mercoledì 6 ottobre 2010

Jean - Baptiste Lamarck: un grande scienziato ingiustamente condannato all'oblio dai suoi contemporanei


Su Jean Baptiste Lamarck (1744 – 1829) è stato steso un velo che lo ha soffocato fino ai nostri giorni.
In realtà è stato uno scienziato molto importante per la storia della biologia, a partire dal nome stesso di questa disciplina, da lui coniato nel 1802.
Fondamentalmente è conosciuto per quello che ha ipotizzato la ereditarietà dei caratteri acquisiti. Ma questo è un aspetto quasi secondario della sua attività scientifica, messo in risalto dai suoi detrattori. Non capisco in effetti come sia stato possibile non riconoscergli il ruolo di padre della classificazione degli invertebrati e quindi non ricordarlo.
Linneo si occupò soprattutto dei vertebrati, lasciando per tutti gli animali considerati inferiori i termini di “insetti” e “vermi” (tra i cosiddetti “vermi” erano compresi tutti i “non insetti”, era quindi un classico “secchio per rifiuti”, come vengono chiamate delle ripartizioni create per metterci tutto quello che non sta altrove).
Lamarck è accumunato nella pochezza del ricordo a un suo illustre predecessore, Georges-Louis Leclerc, conte di Buffon (1708 – 1788), che ai suoi tempi era un uomo rispettato e autorevole. Tra l'altro mi pare sia stato il primo a capire che la Terra è molto più antica di quanto pensi la tradizione religiosa (il cosiddetto “tempo profondo”) ed elaborò un abbozzo della storia della Terra in 7 fasi.

Lamark è stato uno scienziato di primo ordine. Contrariamente a molti naturalisti del suo tempo, che contemporaneamente si occupavano di geologia e di biologia (quando non anche di astronomia) lui di “sassi” se ne è occupato molto poco, se non per niente.
A lui come ho detto dobbiamo la gran parte della sistematica degli invertebrati di cui era un vero specialista ed in effetti era addirittura stato nominato “professore di invertebrati” (non sono sicuro del termine, ma il concetto appare chiaro).
Nessuno prima di lui si era occupato massicciamente dell'argomento, che era ritenuto “inferiore” rispetto agli “animali superiori”. In ogni caso termini assolutamente comuni come molluschi, echinodermi, polipi, crostacei, aracnidi, anellidi e cirripedi sono stati introdotti dal biologo francese.

Su Lamark è poi venuto il silenzio, rotto solo da critiche ad alcune parti dei suoi pensieri sull'evoluzione. Il “merito” di questo va sicuramente a Georges Couvier (1769 – 1832). I due dapprima avevano collaborato attivamente, poi l'evoluzione li divise.
Facilitato nel suo compito dalla classificazione linneiana, si può considerare Cuvier come il fondatore dell'anatomia comparata. Però le strade di Lamark e Cuvier si divisero presto perchè se l'uno era un evoluzionista convinto, l'altro era un altrettanto convinto creazionista (è da notare comunque che l'anatomia comparata è stata una delle discipline che più sono state di utilità per l'affermazione dell'evoluzionismo.

Per quanto riguarda il Lamark evoluzionista, come ho detto, la sua fama (in senso negativo) è dovuta alla sua idea sulla ereditarietà dei caratteri acquisiti. È notissima la sua spiegazione per la lunghezza del collo delle giraffe, che si era allungato via via mentre i genitori trasmettevano ai nuovi nati l'altezza maggiore che avevano raggiunto nella vita.
Un altro principio era quello dell'uso e del non uso (l'atrofizzazione di un organo non usato).
Bisogna dire comunque che l'ereditarietà dei caratteri acquisiti tutto sommato è rimasta viva ben oltre Lamarck... 
Però l'evoluzione nel concetto lamarckiano non era solo questo, anzi.

Fondamentalmente c'erano due meccanismi, uno “verticale” e uno “orizzontale”. Ed è passato alla storia solo quello orizzontale.
Nel meccanismo verticale il biologo francese ha ipotizzato una “forza” che spontaneamente abbia condotto l'evoluzione degli organismi verso l'alto, verso una maggiore complessità, a partire dalla generazione spontanea dei primi microorganismi.
Lamarck ha sviluppato nel corso della sua vita diverse soluzioni, intermedie fra quella con più alberi lineari a quella di un albero solo con ramificazioni. L'albero all'inizio è quanto meno duplice, perchè ipotizzava la possibilità di più “generazioni spontanee” iniziali che procedevano in linea nelle varie classi di animali. Poi ha introdotto qualche ramificazione. In seguito la linearità fu un po' persa e negli ultimi scritti è presente un vero abbozzo dell'albero della vita con importanti ramificazioni ed una origine unica.
Una novità importante è la riduzione dell'uomo ad animale. Logica in un ateo razionalista ma nel momento una conquista (pure se il cristianissimo Linneo aveva in parte contribuito in questo, inserendo l'uomo nei primati e non mettendolo in un regno a sé stante).
Oltre alla linearità verticale per cui da una classe con strutture più semplici se ne genera una più complessa, c'è poi una linearità orizzontale, in cui le specie si adattano a poco a poco all'ambiente (a Lamarck è chiarissimo il concetto di “tempo profondo” e soprattutto quello della impercettibilità dei cambiamenti evolutivi nella scala temporale umana).
E' questa seconda strada che porta sia alla ereditarietà dei caratteri acquisiti che al principio con quello dell'uso e del disuso, secondo il quale l'impiego piú frequente e sostenuto di un qualsiasi organo lo rafforza e ne migliora le prestazioni (se non lo ingrandisce anche), mentre la mancanza costante di uso lo indebolisce e lo deteriora, determinandone alle volte persino la scomparsa.

Diciamo che i punti di vista lamarckiani erano piuttosto avanzati per il suo tempo: senza la genetica era molto difficile capire le differenze fra le cellule sessuali e le altre cellule dei corpi animati.
I problemi di Lamarck, che ne hanno determinato l'ingiusto oblio, sono stati diversi.
Il primo è stato una debolezza intrinseca della linearità dell'evoluzione e cioè questa tendenza naturale della vita a “complicarsi” dai primi esseri unicellulari in poi. Perchè succedeva questo? Qual'era questa forza?
La sensazione era di trovarsi davanti a un qualcosa di “metafisico”, assolutamente non misurabile fisicamente e quindi molto stridente in un perfetto ateo razionalista e meccanicista come lui.

In pratica, il suo “errore” più grande è stato quello di esaltare questa componente verticale a spese di quella orizzontale che, inquadrata successivamente nei meccanismi della selezione naturale darwiniana e nella genetica, si rivela sostanzialmente esatta se solo si pensa che le mutazioni che consentono a degli individui di essere più adatti non vengono fuori dall'adulto, ma sono insite nel suo DNA ed è così che le trasmette alla prole.

Il secondo problema era il carattere: Lamark non era poi un “genio” nelle pubbliche relazioni, tutt'altro. Comunicava con sufficienza e soprattutto “si piaceva” molto, rifiutando per principio critiche alle volte assai fondate.
Ma la cosa determinante è stato lo scontro con Georges Cuvier (1769 – 1832): dapprima colleghi e collaboratori, i due scienziati si sono presto divisi sulla questione fondamentale, essendo Cuvier ricordato come un campione dell'antievoluzionismo e del catastrofismo (anche se come fondatore dell'anatomia comparata ha davvero dato un grande supporto all'evoluzionismo!).
A dispetto di questi gravi errori comunque Cuvier è ancora ben conosciuto e rispettato (ed è un eroe dei creazionisti, specialmente di quelli nostrani).
Cuvier – all'epoca potentissimo – non perse mai un'occasione per demolire il Nostro, sminuiendone persino i contributi importantissimi nella classificazione degli invertebrati (o facendo finta che non esistessero).
Se a questo aggiungiamo il clima della restaurazione post rivoluzionaria la sua sorte era segnata.
Infatti morì solo, cieco e poverissimo. Un triste epilogo per uno scienziato che aveva davvero rivoluzionato la zoologia.
Oggi finalmente si tende a rendere a Lamarck il giusto posto nella storia della Scienza, quello di un grande innovatore nella sistematica ed il primo a rendersi conto della realtà dell'evoluzione, sia pure senza capirne i meccanismi.
Stride infatti la differenza se facciamo un paragone con Alfred Wegener, il primo ad aver ipotizzato organicamente la deriva dei continenti: anche il tedesco aveva capito i fatti ma difettò clamorosamente nella causa che li determinava: nonostante questo il tedesco è sempre stato rispettatissimo.
Vorrei che lo ritornasse anche Lamarck, nonostante i suoi errori, comprensibilissimi per l'epoca in cui ha vissuto.

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