produceva invece un milione di barili al giorno.
Il ritrovamento casuale di questa scogliera ha innescato la corsa a situazioni geologiche analoghe nel territorio, senza alcun risultato. Ciò conferma la mia definizione del giacimento petrolifero uno scherzo della natura burlona.

Un’ultima annotazione riferita a quei gloriosi tempi: a causa del prezzo del barile che era solo di 2.5 dollari (a 600 lire/dollaro) e degli spaventosi costi che all’epoca le prime società petrolifere alla fine degli anni cinquanta dovevano affrontare per fare la ricerca in pieno deserto a 3-400 km dalla costa mediterranea, noi geologi avevamo l’autorizzazione a “ignorare” manifestazioni di greggio visibili sui campioni di terreno perforato esaminati al microscopio, che non fossero importanti.
Gli “oil show” dovevano essere veramente importanti per giustificare le costose operazioni relative all’esecuzione di carotaggi e prove di strato da eseguire per provarne la produttività.
Ne consegue che un gran numero di manifestazioni petrolifere non sono state sufficientemente indagate e che oggi, col greggio a 70 dollari al barile, potrebbero essere considerate economicamente sfruttabili.
Incidentalmente, vorrei rendere noto che la ricerca iniziata il Libia verso la fine degli anni cinquanta è stata basata sulla carta geologica del nostro Prof. Desio ripresa nel sessanta dal servizio geologico libico.

martedì 15 marzo 2011

Altre notizie sui cetacei del mare Tirreno e del mare Ligure

In questo post parlo nuovamente dei cetacei dei nostri mari perchè ci sono due notizie importanti, un convegno a Civitavecchia e l'autopsia della balena spiaggiata a San Rossore alla fine di Gennaio.I miei amici dell’Accademia del Leviatano svolgono una attività molto interessante: durante l'estate viaggiano sui traghetti di linea tra Sardegna, Corsica, Liguria, Toscana e Lazio, quindi all'interno del Santuario dei Cetacei e nelle aree limitrofe, monitorando tutti i cetacei che osservano, dai piccoli delfini ai giganti come la balenottera, stando sul ponte di comando della navi. Nell'estate 2010 i ricercatori hanno fatto più di 40 viaggi. L'attività è collegata all'attività dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca Ambientale).

In totale, nel 2010, sono stati avvistati 142 cetacei, di 6 diverse specie. Si tratta in 68 casi di balenottere, 8 di Zifio, 34 Stenelle, 1 Tursiope, 1 Grampo e 2 Capodogli (i Capodogli in generale si trovano nel Tirreno Meridionale e nel Canale di Sicilia).
Tra i risultati ottenuti la ricerca ha confermato la presenza nel Tirreno Centrale di un’area ad alta densità di cetacei e di una popolazione di Zifio (delfino raro nel mediterraneo). Il problema quindi è che una buona parte degli animali vivono al di fuori del Santuario.

C'è una ottima notizia:rispetto agli studi realizzati dal 1989 al 1992 la frequenza di avvistamento della Balenottera è aumentata di circa il 200%. Questa ultima, inoltre, è stata avvistata nelle aree con maggiore concentrazione di clorofilla e non è un caso perchè sono le zone in cui è maggiore il contenuto di fitoplancton, costituito da microscopiche particelle algali in sospensione nelle acque, e quindi dove si trova anche lo zooplancton di cui si nutrono i grossi cetacei.
Un dato molto interessante è che la maggior parte degli avvistamenti di Balenottera e Stenella sono avvenuti in condizioni meno intense di traffico marittimo. Lo studio sottolinea la necessità di un comportamento di navigazione prudente in prossimità delle aree ad alta densità di cetacei. E questo potrà essere un problema se (finalmente!) entreranno in servizio le navi per le cosiddette “autostrade del mare” che dovrebbero dirottare dalla gomma all'acqua i trasporti a lungo raggio tra il sud e il nord dell'Italia: una prospettiva auspicabile – che purtroppo appare ancora lontana – ma che indubbiamente porterà la necessità di istituire delle misure per la riduzione dell’impatto con i cetacei



Veniamo ora alla balena di San Rossore: l'esemplare di Balenottera Comune (Balaenoptera physalus), era un maschio lungo 16,80 m e pesante 16-18 tonnellate (nelle Balenottera spesso le femmine sono più grandi dei maschi). Le pinne dorsali differiscono fra un esemplare e l'altro e così in base alle foto è stato accertato che prima di spiaggiarsi il 26 gennaio a San Rossore la balena era apparsa davanti a Follonica il 16 e davanti a Viareggio il 21. Un comportamento non comune perchè le Balenottere

Dell'autopsia se n'è occupati il Servizio Diagnostico di Patologia e Anatomia Patologica, sempre della Facoltà di Medicina Veterinaria dell’Università di Padova. Stabilito che non c'erano tracce di urti con natanti o reti è parso evidente che la morte è riferibile a cause naturali. Infatti la balena mostrava un elevato grado di debilitazione se non di immunodepressione: lo stomaco era infatti completamente vuoto e lo strato di grasso era piuttosto ridotto rispetto ai valori di riferimento (6 cm contro i 9-10 tipici di esemplari di queste dimensioni). Anche la pelle era interessata da intensa parassitosi, associata a reazioni infiammatorie e possibili infezioni secondarie, indicava un quadro di debilitazione del soggetto. In effetti l'animale aveva il morbillo: il referto necroscopico ha evidenziato che la balenottera era affetta da infezioni da morbillivirus e Toxoplasma condii; inoltre, forse in conseguenza di ciò, è stato anche possibile rilevare che lo stato di salute dell’esemplare era compromesso da una ridotta funzionalità del rene e da un digiuno prolungato.

L'esame esterno della carcassa della balenottera ha evidenziato aree di escoriazione, compatibili con l'evento dello spiaggiamento e quindi lo sfregamento con la sabbia e il fondo marino. Le condizioni di conservazione dei tessuti e l'aspetto dell'occhio fanno pensare che il decesso possa essere avvenuto intorno alle 24-48 ore dal primo ritrovamento della carcassa sulla spiaggia di San Rossore.

lunedì 14 marzo 2011

Aggiornamento rapido della situazione delle centrali giapponesi

Breve post (che verrà rielaborato spero domani) perchè sono finalmente riuscito a venire a capo della questione delle centrali nucleari giapponesi a rischio, anche grazie ad un link inviatomi dal buon Marco Ferrari.

Come supponevo il terremoto in sè c'entra poco e niente: la carta del risentimento macrosismico del Servizio Geologico degli Stati Uniti, visibile qui a destra, in accordo con quelle desunte da fonti locali, è stata ulteriormente confermata dai dati che parlano per la Prefettura di Sendai valori di accelerazione di 0,25g, cioè di circa 2.5 metri al secondo per secondo, accelerazioni spettacolari a sentirle o a vedere i filmati, ma compatibili con quelle della zona 2 della zonazione sismica italiana, quindi niente di particolare per un Paese ben costruito come il Giappone.

E pensare che nel link indicato si continua ad "esaltare" gli effetti del terremoto, dimenticandosi che un conto è la Magnitudo, che è l'energia emessa dall'evento un altro è il risentimento macrosismico che dipende da diversi fattori, in primis la profondità dell'ipocentro e la distanza dall'epicentro. Insisto a dire che se l'epicontro fosse stato in terraferma ci sarebbero stati grossi danni anche in Giappone...
Per fare un paragone, mettiamo che io emetto un urlo. Se lo emetto direttamente sull'orecchio di qualcuno è possibile che quantomeno gli faccia male la testa o che almeno abbia un pò di mal d'orecchi l' per lì. Ma già a 3 o 4 metri una persona potrebbe avercela con me perchè ho urlato ma non avrebbe la minima conseguenza fisica (a meno che non caschi in terra per lo spavento....!).

In questo caso è evidente che la costa giapponese è nel caso paragonabile alla persona a 3 metri da dove lancio l'urlo.
I danni invece sono stati fatti dallo tsunami, fra le cui conseguenze c'è stata la totale distruzione del sistema di trasporto dell'energia elettrica.
Sostanzialmente è andata così: il sistema della centrale ha avvertito il terremoto e quindi ha aperto le procedure per fermare la reazione termonucleare. Una cosa perfettamente logica e riuscita, nel dubbio che ci potessero essere stati dei problemi all'edificio.
Ricordo ad esempio che quando arrivò la nube di Cernobyl i sensori della centrale di Caorso ne bloccarono il funzionamento. Altrettanto ovvio perchè avendo avvertito la prsenza nell'aria di Cesio 134 e iodio 131 e non sapendo che venivano da fuori ha emesso l'allarme.

Il problema è che fermare la fissione nucleare non ferma ancora l'emisisone di calore da parte dell'uranio, per cui il sistema di raffreddamento deve continuare a funzionare. Naturalmente per farlo ha bisogno di energia elettrica e se la centrale non funziona o la prende da fuori o ha un sistema aqlternativo di produzione di corrente. In questo caso le pompe sono collegate a dei generatori mossi da motori diesel, secondo la fonte danneggiati anche questi dallo tsunami (ho qualche dubbio in proposito, non è che è finita la nafta?). allora è partito un secondo sistema di emergenza, con delle batterie che però, ovviamente non possono fornire corrente all'infinito.
Quindi se la corrente non si ripristina prima che la temperatura si sia sufficentemente abbassata, sono dolori. e questo è quello che sta succedendo. Anzi, senza il raffreddamento il calore continua ad accumularsi e ad aumentare ed è possibile che attualmente  (ore 15.00 del 14 marzo) si sia arrivati alla temperatura di fusione.

venerdì 11 marzo 2011

Considerazioni preliminari sul terremoto di oggi in Giappone

Nonostante la stanchezza di una giornata pesante mi sento in dovere di scrivere alcune precisazioni sparse sul terremoto di stamattina in Giappone.
Innanzitutto è vero che due giorni fa c'era già stata una scossa piuttosto intensa (M=7.2) nella stessa zona, con alcune repliche piuttosto importanti. Come conseguenza sulle coste di Sendai si era abbattuta una onda anomala di una sessantina di centimetri. Sia l'evento del 9 marzo che questo di stamattina sono stati causati da un thrust, un piano di faglia suborizzontale. Come Sumatra 2004 e Cile 2010.

Un terremoto di thrust è quello potenzialmente più distuttivo per un motivo semplicissimo: un terremoto si verifica quando lo sforzo lungo una faglia sorpassa le forze di attrito che ne impediscono il movimento a sforzi inferiori.
Se il piano di faglia è suborizzontale l'attrito sarà molto maggiore che in una faglia subverticale anche solo per il peso della roccia sovrastante al piano. Per cui questo piano di faglia per muoversi ha dovuto accumulare uno sforzo di dimensioni impressionanti. In questa immagine vediamo delle faglie di thrust e come si muovono.
Molti terremoti di thrustsi addensano liungo la cosiddetta cintura di fuoco che circonda il Pacifico: dalla Nuova Zelanda (ma il terremoto di Christchurch non è avvenuto in un altro quadro) alle Isole Vanuatu, alla Nuova Guinea e poi Giappone, Kamchatka, Aleutine, Alaska e tutta la costa pacifica delle Americhe.

I vulcani del Giappone sono come quelli della costa pacifica americana, dell'Indonesia, delle Aleutine o dei Caraibi: un vulcanismo che si manifesta sopra la zolla in subduzione. La zona tipicamente in compressione (che è poi quella più intensamente sismica) è compresa tra la fossa oceanica e il limite dell'arco vulcanico. Le fosse oceaniche come quella del Giappone sono l'espressione sulla superficie terrestre del trascinamento verso il basso della crosta oceanica.Venendo al terremoto di oggi (pallino in rosso nella figura), è avvenuto lungo un piano più o meno parallelo al limite fra la zolla euroasiatica e quella pacifica che le scorre al di sotto, se non  direttamente al limite stesso. La zolla pacifica scorre ad una velocità di poco superiore agli 8 centimetri all'anno. Velocità direi piuttosto alta.


Come si vede  nella figura un pò più a sud la situazione è ancora più complicata, perchè fra la zolla pacifica e quella euroasiatica si interpone una terza zolla, quella delle Filippine.

Dal 1973 ad oggi a largo di Honshu ci sono stati diversi eventi con M superiore a 7, con un M=7.8 nel 1994 e un 7.7 nel 1978.
Qualche anno fa ci fu nella stessa area una sequenza sismica importante che è durata parecchi mesi.
Sicuramente con questo terremoto dovrò aggiornare la classifica dei 10 terremoti più forti mai registrati dalla sismologia (o per i quali ci sono notizie affidabili). Notare che nella classifica mancava ancora anche il terremoto cileno del 28 febbraio 2010


In qest'altro disegno qui sotto è schematizzata la geologia del Giappone e indicato con il pallino rosso la zona dove si è scatenato il terremoto odierno e sempre in rosso la zona di formazione e risalita dei magmi:


Una postilla finale: tutti a magnificare la grande qualità delle costruzioni giapponesi. Però, come dimostra la carta dello scuotimento, complice la distanza notevole dalla costa, il risentimento non è stato molto elevato, non avendo passato il VII grado della Scala Mercalli.  Quindi ci sarebbe da stupirsi se fosse successo qualcosa. Eccola qui (nella carta il rettangolo corrisponde all'incirca alla zona dove il piano di faglia si è mosso).

Diverso il caso dello tsunami: è molto difficile pensare di non costruire niente vicino alle coste. Lascia un pò perplessi la presenza di persone lungo le coste nonostante l'allarme (e anche che abbiano fatto partire dei treni che, secondo le voci, sono attualmente considerati "dispersi").




 

mercoledì 9 marzo 2011

i piani di bacino e i piani di assetto idrogeologico: la difesa del territorio e i ritardi della burocrazia


Il nostro Paese è fra quelli europei, il più vulnerabile alle catastrofi naturali. La scelleratezza con cui è stato usato il territorio si unisce alle caratteristiche naturali e demografiche in maniera drammatica: terremoti, frane e inondazioni si addensano in una Nazione dalla geologia tuttora attiva, dove in molte aree in cui affiorano sedimenti non consolidati (e quindi tecnicamente scadenti) e con una densità di popolazione molto elevata. Per questo rispetto ad altre nazioni europee abbiamo giustamente un servizio di Protezione Civile molto più sviluppato.

Il problema è che la Politica non è preparata ad affrontare tali catastrofi che si ripetono con una continuità intollerabile, acuiti nel dopoguerra dall'aumento selvaggio dell'urbanizzazione dovuto in parte all'aumento della popolazione, ma anche all'industrializzazione e alle migrazioni interne. L'abbandono delle campagne, specialmente a quote collinari è stato un altro fenomeno che ha collaborato al peggioramento delle condizioni del suolo.

Limitandosi al problema delle alluvioni, dopo gli eventi del Polesine degli anni 50 le opere di regimazione nella Valpadana avevano concesso una falsa sicurezza, purtroppo infrantasi con le tragedie del 1994 e del 2000. In mezzo ci stanno il 1966 (e non solo a Firenze, la città-simbolo di quell'anno), l'alta Versilia nel 1996, le colate i Sarno del 1998 e una miriade di eventi che non posso citare per amore di brevità fino ai disastri siciliani del 2009 e a quelli degli ultimi giorni.

Torniamo al 1966, anno in cui iniziano due percorsi molto importanti: a Firenze il volontariato assume un ruolo inaspettato nelle operazioni di salvataggio di persone e cose (compresi i tesori artistici e culturali) e in qualche modo è a questa occasione che si fa ascrivere l'inizio della Protezione Civile italiana, fondata molto sull'associazionismo e, in Parlamento, la creazione con la legge 632/67, della “commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e per la difesa del suolo”, passata alla storia come la “commissione De Marchi” dal nome del suo presidente.


Alla fine verrà fuori la legge 183/89, il primo serio tentativo di legiferare sulla difesa delle acque e del suolo. Notare che dal 1966 al 1989 sono passati 23 anni nei quali è successo di tutto (ma gli anni 90 saranno ancora peggio).



Una legge particolarmente all'avanguardia in cui vengono istituite le Autorità di Bacino, organismi misti governo – enti locali con la collaborazione di esperti scienziati che oltre a sovrintendere ai consorzi di bonifica, alla difesa del suolo, alle sistemazioni idrauliche e quant'altro, devono redarre i cosiddetti Piani di Bacino, uno strumento importantissimo e avanzatissimo per il Governo del territorio: oltre alla difesa del suolo e al rischio idrogeologico, con le conseguenti opere di bonifica, riforestazione, delimitazione delle aree a rischio, i piani di bacino devono comprendere l'istituzione di riserve e parchi naturali, la gestione attenta delle risorse idriche e minerarie, la regimazione delle acque finanche la parte paesaggistica. La novità importante è che tutte le attività umane devono ruotare intorno a questo, a partire dagli strumenti urbanistici e tutta le normative, disposizioni etc etc (a partire dai piani regolatori comunali) devono adeguarsi ai piani di bacino.
I Piani di Bacino sarebbero stati quindi un pò come la Costituzione per la Repubblica Italiana: la "carta" fondamentale del territorio. 

In effetti il comma 1 dell'articolo 17 della legge è molto esplicito al proposito: il piano di bacino ha valore di piano territoriale di settore ed è lo strumento conoscitivo normativo e tecnico – operativo mediante il quale sono pianificate e programmate le azioni e le norme di uso finalizzate alla conservazione alla difesa e alla valorizzazione del suolo e la corretta utilizzazione delle acque, sulla base delle caratteristiche fisiche ed ambientali del territorio interessato, anche, come si espresse l'anno dopo la Corte Costituzionale con la “conservazione dinamica del suolo attraverso l'imposizione di vincoli e di opere di carattere idraulico, idraulico – agricolo e forestale”.

Però nel 1993 nessun piano di bacino è stato né approvato nè adottato) e allora la legge 493 impone alle varie Autorità di Bacino (che dal 1989 ad oggi cambieranno di numero e area anche per i passaggi di deleghe dallo stato alle Regioni e alle Province Autonome) i cosiddetti “piani di assetto idrogeologico”, una sorta di piani di bacino in piccolo o, meglio, quei sottopiani dei piani di bacino, che dovranno quantomeno perimetrare le zone a rischio idrogeologico. Si arriva quindi al 1998 quando un decreto del Presidente del Consiglio fornisce delle scadenze precise: i PAI devono essere redatti entro il 30 giugno 1999, adottati entro il 30 giugno 2000 e approvati entro il 30 giugno 2001. 

Questo obbligo viene preso molto “sportivamente” da diverse amministrazioni, come dimostrano le statistiche: al settembre 2010 (quindi dopo altri 10 anni!) su 37 previsti ce ne sono appena 20 tra adottati e approvati, con una distribuzione piuttosto irregolare: per esempio la Toscana li ha approvati tutti, altri nessuno.
Quindi 21 anni dopo la legge 183 ancora non solo non ci sono i piani di bacino, ma neanche tutti questi sottopiani “di base”. E nel frattempo si continua a contare morti e danni per inondazioni e frane (anche in aree dove i PAI sono attivi e vigenti) . È una cosa assolutamente indecente.

Qui finisce la parte di “notizie” e arriva una parte di “sensazioni”, in cui rischio di cadere nel demagogico


1. In Italia una politica del territorio seria non si vuole fare perchè non porta voti e perchè gestire le emergenze “rende di più”. Faccio un esempio a proposito dei terremoti: porta più voti l'adeguamento sismico di edifici strategici o una nuova superstrada? Inoltre puoi sempre fare un figurone dove è successo un disastro, con un bell'intervento di protezione civile e con una ricostruzione veloce (o almeno pubblicizzando in TV che ce n'è stata una), magari favorendo gli amici.

2. bloccare “per sempre” un territorio significa dire a qualche personaggio che lì non ci può proprio costruire nulla. La lobby del cemento non ringrazierebbe di sicuro....

3. Ogni tanto negli ultimi 20 anni viene tirata fuori al questione che ogni comune dovrebbe dotarsi di un geologo, magari in stretta collaborazione con le strutture della Protezione Civile. A parte che chiedere oggi alla pubblica amministrazione lo sforzo di assumere qualche migliaio di persone è difficile, una figura così verrebbe vista come un “ennesimo rompiscatole” capace solo di stendere “lacci e lacciuoli” a chi vuole occupare del territorio o a chi non ne vuole sapere di mantenerlo in stato decente da un punto di vista della difesa del suolo

4. il tutto è acuito dalla babele delle responsabilità: della difesa del suolo e del rischio disastri naturali si occupano diverse, troppe, istituzioni fra organizzazioni, commissioni, enti locali, authority varie etc etc... per cui lo scaricabarile fra i vari uffici è uno sport facilmente praticabile. Con i Piani di Bacino probabilmente si cercava di porre rimedio al rimpallo di responsabilità, visto che alla fine il piano vincolava il territorio piuttosto chiaramente. Ma sono stati affossati.

I rimedi sono ormai difficili: si è costruito dappertutto, anche in zone golenali, in aree geotecnicamente scadenti e solo in pochi casi si è avuto il coraggio di abbandonare siti abitati troppo vulnerabili (per non parlare dell'attacco continuo alle coste). La sensazione è che in molti casi si cerca di chiudere la porta quando i buoi si sono abbondantemente allontanati e che in molte aree edificare sia stato un errore gravissimo.





lunedì 7 marzo 2011

La vera storia dei reattori nucleari EPR (quelli che dovremmo installare anche noi)

Ringrazio la ASPO Italia, la sezione italiana dell'associazione internazionale per lo studio del picco del petrolio e del gas per aver tradotto in italiano uno studio del professor Steve Thomas della Business School dell'Università di Greenwich (non quindi un “cincirinella” qualsiasi), piuttosto impietoso con i reattori EPR, quelli che in numero di 4 dovrebbero essere impiantati in Italia.
Il titolo è piuttosto esemplificativo: "EPR in crisi".
Il rapporto è lunghetto, 24 pagine e pieno di dati, sigle etc etc, per cui io vi passo il link per chi se lo volesse scaricare. Se vi fa comprensibilmente fatica leggerlo, potete accontentarvi di questo mio riassuntino con annessi commenti e analisi.

Dopo gli incidenti di Chernobyl e Three Mile Island il nucleare è andato un po' in crisi. Oltre ad una questione ambientale (chi vuole una centrale nucleare sotto casa dopo quegli incidenti?) altri aspetti hanno contribuito a diminuire molto l'interesse per questa fonte, almeno nel mondo occidentale:

- il primo quello delle scorie, di cui ho anche parlato qui e qui;
- il secondo è che la centrale nucleare non è modulabile: siccome non è possibile stoccare l'energia elettrica il sistema globale di produzione ne deve immettere tanta quanta ne serve al momento per cui la domanda non è costante e ci sono altri tipi di centrali come quelle termoelettriche più flessibili, coè che possono produrre più o meno energia secondo il bisogno. L'energia nucleare può quindi fornire una elettricità “di base” ma dovrà sempre essere supportata da altre fonti per sopperire alle variazioni della domanda. É altrettanto ovvio che questo aspetto riguarda Paesi che hanno già una certa capacitò nucleare, non il nostro, ed è alla base dei pochi ordini della Francia, in serve meno aumentare il “carico – base” ma piuttosto provvedere a fornire energia supplementare nei momenti di maggior richiesta
- il terzo è che a causa del costo inferiore dei combustibili fossili, l'energia prodotta con la fissione nucleare continua ad essere troppo cara e quindi, per poter produrre, le aziende elettriche necessitano di contributi da parte dei governi

In ogni caso il reattore EPR è stato progettato dopo quegli incidenti e rispetto ai precedenti è molto avanti soprattutto per la sicurezza in caso di incidenti: in caso di problemi un sistema assicura la “cattura” del nocciolo e la sua messa in sicurezza. I costi però sono ovviamente superiori rispetto a un reattore privo di questo dispositivo, circa del 15%.

Areva, la società produttrice, è una joint vernture fra la Framatome francese e la Siemens tedesca che hanno unito i loro sforzi. Per la cronaca nel bilancio 2010 Areva ha un utile di 800 milioni di euro, ma in parte ottenuto grazie alla vendita di un ramo d'azienda, quello dei trasporti del materiale. Non è un'azienda che gode di ottima salute, tutt'alltro (e lo dimostra la vendita di un “gioiello di famiglia”, perchè ancora di reattori EPR funzionanti ancora non ce ne sono. E non solo per l3e poche vendite, molto inferiori alle attese.

I guai sono iniziati subito perchè la EDF, l'Enel francese, ha nicchiato prima di ordinare nuovi reattori. Ufficialmente le motivazioni sono due: perchè con i consumi di base di energia che c'erano non sentiva il bisogno di nuove centrali nucleari e la proroga per altri 20 anni del funzionamento degli impianti esistenti.

Quindi il primo ordine di un EPR è stato fatto dai finlandesi nel 2003, con inizio della produzione di corrente previsto per il 2009 (e invece siamo ancora lontani dalla meta). Il secondo è venuto dalla Francia, Paese che con gli EPR vorrebbe avere la leadership assoluta mondiale nel settore, nel 2007, con previsto inizio della produzione nel 2010 (notare che EDF ha nei decenni precedenti comprato da Framatome ben 58 reattori!). Ci sono poi due reattori in costruzione in Cina, anche questi con alcuni ritardi sul programma previsto.

In Finlandia la situazione del sito di Olkikuoto è la seguente: il costo iniziale fu stimato in 3,3 miliardi di euro, un prezzo ritenuto “basso” ma utile per farsi pubblicità (però non basso rispetto agli intendimenti iniziali, quando si voleva un costo di circa 1000 dollari al kilowatt, qui siamo già a valori quasi doppi...). Adesso la stima dei costi è di circa 5,7 miliardi di euro che al cambio con il dollaro di 1,35 fa 4800 dollari al kilowatt installato, quasi 5 volte l'obbiettivo iniziale. In questo momento si parla di concludere i lavori nel 2013 (ammesso che si vada avanti) con un bagno finanziario per fornitore e/o cliente. C'è un contenzioso legale fra le due parti per l'aumento spropositato dei costi e, cito testualmente il rapporto, non è ancora chiaro se TVO (l'azienda elettrica finlandese) potrà sopravvivere finanziariamente qualora si dovesse fare carico di una significativa percentuale di tali costi

Quindi non si può dire che per adesso la Finlandia abbia fatto un buon affare....

Veniamo ora alla Francia: il costo previsto era inferiore ai 2800 dollari al kilowatt. Nel 2008 i lavori furono sospesi per problemi di qualità del cemento usato per la gettata (ogni commento è superfluo). Ci sono voci di grossi ritardi nel progetto mentre il costo ha ampiamente varcato la soglia dei 3.400 dollari al kilowatt.

In campo internazionale Areva non è stata con le mani in mano e dopo la Cina ha offerto il reattore EPR a diverse nazioni (Emirati Arabi Sudafrica, USA etc etc) ma per adesso non ha in corso ordini scritti, per le motivazioni più varie ma che si riducono a decisioni degli eventuali clienti ancora non prese, ordini finiti ad aziende concorrenti, coreane o giapponesi anche per un prezzo troppo alto (il primo problema è il costo dei sistemi di sicurezza dell'EPR, molto superiori per esempio a quelli del reattore coreano) o, come in Sudafrica, per successiva cancellazione dell'ordine. C'è poi il programma nucleare negli USA ma anche qui le cose sembrano andare piuttosto al rallentatore: un progetto è iniziato ma è attualmente fermo, gli altri sono ancora al palo. Quanto all'India, c'è un accordo per la costruzione di due centrali e fornitura di combustibile per 25 anni del dicembre 2010, ma nel comunicato di Areva non si ipotizzano date di inizio costruzione nè tantomeno di messa in servizio.

In questo periodo in Francia c'è la consapevolezza che l'EPR così com'è non abbia le possibilità di andare avanti senza grandi correzioni e Areva sta cercando soluzioni alternative addirittura con altri progetti.

Veniamo quindi ad alcune facili considerazioni:

1. è chiaro che ora come ora acquistare un reattore del genere non sembra essere proprio una idea geniale da un punto di vista squisitamente economico (senza parlare di aspetti diversi) e si capisce anche come mai il nostro governo stia per così dire traccheggiando anche in questo
2. pochissimi però stanno diffondendo queste notizie e la disinformazione è totale, sia fra i favorevoli (che se sanno come stanno le cose non possono pubblicizzare troppo questi aspetti) che fra i contrari, spesso più pronti a parlare emotivamente dei pericoli, ma spesso incapaci di comunicare qualcosa di scientificamente valido. Rimarco come purtroppo il famoso “forum sul nucleare” non è altro che uno strumento di chi “vuole” fortissimamente il nucleare in Italia e dal quale mi risulta essere stati rimossi post non in linea con le scelte - diciamo così - editoriali

In mezzo c'è l'Italia, con l'italiano medio al solito informatissimo sul grande fratello ma felicemente disinformato sui fatti reali, pronto a scontrarsi sulle idee senza però neanche sapere di cosa sta parlando e solo perchè l'hanno detto, a turno e secondo preferenza, Berlusconi, gli ambientalisti, la confindustria, i verdi, Fini, la TV o Bruno Vespa (PD assente sull'argomento, felicemente diviso come sempre).

mercoledì 2 marzo 2011

La storia geologica della Nuova Zelanda

Negli ultimi giorni la Nuova Zelanda è sicuramente alla ribalta della scena geologica e quindi è un'occasione per parlare della geologia di quella zona remota, non molto conosciuta e sotto certi aspetti sorprendente.

Detto che in Nuova Zelanda c'è il Taupo, uno dei vulcani più pericolosi del mondo, vediamo due immagini interessanti sulla distribuzione dei terremoti nel paese dei Kiwi, direttamente prese dal loro Sevizio Geologico.

La prima si riferisce alla distribuzione dei terremoti profondi: è evidente come si addensino nell'Isola del Nord e nella parte sudoccidentale dell'Isola del Sud, lasciando “in bianco” una parte intermedia. Nella zona a nord i terremoti sono  ben raggruppati in fasce di profondità crescente da est verso ovest. Un trend simile è visibile anche a sud, con alcune differenze importanti: le scosse si approfondiscono verso est, mancano ipocentri a profondità superiori a 100 km e questa seconda fascia è un poco più stretta.

Nell'Isola del Nord la distribuzione degli ipocentri mostra chiaramente la presenza di un piano di subduzione orientato verso ovest che, alla fine, è quello che proviene dalle Samoa e scende lungo le Tonga e la Vanuatu, una delle zone più sismiche del globo terrestre, dove si registra una percentuale importante dei terremoti con M maggiore di 6 al mondo: solo nei primi due mesi del 2010 se ne contano già 3. 

Nell'Isola del Sud la situazione è un pò diversa: le scosse profonde si addensano solo lungo la costa sudoccidentale, dove si contano numerosi eventi con magnitudo superiore a 7 con un meccanismo di sovrascorrimento: si ricordano in tempi recenti in particolare un M=7.7 nel 2009 e un 7.0 nel 1993. Questa zona sismica prosegue verso sud nella dorsale della Macquarie.

Il fatto che nella zona centrale manchino terremoti profondi non significa che sia una zona calma, tutt'altro: soltanto che qui ci sono solo scosse superficiali, come dimostrano gli eventi tra il 2010 e il 2011 e questa seconda carta:


Quindi la Nuova Zelanda è praticamente divisa in due, perchè, come si vede da questa terza carta, è atttraversata dal limite fra la zolla pacifica e la zolla australiana, che si muove verso nordest a circa 40 millimetri l'anno. A sud della Nuova Zelanda questo movimento avviene grazie a un piano di subduzione molto obliquo con il quale la zolla australiana scende sotto quella pacifica, movimento diventa invece una pura trascorrenza (come la notissima Faglia di San Andreas) nell'Isola del Sud, contrassegnato dalla Alpine Fault e dal sollevamento delle alpi Neozelandesi. 



Più a nord ritorna un sistema di subduzione, ma qui è la zolla pacifica che scorre sotto a quella australiana.

Vediamo quindi la storia geologica dell'Australia e della Nuova Zelanda. 
Per prima cosa è bene cominciare da quello che è l'assetto attuale dell'area e notiamo in questa figura quella che è probabilmente la cosa più sorprendente per chi si avvicina solo ora alla geologia neozelandese: la piccola nazione australe è soltanto una piccola parte emersa di un'area a crosta continentale molto più vasta, che comprende a nord - ovest intere sezioni del mare che artualmente la separa dall'Australia (la soglia di Lord Howe e la zona delle isole Vanuatu), la Zealandia

Specularmente la stessa cosa succede a sud e ad est, dove apparentemente si potrebbe pensare di essere in pieno Oceano Pacifico e invece ci sono aree a profondità molto bassa, con isole che emergono quasi inaspettatamente dal mare come le Chatam, che distano quasi 800 km dalla costa neozelandese o la Campbell (oltretutto queste isole non sono proprio al limite: ad esempio il plateau delle Chatam si spinge per altri 400 km verso Est). 

Questa massa continentale è abbastanza spezzettata al suo interno e, tanto per non semplificare le cose, è attualmente suddivisa fra le due zolle, quella australiana e quella Pacifica, con il limite di zolla che, come abbiamo visto, passa a Est dell'isola del Nord e proprio all'interno dell'isola del sud


Ed ecco come negli ultimi 100 milioni di anni si è individuata a est dell'Australia questa massa continentale:

Prendiamo come inizio degli avvenimenti la situazione verso la fine dell'era mesozoica, 80 milioni di anni fa, durante il Campaniano. In questa figura tratta da Norwich & Smith 2001 (come le successive) sono segnate in rosa due masse continentali, l'Australia e l'Antartide, separate da una zona in grigio che rappresenta una crosta continentale assottigliata. Ad est dell'Australia comincia ad individuarsi la futura zona neozelandese, dove si assottiglia una piccola sezione crustale a fianco di un'altra, ancora più a est che invece su sta ispessendo perchè è una zona di convergenza fra la zolla australiana e quella pacifica, oceanica, che le scende sotto. È la zona attualmente posta tra la Lord Howe Rise e le Vanuatu, attualmente molto più a Nord della Nuova Zelanda. Più a sud quella che diventerà l'isola del Sud della Nuova Zelanda (anche questa in rosa)si sta invece già separando dall'Antartide. Questo blocco, sia pure abbastanza frammentato al suo interno si può considerare una entità unica nei confronti delle aree vicine.

La prossima immagine ci porta al limite Paleocene - Eocene:



Abbiamo quindi saltato per amor di brevità e semplificazione tutta una serie di avvenimenti e arriviamo a 55 milioni di anni fa: a questo punto tutta l'area tra Nuova Caledonia e Nuova Zelanda si è ormai ben separata dall'Australia e dall'Antartide, ancora quasi unite fra loro per l'attività di una dorsale oceanica che però avrà vita piuttosto breve.

Passiamo ora all'ultima carta:



Siamo alla fine del Miocene, 10 milioni di anni fa: Australia e Antartide sono ormai ben separate fra di loro come anche il blocco neozelandese. La situazione a questo punto è ormai molto simile a quella attuale. Notate come l'apertura dell'oceano fra Australia e Antartide abbia richiesto la formazione della zona di subduzuione a sud della Nuova Zelanda.

Una questione molto importante è che in Nuova Zelanda fino all'arrivo dell'Uomo non c'erano mammiferi (tranne quelli marini): né palcentati né marsupiali, ma c'era una fauna molto arcaica, rappresentata fra gli altri dai Moa e dai tuatara. Questo perchè il distacco dall'Australia precede l'arrivo dei mammiferi moderni nel continente – isola. Per cui l'isolamento ha consentito l'evoluzione in perfetto isolamento di una serie incredibile di forme di vita animali e vegetali di origine molto antica. Purtroppo nella fauna mancano rappresentanti di mammiferi primitivi come gli australosfenidi, che si erano evoluti prima dei placentati nei continenti meridionali, e questo è un vero peccato.