venerdì 30 dicembre 2011

L'isola che non c'è (ancora) e quella che invece è venuta fuori


In questi ultimi mesi l'attenzione dei vulcanologi era puntata sulle Canarie, su un'eruzione sottomarina nei pressi di El Hierro, aspettando che il cratere formato dal magma emergesse dal mare. Ci siamo arrivati molto vicini, guardate questa foto dove si vede il mare sopra l'area in cui il magma esce sul fondo marino.



Ma se alle Canarie l'isola non è ancora venuta fuori anche se l'attività continua, sorprendentemente in pochi giorni ne è venuta fuori una nel Mar Rosso.
Il 19 dicembre c'erano sintomi di una eruzione nella zona meridionale del Mar Rosso, vicino a dove le acque dello stretto proto-oceano si mescolano con quelle del golfo di Aden. I rilevamenti della missione AURA, un satellite della NASA che studia la chimica dell'atmosfera e della superfiice terrestre, dimostravano chiaramente che un'eruzione era in corso, grazie alla nuvola di Biossido di Zolfo. 

Nella zona ci sono una serie di vulcani (dei quali uno, Jabal al-Tair, ha fatto parlare molto di se nel 2008, facendo un po' di danni (se non ricordo male anche una guarnigione yemenita ebbe dei problemi).
Il maggiore indiziato era lo Jebel Zubai, la cui ultima eruzione è del 1824, vicino allo Jabal al-Tair.

Poi però si è visto che lo Jebel Zubai non dava segni particolari di eruzione. C'erano state, sempre il 19 dicembre, delle testimonianze di una eruzione in mezzo al mare riportate da dei pescatori a cui era stato dato scarso credito, nonostante parlassero con una certa precisione di fontane di lava.
E persino molti esperti avevano pensato o ad una minima eruzione caratterizzata soprattutto dal rilascio di gas o che il problema fosse di origine antropica (militare? Incendio?).
Poi però venne la NASA: confrontate queste due foto, una “prima” e una “dopo”.
Ecco quella "prima". si vede l' Haycock  Island e la Rugged Island, separate da poco più di 2 km di mare.


E ora confrontatela con quest'altra, di pochi giorni fa.
Vedete come “dopo” c'è un'isola in più nel Mar Rosso. E fuma. Il nuovo vulcano.


Nell'area della nuova isola il mare era profondo prima dell'eruzione un centinaio di metri.

mercoledì 14 dicembre 2011

L'insussistenza scientifica del razzismo

Gli omicidi a sfondo razziale che ci sono stati oggi a Firenze mi hanno particolarmente colpito, sia semplicemente perchè sono successi ma anche perchè sono avvenuti in Piazza Dalmazia, una piazza da me ben conosciuta e frequentata, il che vale anche per l'epilogo nel quartiere di San Lorenzo. Allora voglio rendere omaggio alla memoria di questi ragazzi senegalesi (la bandiera nell'immagine è ovviamente quella del Senegal) prendendo degli spunti sulla storia della ricerca sulle razze e concludendo con quanto è scritto chiaramente su uno dei libri da me preferiti e cioè “Storia e geografia dei geni umani” di Luigi Luca Cavalli Sforza, Paolo Menozzi e Alberto Piazza – Edizioni Adelphi. Gli autori dimostrano su base genetica che non esistono razze. E buonanotte a tutti i razzisti di questo mondo. Il post potrà sembrare un po' confuso, ma l'ho preparato piuttosto in fretta e me ne scuso.


Già nella Grecia Classica ci sono testimonianze della diversità umana basata soprattutto sul colore della pelle.
Nel XVIII secolo gli scambi seguiti ai viaggi intrapresi dai “grandi navigatori” avevano portato in Europa la descrizione della vasta serie di popolazioni che conosciamo; simultaneamente furono scoperte anche le scimmie antropomorfe. Quando Linneo creò l'ordine dei “Primates”, che includeva come oggi l'uomo e le scimmie, fu molto criticato e scrisse che sapeva benissimo quale fosse la differenza morale fra scimmie ed uomo, ma anche che da un punto di vista anatomico le differenze erano ben poche.

In seguito si diffuse l'opinione che i neri fossero discendenti dalla commistione fra uomini bianchi e orangutan (termine con cui fino al 1850 circa erano chiamate tutte le scimmie antropomorfe), o che fossero una specie di mezzo fra l'uomo bianco e le scimmie: non è stato automatico pensare che bianchi e neri fossero la stessa specie. C'erano comunque sostenitori della unicità della razza umana, come l'anatomista olandese Petrus Camper (1722 – 1789): egli prima sezionò il cadavere di un vero orango, dimostrando che c'erano forti differenze con l'uomo e poi quello di un giovane angolano, del corpo del quale disse che era perfettamente uguale all'uomo bianco; invitava quindi a tendere la mano agli uomini dal colore diverso, come figli dello stesso Dio, in cui c'erano addirittura dei religiosi che proponevano creazioni separate fra bianchi e neri.

Le cronache dell'epoca sono piene di notizie su persone, anche molto importanti, di cui alcune note per la loro rettitudine morale, che ritenevano la razza bianca quella iniziale e che i negri rappresentassero una qualche forma di degenerazione (persino Buffon la pensava così...); altri semplicemente ritenevano la razza bianca irrimediabilmente superiore alle altre. È abbastanza ovvio che il razzismo servisse anche da un punto di vista economico, perchè dava motivazioni etiche allo sfruttamento delle colonie ed è stato invocato come pretesto persino per assolvere infamie come la schiavitù e genocidi vari. Anzi, ancora oggi la parola “razza” è regolarmente associata con una serie di pregiudizi, ma la convinzione che esistano razze superiori ed inferiori è totalmente infondata dal punto di vista scientifico (e – quindi – è infondata tout court!).

Per un bizzarro gioco della storia Petrus Camper è stato l'inconsapevole inventore di uno dei tentativi più duraturi di dividere gli uomini in razze a diversa intelligenza, la craniometria, che si basava sull'angolo facciale e cioè su quanto la linea che dai denti porta alla fronte devia rispetto all'orizzontale: ai bassi angoli facciali delle scimmie antropomorfe (50°) si passa ai 70° dei neri e agli 80° gradi degli europei. Camper fece queste osservazioni per puri motivi estetici, notando che le statue greche avevano un angolo che arriva quasi a 90°. L'olandese non avrebbe pensato mai di collegare, come hanno fatto poi i suoi posteri, l'angolo facciale all'intelligenza, cosa che restò accettata fino a dopo l'inizio del XX secolo. In seguito Anders Retzius (1796 – 1860) affiancò all'angolo facciale l'indice cefalico, il rapporto fra lunghezza e larghezza del cranio, che fu usato addirittura fino a dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Johann Friederich Blumenbach (1752 – 1840), considerato il padre dell'antropologia, divise il genere umano in 5 razze (caucasica, mongolica, etiopica (tutti gli africani) americana e malese. Riteneva anche lui che il colore originario fosse il bianco.
E ora veniamo a Charles Darwin: nonostante che gli antievoluzionisti lo considerino il padre di tutte le nefandezze possibili, da quelle sociali a quelle razziali, dal comunismo al nazismo al capitalismo (e ovviamente al darwinismo sociale e a tutti gli -ismi peggiori), oltre a concludere che la specie umana è unica e anche che ogni razza confluisce nell'altra e che le razze umane non sono così distinte da abitare la stessa regione senza fondersi. Su quella che Darwin chiama la confluenza delle razze, come illustrare meglio i passaggi graduali nelle popolazioni umane che con la carta qui accanto, una delle tante pubblicate da Cavalli Sforza? Si vede come la frequenza di alcune varianti genetiche vari in modo estremamente graduale. 

Ah, a proposito, non per metterla in politica ma molti razzisti sono anche antievoluzionisti (specifico che non è comunque vero il contrario: molti antievoluzionisti non sono assolutamente razzisti)

Darwin, per dimostrare l'infondatezza di quegli studi, annota come non ci sia accordo nelle varie classificazioni, che differivano tutte per numero e descrizione delle razze. Inoltre nel suo viaggio notò come anche le popolazioni più selvagge avevano menti simili a quelle dei bianchi. È facile notare come questi concetti sono stati espressi da una persona che apparteneva all'ambiente più razzista che si poteva immaginare, l'aristocrazia inglese che con il colonialismo si è molto arricchita e per i cui scopi il razzismo è stato un pilastro fondamentale.

Saltiamo a piè pari tutte le vicende – spesso molto tristi e dolorose – dell'ottocento e del primo novecento e arriviamo ai risultati della genetica: l'uomo anatomicamente moderno è molto giovane, ha meno di 200.000 anni. Per cui succede che “c'è una grande variabilità genetica in tutte le popolazioni umane, anche in quelle piccole”. Le differenze fra i gruppi maggiori sono perciò modeste se paragonate a quelle entro gli stessi gruppi e perfino all'interno di popolazioni singole.
Inoltre la notevole attività migratoria e le conseguenti mescolanze fra migranti e popolazioni locali hanno contribuito alla mancata differenziazione fra loro delle popolazioni.

Quindi “il concetto di razza nella specie umana non ha ottenuto alcun consenso dal punto di vista scientifico e non è probabilmente destinato ad averne, perchè la variazione esistente nella specie umana è graduale.
Si potrebbe obbiettare che gli stereotipi razziali hanno una certa consistenza, tale da permettere anche all'uomo comune di classificare gli individui. Tuttavia gli stereotipi più diffusi, tutti basati sul colore della pelle, sull'aspetto ed il colore dei capelli e sui tratti facciali, riflettono differenze superficiali che che non sono confermate da analisi più appropriate fatte su caratteri genetici (più attendibili). L'origine di tali differenze è relativamente recente ed è dovuta sprattutto all'effetto del clima e – forse - della selezione sessuale.

Un'analisi statistica multivariata permette di identificare “raggruppamenti” di popolazioni e ordinarli secondo una gerarchia che crediamo possa rappresentare la storia delle fissioni, (le separazioni di una popolazione in due o più gruppi, NdR) durante l'espansione in tutto il mondo dell'uomo anatomicamente moderno. A nessun livello si possono identificare questi raggruppamenti con le razze, dal momento che ogni livello di raggruppamento rappresenta una fissione diversa e non c'è alcuna ragione biologica per preferirne una in particolare. I livelli successivi di di raggruppamenti (vediamo un esempio qui accanto) si dispongono in una sequenza regolare e nessuna discontinuità può indurci a un certo livello come una soglia ragionevole, anche se arbitraria, per distinguere “razze”” (Cavalli Sforza et al, opera citata.


Da ultimo riprendo un post che avevo scritto un paio di anni fa sulla genetica degli europei:  le componenti genetiche dell'umanità del nostro continente sono varie e derivano da diverse ondate migratorie (a parte le Americhe, l'Europa è stata l'ultima area ad essere occupata da Homo sapiens, ben dopo l'Australia ad esempio, ed è stata strappata ai Neandertaliani solo tra 40 e 25 mila anni fa. Quindi alla componente autoctona dei primi cacciatori - raccoglitori si sono affiancate diverse migrazioni dall'Asia, dal Medio Oriente e dal Mediterraneo. Ne consegue che la popolazione europea sia lungi dall'essere una “razza pura” (e, aggiungo “superiore”...), ma che il nostro continente sia stato negli ultimi 8000 anni un crogiolo di mescolanze che continua anche oggi, da quando l'Europa, da territorio di emigrazione, è ritornata ad essere un continente di immigrazione.

domenica 11 dicembre 2011

Il Corpo delle Miniere e l'industria mineraria italiana negli ultimi 200 anni

Ringrazio il prof. Giuseppe Tanelli, del Dipartimento di Scienze della Terra dell'Università di Firenze che mi ha fornito il testo della sua comunicazione durante il convegno di Firenze dal titolo "Dal Regio Corpo delle Miniere alle georisorse del futuro”. Da essa ho tratto spunto per una storia dell'attività mineraria degli ultimi 200 anni in Italia.

Nella seconda metà del Settecento, grazie alla rivoluzione industriale, carbone fossile e minerale di ferro diventano materie prime strategiche. C'è interesse anche in alcuni stati dell'Italia pre – unitaria intorno ai nuovi modelli produttivi a carattere industriale e questo porterà allo sviluppo delle Scienze della Terra: Granducato di Toscana, Regni di Sardegna e delle Due Sicilie, Lombardo-Veneto organizzano campagne di prospezione mineraria e, in un quadro di marcata mobilità nazionale ed europea, scienziati e tecnici italiani, visitano i più importanti distretti minerari e frequentano le grandi scuole geologiche e mineralogiche dell’Europa. Fu anche grazie a questi scambi che emersero alcuni grandi naturalisti e geologi, quali Ermenegildo Pini, Giovanni Arduino, Matteo Tondi, Antonio Lippi, Leopoldo Pilla, Ottaviano Targioni Tozzetti, Giuseppe Gjuli, Igino Cocchi e Alberto La Marmora. Nomi che oggi dicono poco perchè purtroppo la storia delle scienze non è una materia insegnata ma lo dovrebbe essere, 

Nel 1779 la scoperta dell'acido borico ne i soffioni del “Lago Cerchiaio”, nei pressi di Monterotondo (Colline Metallifere Toscane), dovuta al grande naturalista Paolo Mascagni, fu il preludio a una delle prime produzioni industriali, antecedenti l'Unità d'Italia: ad una prima fase pionieristica iniziata nel 1818 da una società livornese alla quale partecipava lo stesso Mascagni, seguì dal 1827 una vera produzione industriale del “sale sedativo” nel 1827, grazie ad un francese naturalizzato livornese, Francesco Larderel (da cui il nome della località principale dove troviamo i soffioni).

Il 18 ottobre del 1822 con le Regie Patenti di Carlo Filippo, vengono isituiti il Regio Corpo delle Miniere Sarde, con compiti tecnici ed amministrativi, ed il Consiglio Superiore delle Miniere, con funzioni di indirizzo e controllo. Con l’Unità d’ Italia le competenze del Corpo e del Consiglio delle miniere, sono estese a tutto il territorio nazionale. Nel 1861 ai compiti minerari si aggiunsero quelli relativi alla Carta geologica; questo nojn fu un parto indolore ma l'esito finale di una lotta fra chi, come Filippo Cordova, Ministro dell’Agricoltura del primo Governo Ricasoli, voleva che la cartografia geologica venisse affidata a geologi naturalisti e Quintino Sella che impose alla fine l'attribuzione di questo compito ai geologi provenienti dall'ingegneria.

Nel 1881 esce ad opera del Regio Corpo delle Miniere una pubblicazione fondamentale nella storia mineraria italiana, "Notizie Statistiche sulla Industria Mineraria in Italia dal 1860 al 1880”. Le informazioni riportate nel volume forniscono un significativo spaccato della situazione industriale e socio – economica del nostro paese: l’Italia unificata è un paese povero ed arretrato, carente di materie prime minerali, in particolare di combustibili fossili di qualità. La situazione per il ferro era sensibilmente migliore, grazie in particolare ai depositi di ossidi dell’Elba e a quelli di siderite del Bergamasco.

In questa pubblicazione si legge che l’acido borico a Larderello era ottenuto "facendo sboccare i soffioni (naturali o ottenuti mediante perforazioni del terreno) nell’acqua di bacini detti lagoni ed evaporando poi questa con il calorico del vapore dei soffioni".
L'era della Geotermia iniziò proprio nella località toscana nel 1904, quando il calore mise in moto un apparecchio che fornì energia per l'accensione di cinque lampadine.

Sempre secondo le "notizie statistiche" negli ultimi anni Settanta dell’Ottocento, la produzione mineraria annuale può essere stimata attorno ad un valore di 100 milioni di lire (attorno allo 0,8% del Pil); circa il 60 % era dovuto allo zolfo della Sicilia (35 milioni); i minerali di piombo e zinco della Sardegna e della Toscana concorrevano per 12 milioni, i marmi apuani per10 milioni e l'acido borico ricavato dai soffioni di Larderello per 2 milioni.
A questi si univano pochi combustibili fossili: torbe dell’Arco alpino, ligniti della Maremma e giacimenti di carbone del Sulcis per un valore di circa 3 milioni di lire (contro i 40 milioni di importazione di litantrace). 

La mancanza di risorse energetiche era già allora il problema principale dell'Italia: in Belgio, Inghilterra e Stati Uniti la rivoluzione industriale si era basata sulla presenza di carbone. E che l'Italia non era ancora una realtà industriale lo dimostra il fatto che a fronte di una produzione di minerali di ferro per circa 2,5 milioni di lire da Elba e Bergamasco le importazioni di ghisa, acciaio, prodotti semilavorati o lavorati e macchinari raggiungevano un valore di circa 70 milioni di lire.

La carenza di combustibili fossili e la mancanza di idonei impianti metallurgici faceva sì che anche la produzione di minerali di base, come rame, piombo, zinco, stagno e antimonio fosse per almeno due terzi destinata all’esportazione in nazioni da cui poi tornavano prodotti semilavorati e lavorati. Queste attività minierarie erano presenti su tutto l'arco alpino, la Sardegna e nelle zone  geologicamente più antiche dell'Italia centrale (soprattutto in Toscana). Alcune di queste coltivazioni sono state attive ben oltre  la fine della II Guerra mondiale. Fra le poche eccezioni di rilievo c'era la produzione di mercurio, estratto per distillazione dal cinabro delle miniere delle Alpi Apuane e del Monte Amiata (la prima miniera amiatina, aperta nel 1846, fu quella del Siele).

Lo zolfo quindi rappresenta nei primi decenni dell’Unità d’Italia la più remunerativa produzione mineraria: grande parte era prodotto nelle solfare siciliane ed inviato all’estero per la produzione di acido solforico e per la solforazione delle viti. Lo stesso volume del Regio corpo delle Miniere  contiene al riguardo una precisa denuncia di sfruttamento del lavoro minorile: vi è chiaramente evidenziato come "nei cunicoli e nelle gallerie delle miniere lavorino attorno a 3500 adolescenti in tenera età, detti carusi, impiegati al faticoso lavoro del trasporto a spalla del minerale solfifero, anche da grande profondità”.
Quando nel 1907 Luigi Pirandello pubblica “Ciàula scopre la luna”, lo zolfo siciliano domina ancora il mercato mondiale, ma dopo pochi anni entra in crisi schiacciato dalle primitive e disumane tecniche di coltivazione, dalla concorrenza dello zolfo americano, estratto con moderne tecniche di solubilizzazione in sito e dalla scoperta dei grandi giacimenti di pirite della Maremma nei primi anni del Novecento

Con il XX secolo inizia anche l’estrazione della bauxite nei giacimenti abruzzesi e pugliesi, quale materia prima dell’alluminio, il metallo “innovativo e tecnologico” dell’Ottocento e, come accennato, l’estrazione della pirite dai grandi giacimenti della Maremma, che caratterizzerà in modo marcato la storia mineraria di tutto il secolo. La pirite usata fino agli anni Sessanta limitatamente alla produzione di acido solforico, con l’entrata in funzione dello stabilimento di Scarlino, viene ad essere anche una risorsa di minerale di ferro secondario e di energia. 

All’inizio del Novecento si realizza la più importante svolta industriale del nostro Paese nel settore minerario con la messa in funzione degli altiforni di Portoferraio (distrutti dai bombardamenti della seconda guerra), Piombino e Bagnoli, alimentati principalmente dal minerale elbano
Le esigenze di materie prime ferrifere legate agli eventi della Prima Guerra Mondiale portarono inoltre all'utilizzazione delle grandi masse di scorie della metallurgia etrusco-romana del minerale elbano che si trovavano nella piana di Baratti a Populonia. La loro rimozione ebbe eccellenti risvolti archeologici, perchè sotto alle scorie fu scoperta della vasta necropoli arcaica di S.Cerbone.

Nel corso del Novecento fino alla seconda Guerra Mondiale si ha una marcata espansione del settore minerario e metallurgico, in particolare durante il periodo autarchico degli anni Trenta. Si intensificano le coltivazioni delle ligniti dell’Italia centrale e del carbone del Sulcis, la migliora qualità del carbone nazionale, per il cui sfruttamento viene fondata la città di Carbonia.

Nel secondo dopoguerra le attività minerarie, in particolare in Toscana e Sardegna, concorsero marcatamente alla ricostruzione del tessuto industriale del paese. Però con la crescita socio-economica, si determina in Italia e in Europa quel processo, tipico di tutte le società industrialmente avanzate, per cui cessano le attività primarie come quella estrattiva, e si sviluppano le attività secondarie e terziarie.

Così dagli anni Settanta del Novecento, si assistette ad una lenta dismissione dei grandi distretti minerari italiani ed è del dicembre del 1993 l’ultima seduta del Consiglio Superiore delle Miniere: a cavallo fra il XX ed il XXI secolo, con il trasferimento alle Regione di tutte le competenze minerarie - a meno dei materiali energetici - vengono chiusi i Distretti minerari e finisce la storia del Corpo delle Miniere. 

E oggi? Dopo la chiusura, un paio di anni fa, della miniera aurifera di Serrenti-Furtei (nel Campidano) è rimasta solo quella di bauxite a Olmeda (Sassari) a ricordare il cammino plurimillenario delle attività minerarie metallifere in Italia.
Per quanto riguarda l'estrazione di minerali non metalliferi abbiamo ancora fra Toscana, Calabria e Trentino ottime coltivazioni di materiali feldspatici, dei quali siamo ancora i più grandi produttori mondiali e di marmi  (specialmente ma non solo sulle Alpi Apuane). Poi, al salgemma di Saline di Volterra si affiancano circa 5.000 cave di materiali litoidi, marne da cemento, pietrisco, sabbie e ghiaie, tutti materiali usati più o meno nei dintorni, troppo spesso al centro di marcate conflittualità, socio-economiche ed ambientali

Nel settore energetico, chiuse le ultime miniere di lignite di S.Giovanni Valdarno e Pietrafitta, restano i centri estrattivi di vapore endogeno della Toscana, che concorrono a soddisfare circa il 2% del fabbisogno elettrico del paese e quelli di petrolio e gas sparsi dalla Pianura Padana, alla Basilicata, all’Adriatico fino al Mar Ionio, che rispondono a circa il 10% della domanda energetica primaria

Prospettive? Poche, a parte il settore energetico se ci sarà lo sperato sviluppo della geotermia a bassa entalpia per usi di riscaldamento domestico: alto costo del lavoro e bassi quantitativi di minerale estraibili non consentono alle nostre vecchie miniere una competitività internazionale, anche se ogni tanto sui giornali li legge di qualche società che fra Toscana e Sardegna opera dei sondaggi per l'estrazione di oro.

martedì 6 dicembre 2011

Politica, petrolio, antievoluzionismo e cambiamenti climatici

Gli antievoluzionisti continuano imperterriti nelle loro invettive o a proporre ipotesi assurde su vita e geologia, come dimostra anche attualmente il buon Bertolini. Negli Stati Uniti il dibattito contro l'evoluzionismo ha radici profonde nella politica e nell'economia e si muove su un binario parallelo a quello del negazionismo sui cambiamenti climatici. Pertanto i creazionisti hanno un forte supporto da parte della destra politica radicale e dall'industria petrolifera. Al solito dall'America importiamo le cose peggiori, non quelle migliori


L'evoluzione è ormai provata "al di là di ogni ragionevole dubbio”. Però è sottoposta fino dalla sua riscoperta nel XVIII secolo (già nell'antica Grecia qualcuno l'aveva ipitizzata) a un continuo attacco da parte di attivisti religiosi che, si badi bene, da Lamarck in poi non solo non sono mai riusciti a formulare e proporre nessuna teoria alternativa che non fosse risibile (o goffa), ma spesso si limitano a stare sulla difensiva cavillando volta a volta su un particolare che a loro dire smentirebbe l'evoluzionismo, salvo poi mettere da parte il tutto perchè poi le obiezioni scientifiche sono troppo stringenti.

L'antievoluzionismo, dopo aver conosciuto nel XX secolo una lunga serie di sconfitte, anche legali, a partire dal famoso “Processo Scopes" del 1925, permea tuttora la cultura americana.

Ancora nel 1981 in Arkansas gli antievoluzionisti cercarono una via legale per poter insegnare a scuola il creazionismo alla pari dell'evoluzionismo. La situazione è ben descritta da Steven Jay Gould, in uno dei suoi saggi raccolti in “Bravo Brontosauro” (libro del 1991), quando fa notare come molti libri scolastici strizzassero l'occhio all'antievoluzionismo, usando formule come “si ritiene che le trilobiti abbiano vissuto fra 500 e 600 milioni di anni fa” o “si pensa che i Mammut abbiano vagato per la tundra fino a 22.000 anni fa”. Al contrario si usa l'indicativo affermando che “non ci sono più Dodo viventi”, secondo Gould “perchè l'estinzione del Dodo si è infatti verificata entro il lasso di tempo concesso alla Creazione dall'interpretazione letterale della Bibbia e quindi non c'era alcun bisogno di nicchiare”. Ovviamente gli stessi libri che usavano il condizionale a proposito della Storia Naturale usavano l'indicativc a proposito di fisica o chimica. Per chi volesse, qui c'è una bella cronologia del dibattito negli USA.

Qualche tempo fa da una costola dell'antievoluzionismo è nato l'Intelligent Design: alcuni pensatori religiosi, rassegnati perchè da un punto di vista scientifico non possono sussistere alternative all'evoluzionismo, hanno pensato di introdurre un finalismo nella Storia Naturale: l'evoluzione c'è stata sì, ma guidata da qualcosa (non possono esplicitamente parlare di Dio o di un qualsiasi Essere Superiore in quanto questo sarebbe in contrasto con la legislazione americana).

Recentemente i creazionisti, per cercare di risolvere il problema della somiglianza all'interno di alcuni gruppi di animali e alla evoluzione di singole popolazioni, hanno tirato fuori la Baraminologia, con la quale ammettono una qualche evoluzione (dolo che per loro è una degenerazione da un archetipo perfertto): Dio avrebbe creato degli esseri viventi che poi per una non meglio specificata “degenerazione del DNA” avrebbero dato specie diverse. Questi archetipi sarebbero collocabili al livello tassonomico degli ordini. Cioè Dio non ha creato il cavallo o la zebra, ma un essere ancestrale i cui discendenti si sono differenziati in cavalli e zebre. Qualcuno specifica anche che la degenazione del DNA è iniziata “a causa del peccato originale”.

Peccato che anche questa ipotesi sia assurda biologicamente, in quanto geni “nuovi” vengono fuori in continuazione. Per rendersene conto basta cliccare su un motore di ricerca alla voce “de novo genes”. Inutile dire che gli antievoluzionisti cercano di dire che è statisticamente impossibile che succeda ed altre facezie del genere.

Negli ultimi anni l'antievoluzionismo è tornato prepotentemente alla ribalta: numerosi politici sono annoverati nelle sue schiere, compreso il Presidente George Bush Jr, l'attuale Governatore del Texas Rick Perry, e Sarah Palin, candidata repubblicana alla vicepresidenza insieme a Mc Cain, nel tandem sconfitto dall'accoppiata Obama – Biden. Il “Tea Party”, movimento che si distingue per le posizioni ultraliberal, antistataliste e ultrapersonalistiche etc etc, annovera nelle sue file sicuramente più antievoluzionisti che evoluzionisti

Motivazioni politiche sono sicuramente alla base di queste scelte, che – è bene far notare – viaggiano parallelamente con il negazionismo a proposito dei cambiamenti climatici. Il negazionismo sui cambiamenti climatici passa attraverso o la negazione dei cambiamenti climatici (insostenibile geologicamente ma siamo davanti ad antievoluzionisti...) oppure negando qualsiasi apporto antropico al trend attuale (non mi stancherò mai di sgolarmi dicendo che è un mix di circostanze naturali e antropiche).

Una prima motivazione politica è quella di accontentare una parte del proprio elettorato (gli antievoluzionisti sono ovviamente schierati molto a destra). Ma una seconda è prettamente pratica: i politici citati siano originari di Stati come Texas o Alaska in cui la produzione di petrolio è parte preminente dell'economia. Pertanto l'uso della religione serve anche come giustificazione, visto che secondo la Bibbia Dio ha donato la Terra agli uomini per sfruttarla come meglio possono. Non stupisce quindi che l'industria petrolifera finanzi i creazionisti (e, già che ci siamo, negare eventuali cattivi effetti delle emissioni da combustibili fossili è parimenti comodo!).
A questo si aggiunge che in molti cittadini USA la concezione che hanno dell'ambiente è più o meno quella dei cow-boys del XIX secolo.

E in Italia?

Fino a pochi anni fa i creazionisti italiani non erano molto organizzati. Oggi invece la situazione è un po' cambiata.
Organizzati soprattutto nel milanese “comitato antievoluzionista”, animato da Fabrizio Fratus: i membri attivi dell'antidarwinismo in Italia sono un numero esiguo (tra i cattolici meno istruiti probabilmente il creazionismo è molto comune). Si “agitano” moltissimo e godono di amicizie politiche importanti nel centro-destra e anche nella estrema destra (che spesso considera l'evoluzionismo una cosa “di sinistra”) che sponsorizzano spesso i loro dibattiti in cui il contraddittorio langue. 

Anche da noi il legame fra petrolieri e antievoluzionisti è accertato: al proposito si deve ovviamente citare Letizia Moratti.

Vediamo alcuni suoi comportamenti.

Da Ministro della Pubblica Istruzione fece di tutto per togliere l'evoluzione dai programmi scolastici. Inoltre piazzò al CNR un personaggio come Roberto De Mattei.
Da Sindaco di Milano ha al suo attivo l'invito agli antievoluzionisti turchi di Harun Yaya e il sistematico boicottaggio del “Darwin Day”. 

Un curriculum antievoluzionista ineccepibile.

venerdì 2 dicembre 2011

Allora sui rospi del lago di San Ruffino l'avevo detta giusta (ma non mi hanno ringraziato)

Mi riallaccio ad un vecchio post che scrissi il 6 aprile 2010 sullo strano comportamento dei rospi in un lago vicino ai Monti Sibillini: I rospi di un lago marchigiano e il terremoto abruzzese di un anno fa.

Nei giorni precedenti il terremoto dell'Aquila erano spariti dal Lago di San Ruffino i rospi, come era scritto in un articolo: Predicting the unpredictable; evidence of pre-seismic anticipatory behaviour in the common toad, a firma di Rachel Grant e Tim Halliday Journal of Zoology Volume 281, Issue 4,pages 263–271, August 2010.


L'articolo era stato pubblicato on-line il primo di Aprile, così pensai addirittura che fosse un pesce d'aprile (in quella data i blogger, per esempio, si inventano delle cose incredibili...). Il buon Marco addirittura telefonò alla Open University per sincerarsene (è tutto nella discussione del post)

La Grant nell'articolo sosteneva che:
nei giorni immediatamente precedenti il terremoto i maschi di rospo erano praticamente spariti dalla circolazione e hanno tratto la conclusione che gli animali abbiano “sentito” l'avvicinarsi del terremoto.

Io pensai subito che più che aver presagito il terremoto, i rospi erano stati allontanati da variazioni nel chimismo delle acque e scrissi:

ho pensato a delle variazioni nella composizione delle acque provocata da una variazione della portata delle sorgenti, una conseguenza normale di un terremoto. Nel caso abruzzese ce ne sono state veramente di ingenti.

e che

1. l'area del lago era stata colpita in quei giorni da un piccolo sciame sismico
2. ci sono state delle grosse variazioni nella portata e nel chimismo delle sorgenti anche nei giorni precedenti alla scossa principale

Pertanto mi chiesi

se si possa ipotizzare che l'attività dei rospi sia stata disturbata dalle variazioni di composizione e di acidità delle acque del lago conseguenti alle variazioni di queste grandezze che si sono verificate nelle sorgenti. Anche il fatto che nei giorni successivi al terremoto i rospi siano stati praticamente assenti (eccezione fatta per le notti intorno al plenilunio) può far pendere l'ago della bilancia verso variazioni di chimismo delle acque più che su aspetti di previsione del terremoto da parte delle bestiole.

In fondo al post feci un edit:

EDIT: ho scritto una mail alla prof. Grant, chiedendole una sua opinione sulla mia ipotesi e mi ha risposto che potrei aver ragione! La ringrazio per la rapida risposta.

Difatti scrissi alla Grant esponendole la mia idea e mi rispose così e, anzi, le diedi diverse informazioni

Oggi esce un articolo sempre della Grant e di Halliday con altre persone dal titolo Ground Water Chemistry Changes before Major Earthquakes and Possible Effects on Animals

Sono contento di sapere che il mio suggerimento sia stato utile.... mi dispiace solo che non mi abbia ringraziato.....

lunedì 28 novembre 2011

"L'appello di Firenze" per un nuovo risorgimento delle Scienze Geologiche

Nella giornata di studio di venerdì 25 novembre 2011, svoltasi a Firenze a Palazzo Vecchio sulla Geologia italiana e il Risorgimento, è stato lanciato un appello perchè anche in Italia il mondo delle Scienze della Terra abbia il posto che merita e che è attribuito  a questo insieme di discipline. Oggi ho sentito delle affermazioni piuttosto importanti del nuovo ministro dell'ambiente, secondo il quale l'emergenza - territorio è una delle più gravi per il Paese e che bisognerebbe iniziare ad allontanare persone e insediamenti da zone pericolose. Dopo l'inizio che mi ha lasciato un pò perplesso è una bella correzione di rotta. Pubblico integralmente il testo del cosiddetto Appello di Firenze per contribuire alla sua massima diffusione. 
Per cui linkate questo post o mandatemi una E-mail che vi invio l'appello in comodo formato PDF.

Appello di Firenze

Per un nuovo Risorgimento delle Scienze Geologiche


Appello al Presidente della Repubblica, al Governo, al Parlamento e alla Conferenza Stato-Regioni
Cinque punti per la Sicurezza e lo Sviluppo economico e sociale del Paese


1. Rafforzare la presenza delle materie geologiche nei programmi delle Scuole superiori per una maggiore diffusione della cultura geologica

2. Incentivare le iscrizioni ai Corsi universitari in Scienze Geologiche

3. Difendere l’identità dei Dipartimenti di Scienze della Terra nelle Università

4. Armonizzare, coordinare e semplificare la legislazione vigente sul Governo del territorio

5. Rilanciare il Servizio Geologico d’Italia e completare la Carta Geologica d’Italia


Premessa

La Comunità tecnica, scientifica e professionale dei Geologi si è riunita a Firenze in data 25 Novembre 2011 per una Giornata di Studi sul Risorgimento e la Geologia Italiana.
L’evento si inserisce tra le celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia e tra le iniziative dell’Anno Europeo del Volontariato previste nel Piano Italia 2011 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Nel corso della Giornata di Studi sono state ricordate le figure dei Geologi e degli studiosi delle Geoscienze che hanno contribuito attivamente al Risorgimento e all’Unità d’Italia, nonché alla fondazione, negli anni di Firenze Capitale, delle principali Istituzioni geologiche nazionali, gran parte delle quali tuttora esistenti.

E’stata ripercorsa l’evoluzione della Geologia italiana nei settori delle georisorse, delle esplorazioni, dell’ambiente e della sicurezza del Cittadino, dall'Unità d'Italia ai giorni nostri. Particolare risalto è stato dato alla figura di Quintino Sella e al suo ruolo fondamentale, in qualità di Ministro delle Finanze dei primi Governi dell'Italia Unita, nella costituzione e nello sviluppo delle principali Istituzioni geologiche nazionali.
Nei primi anni dell'Unità d'Italia, nonostante le ristrettezze di bilancio, lo Stato investì molto nelle Scienze Geologiche, intravedendone con lungimiranza le ricadute sia in campo minerario che nelle esplorazioni.
Oggi, come allora, le Geoscienze rivestono un ruolo strategico per lo sviluppo economico e sociale del Paese con competenze fondamentali nel campo delle energie alternative, delle risorse idriche, della difesa del suolo, della protezione dai rischi geologici e della sicurezza ambientale.
A fronte di tutto questo la Comunità tecnica, scientifica e professionale dei Geologi attraversa oggi un momento di difficoltà senza precedenti nella storia del Paese, determinato dalla mancanza di investimenti a sostegno delle attività di ricerca e di formazione dei Geologi, dalla insufficiente attenzione ai problemi geologici dell'ambiente e del territorio, dallo scarso interesse per la cultura geologica nazionale e dalla sostanziale assenza di riconoscimenti istituzionali.

Ancora una volta, mentre tante aree del Paese sono interessate da frane ed alluvioni, dobbiamo dolorosamente constatare quanto l’Italia sia esposta per la quasi totalità a rischio idrogeologico e quanto sia estremamente vulnerabile agli eventi meteorologici ed ai cambiamenti climatici, a causa della incontrollata speculazione edilizia, dell'assenza di monitoraggio, della parziale se non inconsistente prevenzione. A questo si devono aggiungere terremoti ed eruzioni vulcaniche che rappresentano altri fattori permanenti di elevato rischio geologico per il Paese. Non si devono infine dimenticare i danni alla salute dovuti alle emissioni naturali gas Radon.

La politica energetica, nella quale i Geologi hanno un ruolo centrale, non viene adeguatamente sostenuta ed incentivata, soprattutto nel settore dello sfruttamento delle risorse rinnovabili geotermiche ed idroelettriche.

L’Italia ha un’estrema necessità di tecnici preparati e consapevoli in questa straordinaria disciplina. Nessuna politica seria di sviluppo sostenibile può essere sostenuta ed intrapresa senza la conoscenza degli eventi geologici che hanno modellato il territorio e senza un’adeguata comprensione delle dinamiche che costantemente ed inesorabilmente lo trasformano.

Il Geologo è una delle poche figure professionali in grado di fornire gli elementi affinché le politiche nazionali ed internazionali si sviluppino su una visione complessiva ed integrata tra protezione ambientale, sviluppo economico, salvaguardia del territorio e tutela degli interessi sociali.

L’assenza del contributo del Geologo, in concorso con le altre figure che studiano il territorio e l’ambiente, ha prodotto evidenti e seri danni sia nel rapporto tra le dinamiche ambientali e l’occupazione antropica, sia nel corretto sfruttamento delle risorse naturali. Questa assenza ha un costo sociale ed economico che è pesantissimo e rischia fortemente di concretizzarsi in un insostenibile lascito per le generazioni future.

La Tavola Rotonda ha pertanto offerto un momento di discussione, con un proficuo confronto di idee e proposte di soluzione a questa difficoltà. In particolare i rappresentanti delle principali Istituzioni, Associazioni ed Organizzazioni professionali del settore delle Scienze Geologiche hanno convenuto di proporre alla Presidenza della Repubblica, al Governo, al Parlamento e alla Conferenza Stato-Regioni i seguenti punti per un rilancio della Geologia per la Sicurezza e lo Sviluppo economico e sociale del Paese.


1. Rafforzare la presenza delle materie geologiche nei programmi delle Scuole superiori per una maggiore diffusione della cultura geologica

Nel nostro Paese le Scienze Geologiche hanno un ruolo del tutto marginale nella già scarna offerta formativa scientifica dei programmi scolastici ministeriali. Le Scienze Geologiche trovano poco spazio nell’insegnamento della Scuola secondaria di primo grado e nei curricula quinquennali della Scuola secondaria di secondo grado. 
Le discipline geologiche sono fondamentali per la formazione culturale e sociale di ogni Cittadino che, senza nozioni di Geologia, è incapace di percepire i problemi geologici e di inquadrarli nelle loro corrette dimensioni spaziali e temporali. 
Gli eventi calamitosi, seppur frequenti nel nostro Paese, non vengono percepiti da chi dovrebbe cercare di prevenirli o di contenerli, soprattutto perché l’opinione pubblica, largamente priva delle più elementari cognizioni di Geologia, non richiede con forza adeguate misure di prevenzione, se non a seguito degli eventi più catastrofici. Spesso si perdono vite umane, beni ed attività economiche per comportamenti non corretti, determinati dalla totale assenza di conoscenze sui processi geologici naturali. Solo la diffusione di una adeguata cultura scientifica nel settore delle Scienze Geologiche, potrà consentire al Cittadino di mettere in atto misure di autoprotezione e prevenzione efficaci.

La diffusione di cultura scientifica geologica potrà dare anche un nuovo impulso alla ricerca e allo sfruttamento di risorse energetiche e minerarie, in un moderno contesto di "Green Economy", alla razionale gestione delle risorse idriche, alla corretta progettazione di opere di ingegneria sicure in zone geologicamente stabili, ad un fattivo supporto ad una pianificazione urbanistica che tenga in adeguato conto dei vincoli e delle opportunità offerti dal territorio, alla gestione dei rifiuti e al risanamento ambientale, alla lotta all’inquinamento ed in molti altri settori.
Dato quindi il ruolo sociale e la centralità formativa della Geologia, la Scuola italiana di ogni ordine e grado deve dare più spazio alle Scienze della Terra; in particolare nei Licei è fondamentale che le Scienze Geologiche siano insegnate nelle classi finali del triennio.

2. Incentivare le iscrizioni ai Corsi universitari in Scienze Geologiche

La scarsa diffusione della cultura geologica ed il generale disinteresse per le Scienze della Terra hanno prodotto un forte calo delle iscrizioni universitarie ai corsi di Laurea in Scienze Geologiche. Si tratta di un problema comune ad altre discipline scientifiche che tuttavia, nel caso delle Geoscienze, non è dettato da problemi occupazionali dopo la laurea, in quanto la richiesta di laureati è in aumento da parte del mondo professionale, dell’industria e della Pubblica Amministrazione.
Altri Corsi di laurea scientifici (Matematica, Fisica e Chimica) ricevono un concreto sostegno da parte dello Stato, attraverso il D.M.I.U.R. 2/2005, che introduce agevolazioni in termini di tasse universitarie e che assegna agli Atenei fondi ad hoc per l’orientamento a favore delle discipline scientifiche.
Più volte è stata richiesta l’estensione di queste misure di incentivazione alla classe L-34 delle Scienze Geologiche, inspiegabilmente dimenticata dal legislatore. Tale richiesta è stata recentemente ribadita al Ministro dell’Istruzione dell’Università e dalla Ricerca dal Consiglio Universitario Nazionale, con nota del 27 gennaio 2010, e dai Presidenti degli Ordini Regionali dei Geologi, con nota del 7 aprile 2010 in occasione del primo anniversario del terremoto dell’Aquila. Ad oggi tali richieste risultano inascoltate.

3. Difendere l’identità dei Dipartimenti di Scienze della Terra nelle Università

La situazione per le Scienze della Terra nelle Università Italiane a seguito della recente riforma non è grave, è semplicemente disperata. Con la L.240/2010  (nota la grande pubblico come "legge Gelmini", NdR) circa l'80% dei dipartimenti di Geoscienze italiani sta perdendo la propria identità ed è costretto ad accorpamenti con altre discipline. Negli ultimi dieci anni, con il blocco del turnover, la Comunità accademica geologica è stata decimata e, con i nuovi vincoli sulla numerosità minima dei Dipartimenti stabiliti dalla L.240/2010, istituzioni storiche dove è nata la Geologia italiana stanno chiudendo. La scomparsa pressoché totale dei Dipartimenti di Scienze della Terra, dove si formano i giovani professionisti del futuro ed i futuri ricercatori, rappresenta un gravissimo danno per l’intero Paese, anche in considerazione del fatto che, col tempo, andranno perdute le conoscenze sull’assetto geologico locale.
E’ con questo spirito che tutta la Comunità dei Geologi italiani, dai docenti e ricercatori di Scienze della Terra, ai Geologi liberi professionisti, dalle Pubbliche Amministrazioni agli Ordini Regionali, chiede con forza una modifica all'Art.2 comma 2 lettera b) della L.240/2010 sulla numerosità minima dei Dipartimenti ed una politica di potenziamento e di riequilibrio del corpo accademico nel settore delle Scienze della Terra. Tutto questo era stato preannunciato nell’appello inviato al Ministro dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca e alla stampa nazionale in data 19 novembre 2010 dal titolo "Se chiudono i Dipartimenti di Scienze della Terra è a rischio la sicurezza del Paese", appello che è rimasto purtroppo inascoltato (questo è il link a tale comunicato, NdR).

4. Armonizzare, coordinare e semplificare la legislazione vigente sul  Governo del Territorio

L'evoluzione della normativa nazionale sui vari aspetti del Governo del Territorio è stata fortemente condizionata dagli eventi calamitosi che si sono succeduti nel dopoguerra, senza un quadro organico ed un opportuno coordinamento. Nonostante questo, possono essere citati numerosi esempi di provvedimenti di legge virtuosi che, a seguito dell'onda emotiva generata dagli eventi catastrofici, hanno determinato un effettivo progresso del Paese.

La frana che devastò la città di Agrigento nel 1966 ha determinato la L.765/1967, nota come Legge Ponte, che costituì una radicale innovazione rispetto alla precedente Legge Urbanistica del 1942, introducendo misure per porre un freno allo sviluppo edilizio incontrollato e per razionalizzare il sistema di strumenti e di controlli. 
L'alluvione di Firenze del 1966 ha dato origine al ventennale lavoro della Commissione De Marchi, che ha portato alla Legge di Difesa del Suolo 183/1989, la quale introduce l'innovativo strumento del Piano di Bacino e che ancora costituisce un esempio di contributo di eccellenza della Comunità scientifica alla normativa ambientale nazionale. Il terremoto dell'Irpinia del 1980 ha determinato una svolta fondamentale nella normativa tecnica sulle costruzioni con il D.M.LL.PP. 21 gennaio 1981, recentemente aggiornata con il D.M.LL.PP. 14 gennaio 2008, a seguito del terremoto di San Giuliano del 2002 e definitivamente entrato in vigore per qualsiasi costruzione sul territorio nazionale dopo il terremoto dell'Aquila del 2009. Gli stessi terremoti hanno scandito le varie edizioni della zonazione sismica del territorio nazionale, basata su accurati studi della Comunità scientifica nazionale. Il terremoto dell'Irpinia del 1980 e la tragedia di Vermicino dell'anno successivo, anch'essa dovuta a un problema di tipo geologico, hanno determinato l'istituzione nel nostro Paese della Protezione Civile che, con la L.225/1992, si è data l'attuale organizzazione in Servizio Nazionale che il mondo ci invidia e che altri Paesi hanno imitato. Tale Servizio si articola in un sistema distribuito, con un coordinamento a livello centrale sovra-ministeriale, con Programmi di Protezione Civile a livello regionale e provinciale e con Piani comunali di protezione civile e di emergenza.

Le frane di Sarno del 1998 hanno portato alla pronta promulgazione della L.267/1998, con l'altrettanto rapida mappatura delle aree al rischio idrogeologico su tutto il territorio nazionale: in pochissimi anni l'Italia, unico Paese al mondo, ha completato la perimetrazione delle aree a rischio idrogeologico fornendo ai pianificatori, con il Piano di Assetto Idrogeologico, un fondamentale strumento per un razionale sviluppo edilizio in aree sicure.
Nonostante tutto questo, ancora oggi, come dimostrano i recenti eventi di cronaca, le prime piogge autunnali si traducono in disastri e le nostre costruzioni, anche recenti, risultano vulnerabili a terremoti di modesta intensità. Quello che manca è probabilmente un adeguato collegamento e coordinamento della normativa sopra citata e dei relativi strumenti operativi.
Una revisione della mormativa vigente sul Governo del Territorio è necessaria, non per introdurre nuovi vincoli o strumenti, ma per coordinare quelli esistenti in un quadro organico integrato: strumenti urbanistici, Piani di Bacino, Piani di Assetto Idrogeologico, Piani di Protezione Civile e normativa tecnica per le costruzioni devono essere integrati e coordinati fra loro e si devono basare su un'analisi multi-rischio del Territorio, condotta secondo rigorosi criteri scientifici. L'assetto geologico deve rappresentare il criterio centrale per la valutazione dei rischi e per la pianificazione di uno sviluppo del Territorio sostenibile e in condizioni di sicurezza.
La Protezione Civile deve continuare a svolgere funzioni di previsione e prevenzione degli eventi e non limitarsi al soccorso e al superamento delle emergenze, mantenedo l'attuale struttura di coordinamento e di indirizzo con i governi regionali e le autonomie locali, le strutture operative, la comunità scientifica e le libere associazioni di volontariato.

5. Rilanciare il Servizio Geologico d’Italia e completare la Carta Geologica d’Italia

Il Servizio Geologico d'Italia ha costituito fin dall'Unificazione il principale punto di riferimento della Comunità geologica nazionale, oltre che un'importante risorsa in termini di capacità tecniche altamente qualificate nel campo delle Geoscienze. Fin dalla sua fondazione, al Servizio Geologico d'Italia è stato affidato il compito istituzionale della redazione della Carta Geologica d'Italia, che costituisce lo strumento di riferimento principale per la ricerca di risorse minerarie, idriche ed energetiche, per la pianificazione dello sviluppo del territorio e per la prevenzione dei rischi geologici. Più in generale la Carta Geologica fornisce l'anatomia del territorio, permettendo di metterne in luce le patologie in atto, latenti e potenziali, e costituisce quindi la base essenziale per una corretta e consapevole convivenza dell'Uomo con la Natura.

Nonostante il fatto che tutti questi aspetti rappresentino concrete possibilità di sviluppo economico, d'impresa e di occupazione nel segmento dei green jobs, il Servizio Geologico d'Italia ha subito negli anni un progressivo declino ed una perdita di identità, con continue trasformazioni, accorpamenti e ridenominazioni. In pochi anni si è passati all'accorpamento nel Dipartimento dei Servizi Tecnici Nazionali, successivamente nell'APAT e poi nell'ISPRA. Tali continui cambiamenti non hanno riscontri negli altri Paesi tecnologicamente avanzati, anche in quelli con problemi geologici molto inferiori rispetto all'Italia, come dimostrano gli esempi dell'U.S. Geological Survey, del British Geological Survey, del BRGM francese, del BGR tedesco, istituzioni fortemente radicate nei rispettivi Stati e con forte identità e visibilità.

La nuova Carta Geologica d'Italia prodotta in scala 1:50.000, ma rilevata alla scala 1:10.000 ed associata ad una banca dati informatizzata, è stata realizzata o è in corso di realizzazione solo per il 40% del territorio nazionale e non pare esserci oggi nessuna volontà politica di completarla. L'inventario dei fenomeni franosi in Italia, realizzato dal Servizio Geologico Nazionale e dai servizi regionali con il Progetto IFFI, ha permesso di mappare 486.000 aree franose nel Paese e di accertare che il 70% dei Comuni italiani sono interessati da rischio di frana, con 1806 punti critici nel tracciato autostradale e 706 in quello ferroviario. Il progetto IFFI non è più finanziato dal 2007 e non è stato né completato né aggiornato.

Il rapporto del Servizio Geologico d'Italia sulle conseguenze economiche e sociali dei disastri ambientali in Italia nel dopoguerra non è più aggiornato dal 1992. Tale rapporto aveva permesso di quantificare l'impatto dei rischi geologici in una vittima ogni due giorni e 8 milioni di Euro di spesa al giorno.
Proprio in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, l'Accademia dei Lincei ha lanciato un appello alla Presidenza della Repubblica, al Governo, al Ministro dell’Ambiente, alla Conferenza Stato-Regioni e all’opinione pubblica, per rilanciare il progetto di cartografia geologica nazionale e le ricerche correlate. Ancora più recentemente, in occasione del World Landslide Forum tenutosi alla FAO nell'ottobre 2011, il Presidente di ISPRA ha ribadito la necessità di continuare a conservare la cultura geologica nazionale che in questo momento è in seria difficoltà sia sotto l'aspetto dei finanziamenti che per i riconoscimenti istituzionali
-la Federazione Italiana di Scienze della Terra con le 17 società ed associazioni scientifiche federate che fanno capo alle Geoscienze e ilConsiglio Nazionale dei Geologi hanno avviato una raccolta di firme a sostegno di un appello pubblico rivolto alle massime Autorità dello Stato per la ripresa del finanziamento pubblico al progetto di cartografia geologica nazionale.
Il rilancio della cartografia geologica nazionale dovrebbe altresì essere associato ad un programma di ricerca nazionale si Geologia, Energia e Ambiente (GEA), come proprosto a più riprese dalla Società Geologia Italiana e dal CNR, che raccolga l'eredità dei progetti finalizzati del CNR nel settore delle Geoscienze in un nuovo contesto di trasferimento delle conoscenza dalla comunità Scientifica alle imprese e alle istituzioni.

I sottoscritti ritengono di essere in dovere di lanciare un nuovo appello alle Istituzioni della Repubblica perché la Geologia italiana non scompaia, ma possa continuare a contribuire al miglioramento e all’avanzamento delle condizioni di sicurezza, di benessere sociale e di sviluppo economico della Nazione. 

Prof. Nicola Casagli - presidente del comitato organizzatore della giornata di studi sul Risorgimento e la Geologia Italiana
Prof. Bernardo de Bernardinis - Presidente dell'ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale)
Dr.elvezio Galanti - Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del consiglio dei Ministri
Dr.ssa Titti Postiglione - Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del consiglio dei Ministri
Dr.ssa Maria Sargentini - Dirigente del sistema regionale di Protezione Civile della Toscana
Prof. Giovanni Menduni - direttore generale del Comune di Firenze
Dr. Pietro Rubellini - responsabile della Direzione Ambiente del Comune di Firenze
Dr. Gian Vito Graziano - Presidente del consiglio Nazionale dei Geologi
Dr. Vittorio D'Oriano - Vice-presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi
Dr.ssa Maria Teresa Fagioli - Presidente dell'Ordine dei Geologi della Toscana
Prof. Vincenzo Morra -  Rappresentante delle Scienze della Terra nel consiglio Universitario Nazionale
Dr. Fausto Guzzetti -  Direttore dell'Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica del CNR
Prof. Carlo Doglioni - Presidente della Società Geologica Italiana
Prof. Giorgio Vittorio Dal Piaz - già Presidente della società Geologica Italiana
Prof. Silvio Seno - Presidente della Federazione Italiana di Scienze della Terra
Dr. Mattia Sella - Presidente del Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano
Dr. Annibale Salsa - già presidente del Club Alpino Italiano
Prof. alberto Garzonio - università di firenze e Comitato Scientifico del Club Alpino Italiano
Dr.ssa Annalisa Berzi -  Comitato Scientifico Centrale del Club Alpino Italiano
Prof. Giuseppe Tanelli - Università degli Studi di Firenze
Prof. Ernesto Abbate - Università degli Studi di Firenze
Dr. Giovanni Pratesi - Presidente del Museo di Storia Naturale dell'Università di Firenze
Dr. Alessandro Ghini - Venerabile Arciconfraternita di Misericordia di Firenze

EDIT: è stata attivata la raccolta di firme in favore dell' appello che il giorno 7 Febbraio il Presidente del Condiglio Nazionale dei Geologi Gian Vito Graziano consegnerà al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.
L'indirizzo a cui firmare l'appello, nel sito del consiglio Nazionale dei Geologi è questo



mercoledì 23 novembre 2011

Umorismo geologico

In attesa del convegno per i 150 anni di geologia italiana, vorrei pubblicare due vignette di un mio quasi coetaneo impegnato nella Protezione Civile in Sicilia (mi sa che in queste ore sia piuttosto impegnato.....).
Sono ovviamente vicino alle popolazioni siciliane oggi colpite dall'ennesimo strazio dovuto al classico cìpessimo uso del territorio (sembra che ci sia stato un fiume tombato anche in questa occasione), ma desidero pubblicare lo stesso queste vignette

Le vignette sono di Mic, un blogger che tra i suoi interessi coltiva la passione umoristica prediligendo le vignette e le illustrazioni satiriche. Non essendo un granchè "allineato" è stato inserito fra i "blogger in via di estinzione" dalla locale sezione del WWF (basta visitare un attimo il suo sito per capirlo...). 
Vero che 10 giorni fa manca poco vi salutavo tutti per uno schock anafilattico, ma io invece godo di ottima salute, almeno sul web, a giudicare dalle visite quotidiane a "scienzeedintorni".

Cominciamo dalla celebre frase di Nino Bixio, che Garibaldi corregge in maniera inaspettata ma geologiamente ineccepibile:


Nessuna persona con la testa sulle spalle oserebbe contraddire il Generale.

Sarebbe però simpatico che l'Insigne Patriota tornasse e giudicasse tutti coloro che ancora non hanno provveduto ad approvare ed adottare i "Piani di Assetto Idrogeologico". Istituiti con la legge 493 del 1993 come ripiego perchè nessuno aveva fatto i Piani di Bacino (avrebbero costituito troppi lacci e lacciuoli per la cement... ehm, ma cosa dico... per lo "sviluppo" del territorio?) al settembre 2011 ce n'erano pronti solo 20 su 37.
Direi che il plotone d'esecuzione sarebbe stato di prammatica...

E ora passiamo alla seconda che merita due parole sul soggetto, non eccessivamente noto ai non addetti ai lavori geologici: Bartolomeo Gastaldi, geologo torinese, fondatore insieme ad un altro geologo, più noto per altre azioni, Quintino Sella, del Club alpino italiano, di cui mi pare ne divenne in seguito anche presidente.
La sua realizzazione principale è stata la Carta Geologica delle Alpi Piemontesi (al 50.000 ....tanto per confronto con 150 anni fa adesso in molte zone c'è disponibile solo il 100.000 ....)

venerdì 18 novembre 2011

Un convegno sulla Geologia per i 150 anni dell'Italia a Firenze, Venerdì 25 Novembre 2011

Nel quadro dei festeggiamenti per i 150 anni dell'Unità Nazionale Venerdì prossimo la Comunità tecnica, scientifica e professionale dei Geologi si riunirà a Firenze in Palazzo Vecchio. Presento volentieri questo incontro perchè ritengo utile rimarcare come nei primi anni dell'Unità d'Italia, nonostante le ristrettezze di bilancio, lo Stato investì molto nelle Scienze della Terra, intravedendone con lungimiranza le ricadute sia in campo minerario che nelle esplorazioni.


Allora, Venerdì 25 Novembre 2011 si sviolgerà a Firenze, una Giornata di Studi dedicata a “Il Risorgimento e la Geologia Italiana", nella suggestiva cornice della Sala D'Arme di Palazzo Vecchio (e non come anticipato nel Salone dei Cinquecento che serve a Matteo Renzi. Probabilmente se anzichè geologi c'erano altri personaggi non ci sarebbe stato lo spostamento...)
La Giornata di Studi rientra tra i tanti eventi promossi in tutta la Nazione per i 150 anni dell'Unità d'Italia e tra le attività e i progetti che rispondono allo spirito e agli obiettivi promossi dal Piano Italia 2011 dell'Organismo Nazionale di Coordinamento - Dg per il Terzo settore e le Formazioni sociali - Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in coerenza con le linee di indirizzo europee.

La Giornata di Studio si pone l’obiettivo di ricordare le figure dei Geologi e degli studiosi delle Scienze della Terra che hanno contribuito attivamente al Risorgimento e alla vita della giovane nuova Nazione, nonché alla fondazione, delle principali Istituzioni geologiche nazionali.
Verrà ripercorsa l’evoluzione della Geologia italiana nei settori delle Georisorse, delle Esplorazioni, dell’Ambiente e della Sicurezza del Cittadino, dall'Unità d'Italia ad oggi. 
Pertanto si parlerà di alcuni geologi che nel Risorgimento si sono distinti per l'attività patriottica e per il loro ruolo nelle Istituzioni Politiche e nella Scienza e della fondazione di Istituzioni importanti ancora oggi (come la Società Geologica Italiana, il Servizio Geologico d'Italia, il Club Alpino Italiano) e delle spedizioni geologiche all'estero, oltrechè del rilevamento della prima Carta Geologica Italiana. Non mancherà in un luogo simbolo della nascita della Protezione Civile (ricordiamo gli Angeli del Fango dopo l'alluvione del 1966) la storia degli eventi che hanno portato alla nascita del Dipartimento di Protezione Civile della Presidenza del Consiglio.

Da ultimo, una tavola rotonda dal titolo "Per un nuovo Risorgimento delle Scienze Della Terra" nella quale verranno discusse le principali difficoltà che incontrano le discipline geologiche nell'italia di oggi. Speriamo che in futuro questo risorgimento ci sia davvero: con tutti i disastri "naturali" (ma spesso figli di un cattivo uso antropico del territorio) che abbiamo, nel nostro Paese ce ne sarebbe veramente bisogno. Spero di potermi occupare di questo nell'immediato futuro. 

Alla tavola rotonda dovrebbero partecipare fra gli altri, coordinati dal Prof. Casagli dell'Università di Firenze, il presidente dell'ISPRA Bernardo De Bernardinis, il Vice - Presidente dell'Ordine Nazionale dei Geologi Vittorio D'Oriano, il Presidente della Società Geologica Italiana Carlo Doglioni e il Presidente della Federazione Italiana di Scienze della Terra.

Ricordo che nella Sala d'Arme verranno esposti il Plastico della Battaglia di Curtatone, a cura dell’Associazione Fiorentina Battaglie in Scala, e i pannelli con le riproduzioni dei Plastici Geologici del Servizio Geologico d’Italia.
Nel pomeriggio sono previste due Visite Guidate su prenotazione: la prima alle Collezioni paleontologiche e mineralogiche del Museo di Storia Naturale, la seconda alle Collezioni di libri e di cimeli risorgimentali della Fondazione Spadolini - Nuova Antologia sulla collina del Pian dei Giullari.

L'ingresso è libero e prevede l'assegnazione di crediti APC dell'Ordine dei Geologi.
L'evento è patrocinato da Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Protezione Civile, Regione Toscana, Comune di Firenze, Università degli Studi di Firenze, Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), Consiglio Nazionale dei Geologi, Club Alpino Italiano, Società Geologica Italiana, Federazione Italiana di Scienze della Terra, Fondazione Giovanni Spadolini - Nuova Antologia, Fondazione dei Geologi della Toscana.

Il programma particolareggiato è disponibile a questo link.

domenica 13 novembre 2011

Le richieste per un ministro per l'ambiente che sia un tecnico: Ortolani o Casagli, professori di Geologia Applicata

Leggo prese di posizione di WWF, ECODEM (ecologisti democratici) e altri gruppi che si muovono nell'ambientalismio.

Non voglio esprimermi ovviamente qui sulla situazione politica nè su governi tecnici, sulla perdita della sovranità italiana, sulla situazione economica etc etc. Non sono temi da scienzeedintorni, che si occupa di Scienze, Ambiente e cose del genere, non di politica (anche se ovviamente anche io ho una idea politica ma non è qui che ne devo parlare se non quando la pèolitica si rilflette sulla scienza)
Mi limito ad una considerazione: se di governo dei tecnici si deve parlare e devono essere dei veri tecnici, io propongo che il Ministero dell'Ambiente (o se i ministri sono trppo pochi per farne uno, mi auguro che ci sia ancora questo ministero e non ci sia un sottosegretario che se ne occupi) sia occupato da un geologo esperto di dissesti idrogeologici e/o ambientali.
Personalmente mi vengono in mente due nomi

1. il professor Franco Ortolani della Università Federico II di Napoli, molto attivo con pubblicazioni sugli eventi alluvionali
2. il Professor Nicola Casagli dell'Università di Firenze: sempre in prima fila per quanto riguarda le calamità naturali, specialmente nel campo delle frane e dell'assetto del territorio

Qui trovate il curriculum del professor Casagli

Qui una serie di pubblicazioni del Professor Ortolani

Sono entrambi ottimi professionisti. Facciamone magari uno ministro e uno sottosegretario!!!!

venerdì 11 novembre 2011

L'alluvione di Genova del 4 novembre 2011: svolgimento e appunti sull'uso del territorio

L'ultima alluvione di Genova è stata per certi aspetti una fotocopia di quella del 1970. Come ho già detto, al di là che un “errore” c'è stato e molto grave, mi astengo da giudizi sull'allarme in quanto non sono in grado di avere un'opinione certa sullo svolgimento dei fatti né ho materiale sui piani locali di Protezione Civile. Noto invece che molta gente è salita in cattedra indicando colpevoli e/o rimedi senza conoscere quello di cui parla (e soprattutto parlando con il “senno di poi”). Con questo contributo intendo specificamente parlare di come si è svolta l'alluvione e perchè c'è stato questo disastro, facendo notare come senza i gravi errori nell'uso del territorio non ci sarebbero stati grossi danni. Il drammatico è che non si può tornare indietro perchè non è ipotizzabile radere al suolo tutta la zona della foce del Bisagno.

A Genova c'è stato quello che in termini scientifici si chiama un “Flash Flood”: un'onda improvvisa di piena che si genera in un bacino ristretto. In questi ultimi anni abbiamo assistito a molti fenomeni del genere, innescati da delle “bombe d'acqua”: precipitazioni intensissime su un'area molto ristretta che in caso cadano in un bacino molto piccolo fanno dei danni immensi. In questi ultimi anni mi riferisco alla alluvione della Versilia del 1996, a quella di Giampilieri del 2009 e a quelle degli ultimi giorni. Onestamente non ricordo se anche la frana di Ischia del 2006 fu innescata da una bomba d'acqua. Il disastro di Sarno è una cosa ancora diversa, provocata dalla liquefazione di tufi vulcanici non consolidati, un fenomeno che è molto comune attorno ai vulcani indonesiani e andini, per esempio

Quindi limitandoci ai fenomeni di “bombe d'acqua” si nota un minimo comun denominatore: la vicinanza del mare. Evidentemente una temperatura anomala della superficie marina è un fattore importante e sicuramente questa era la situazione nei giorni precedenti il disastro delle 5 Terre.
In questi giorni ne abbiamo avute diverse di bome b'acqua: Genova, le Cinque Terre e la Lunigiana, l'Elba. In tutti i casi è piovuta in poche ore una quantità d'acqua che si avvicina alla metà delle precipitazioni annuali.

Vediamo in particolare quello che è successo a Genova, come per Giampilieri, grazie all'ottimo rapporto del Professor Franco Ortolani dell'Università Federico II di Napoli. 

Premetto una brevissima descrizione dell'idrografia genovese. La “Superba” è una città molto particolare, costruita sui colli immediatamente dietro al primo nucleo del porto ed è di origini molto antiche. Si nota come la sua posizione sia all'incirca nel vertice più alto del Mar Ligure (all'incirca perchè in realtà corrisponderebbe a Voltri, poco più ad est. Le strutture portuali si allungano in una fascia di quasi 15 kilometri. 
Lo spartiacque appenninico è molto vicino, non oltre i 15 kilometri: per esempio Casella, lungo la valle dello Scrivia è appena a 14 km in linea d'aria dal mare; in alcuni punti, come a Masone, poco a Ovest di Genova, addirittura a meno di 5. Le precipitazioni quindi, se le nuvole vengono dal mare, rischiano facilmente di distribuirsi preferenzialmente nella stretta fascia tra la costa e lo spartiacque. 

Quanto ai fiumi, a carattere eminentemente torrentizio, i principali sono 3: da Ovest ad est il Polcevera (lungo 20 km), il Bisagno (lungo 30) (tra questi due si è sviluppato il nucleo della città), e più a Est lo Sturla (lungo 12 km). 

Il Professor Ortolani scrive che la pioggia è iniziata verso le 9.00 del mattino e tra le 9.30 e le 14.30 sulla città sono piovuti oltre 400 mm di pioggia, con una punta di 450 proprio a Quezzi, lungo il Rio Fereggiano, affluente di destra del Bisagno, il torrente che si getta in mare nei pressi della stazione ferroviaria di Genova Brignole e della Fiera di Genova. 
A Vicomarasso, pochi kilometri a nord, ma nel bacino del Polcevera (torrente che si getta in mare al confine fra il centro di Genova e Sestri Ponente), è toccato anche il nuovo record italiano di precipitazioni in un'ora: 188 millimetri. Il bacino del Polcevera è molto più esteso di quello del Fereggiano / Bisagno, per cui ha retto meglio agli eventi.(ovviamente in quanto al Bisagno in questo caso mi riferisco solo alla sezione a valle della confluenza con il Fereggiano.

Il problema è che il rio Fereggiano non ha uno sfogo sufficiente perchè un kilometro e mezzo prima che sfoci nel Bisagno è statto coperto, lungo le vie Fereggiano e Monticelli e la galleria in cui è stato costretto il torrente (di cui vediamo l'imbocco) non aveva la portata sufficiente a contenere la impressionante quantità di pioggia caduta e quindi l'acqua ha dovuto percorrere la strada asfaltata che ne ricopre l'alveo originale. 
L'acqua poi si è riversata nel Bisagno (probabilmente già grossetto di suo) e ha provocato il disastro nella zona tra la ferrovia e il mare. Anche qui perchè l'ultimo kilometro e mezzo circa prima di sfociare in mare è stato coperto: per la seconda volta in 41 anni (la precedente alluvione è stata nel 1970 e me la ricordo benissimo perchè andai poi a Genova essendo stato coinvolto mio zio Umberto) la zona tra Brignole e il mare si è trasformata in un impetuoso torrente. 

Vediamo in questa immagine come il Bisagno è stato coperto fino alla foce a partire dal ponte della ferrovia a Brignole:


E qui casca l'asino: tutta questa area non era stata urbanizzata fino a quando, verso la fine del XIX secolo fu edificata, lasciando il Campo Marzio su cui durante il fascismo fu costruita l'odierna Piazza della Vittoria. In quel periodo (immagino contestualmente alla costruzione della piazza) il Bisagno fu coperto, lasciandogli una sezione capace di fornire una portata di 500 metri cubi al secondo che si è rivelata in queste due ultime alluvioni nettamente insufficiente (e forse lo sarebbe stata anche nel 1822) 

Ora, guardiamo l'immagine della zona:, dove il pallino rosso è la zona della foto qui sopra e quello verde la foce del Bisagno: come vedete la zona alluvionata corrisponde all'area in cui le strade sono tutte ortogonali fra loro, grossolanamente un quadrilatero compreso fra il mare, via Brigate Partigiane, la ferrovia e Via Nizza che però non è rettilinea. 
In più a nordovest c'è la zona di Piazza della Vittoria. 

Tutta l'area corrisponde alla piana del Bisagno, fra la collina su cui è impostato il centro della Città e quella orientale di Albaro, dove i genovesi ricchi avevano le ville “di campagna”. Nella piana c'erano alcuni piccoli borghi tra i quali Borgo Pila e il borgo della Foce, entrambi regolarmente soggetti a problemi da parte del Bisagno, come il 26 ottobre del 1822, quando la piena distrusse anche il ponte di borgo Pila. 

Ho trovato su wikipedia (alle volte è utile!) questa descrizione dell'evento:
La pioggia cominciò la notte di giovedì e continuò per quindici ore consecutive in modo fortissimo. Il venerdì mattina la via tra Genova e Albaro era però ancora praticabile, ma continuando un'acqua dirotta, a dieci ore gli orti del Bisagno cominciarono a convertirsi in lago. Alle undici tutto era sotto l'acqua e l'onda s'andava ancora innalzando. Coll'avvicinarsi del meriggio il cielo si fa più cupo, il fulmine scoppia a brevi intervalli, seguito da tetro rimbombo di tuono, diluvia. L'inondazione guadagna tutta la vasta pianura del Bisagno che appare come una laguna fangosa, dalla quale emergono le sole cime degli alberi e delle case sommerse fino al secondo piano. Mura diroccate, terreni divelti, alberi sradicati, chiese inondate, ponti abbattuti, case rovinate, masserizie travolte e animali annegati

Sul sito Biologia Marina, dove c'è una ottima illustrazione della storia delle alluvioni genovesi, si segnala chealcune fonti parlano di oltre 800 mm di pioggia in 24 ore!

Nel borgo della Foce, a testimonianza della sua “lontananza” dal centro cittadino, c'era anche il lazzaretto. Il territorio era un alternanza di orti e canali di scolo. Ergo, i genovesi hanno costruito la città e le ville sui colli e si sono guardati bene nel passato di costruire nella piana del Bisagno, dove magari sarebbe stato anche più comodo (camminate per Genova e cercate una strada in piano....). e non solo per problemi di difesa militare: sapevano benissimo che ogni tanto il Bisagno alluvionava tutta la valle...

Il Bisagno è uscito dagli argini prima della sua copertura anche negli anni 1892, 1945 (assieme al Fereggiano), 1951 e nel 1992.Anche il Fereggiano era uscito dagli argini nel 1951 (ma non nello stesso evento del Bisagno!)

A dare retta esclusivamente all'idrologia tutta quell'area non sarebbe edificabile. Anzi, sarebbe da abbandonare. Ma non è chiaramente una soluzione possibile. Sperando che non accada mai più, mi chiedo cosa succederà se una prossima volta una bomba d'acqua o precipitazioni troppo forti faranno di nuovo uscire il Bisagno, Ma se la temperatura del mare contnuerà ad aumentare purtroppo certi avvenimenti sono sempre più probabili