venerdì 30 aprile 2010

Copiate pure scienzeedintorni, ma citate la fonte

Scrivo questo post in un momento in cui avrei qualsiasi altra cosa da fare, specialmente visto che anche se domani è il primo maggio, devo lavorare e tanto.

E' per me motivo di grande soddisfazione che alcuni dei miei post su "Scienzeedintorni" e articoli su "Nove da Firenze" si trovano citati in siti italiani ed esteri o anche su giornali cartacei e che grazie a quello che ho scritto sul blog ho rilasciato qualche intervista, sono stato invitato a scrivere pezzi, commentare qualche avvenimento o ad intervenire a qualche convegno  (anche nella segreta speranza che prima o poi qualcuno mi paghi per scrivere...)
Per non palarlare di chi mi ha chiesto consigli o informazioni.

Anzi, se qualcuno che mi legge potesse mettermi in grado di farlo sarei piuttosto contento..... (un pò di pubblicità non guasta...) 

Ringrazio tutti indistintamente per la fiducia.
Ricordo ancora che i contenuti di scienzeedintorni sono liberamente copiabili per chiunquea patto che venga citata la fonte e oltre a chi mi ha citato senza avvisarmi ci sono molte persone che me ne hanno chiesto gentilmente e specificamente la possibilita, di tutte le idee politiche, scientifiche e religiose.

Ritenendo che le discussioni fra persone di idee diverse siano molto importanti per l'arricchimento culturale mio (e anche di chi mi legge), ho lasciato parlare sempre tutti anche nei commenti dando specifica importanza a chi non la pensa come me (ricordo la splendida dicussione con uno dei progettisti del Ponte sullo Stretto) o con Simonpietro, dedicando alle loro risposte dei post specifici.

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QUESTO PROBLEMA DI CUI PARLO ADESSO E' STATO RISOLTO IN QUANTO L'AUTORE MI HA RISPOSTO SCUSANDOSI.

Adesso però è successa una cosa un pò spiacevole: girando per il web ho trovato una copiatura integrale di alcuni brani di un mio post, quello che scrissi 2 anni fa sul monte Marsili, senza che ne venga cotata la fonte.
L'ho trovato su you tube e su un sito di notizie a opera di tal "orso byanco", di cui poi ho trovato anche la pagina su facebook.


 
Ho trovato tutto questo molto scorretto e ho inviato orsobyanco a modificare i post e gli articoli con la citazione appropriata
Fra l'altro anche alcuni siti che hanno rimbalzato le parole di orsobyanco si sono scusati con me e stanno modificando i loro testi con la citazione giusta (e non con quella di orsobyanco)

Orsobyanco mi ha risposto scusandosi: 

Chiedo scusa, non conoscevo la fonte, in quanto passsatami da un collega. Ho comunque rimediato su YT. 
ovviamente, chiedo a te di modificare il tuo post del venerdì 30 aprile 2010 dul tuo blog dove mi accussi di aver usato (in buona fede per quanto mi riguarda) parte del tuo post. Grazie.

Lo faccio di buon grado.

mercoledì 28 aprile 2010

I vulcani di asfalto a largo della California

I vulcani di fango sono una caratteristica comune in molte zone degli oceani, specialmente lungo le zone di subduzione. Ce ne sono anche sulle terre emerse: è noto in questi anni il problema di una struttura del genere nato da poco in Indonesia, forse per cause antropiche.
In Italia ci sono le “salinelle” vicino a Catania e le Salse di Nirano nell'Appennino modenese.
Su Titano, il grande satellite di Saturno, è accertata l'esistenza di criovulcanismo, cioè vulcani in cui la “lava” è l'acqua.

Ma la scoperta annunciata in questi giorni è veramente strana: a largo di Santa Barbara sono stati trovati dei vulcani di asfalto!
L'asfalto è una sostanza scura e appiccicosa che si trova nel petrolio. Differisce dall'asfalto stradale in cui, asieme all'asfalto vero e proprio, sono aggiunti materiali lapidei anche per aumentare la temperatura di fusione dell'asfalto, troppo bassa per consentirne una certa durata

Passata la sorpresa ho cominciato ad indagare e ho visto che non è esattamente una novità in quanto la prima scoperta di un qualcosa del genere si deve ad una spedizione del 2003 nelle acque dello Yucatan
In questo caso i geologi dell'università di Corpus Christi hanno trovato in una zona di risalita di duomi salini addirittura più di un kilometro quadrato di fondo marino coperto da 3 metri di asfalto (E' strano che Vojager non ci abbia ancora parlato di una civiltà superiore precedente ai Maya e ormai sommersa che usava asfaltare le piazze dei loro villaggi....).

L'asfalto dovrebbe essere uscito dal terreno piuttosto caldo e fluido, visto che la struttura della colata è simile alle fluide lave basaltiche come quelle hawaaiane. Nella zona ci sono anche depositi di gas idrati e sedimenti deposti durante fasi anossiche. Per la formazione di queste colate è stata proposta come causa la presenza di acqua a pressione e temperatura molto alte

E veniamo a Santa Barbara. 10 km a largo della costa, a 200 metri di profondità, già negli anni '90 un geologo californiano, Ed Keller, aveva evidenziato delle strane ondulazioni del suolo, di cui un paio grandi come un campo di calcio e alte come un edificio di 6 piani.
Purtroppo la profondità era troppo elevata per arrivarci con delle immersioni subacquee e quindi si è dovuto aspettare il 2007 quando David Valentine dell'Università della California, con sede proprio a Santa Barbara, ha fatto una ricognizione preliminare, utilizzando l'Alvin, un piccolo (e famoso) sottomarino da ricerca. Valentine vide queste strutture e prese dei campioni. Immagino la sorpresa quando fu dimostrato che di asfalto si trattava e l'interesse è stato tale che nel 2009  è stata condotta una accurata campagna con Sentry, un veicolo automatico della Woods Hole Oceanographic institution, che ha scattato numerose foto e prelevato campioni da queste originali alture.

Alla fine si è visto che la formazione dei vulcani di asfalto del canale di Santa Barbara è avvenuta quando del petrolio è stato eruttato sul fondo marino tra 30.000 e 40.000 anni fa.

I due edifici maggiori sono circondati da piccole depressioni del suolo che dimostrano la provenienza locale del materiale accompagnata da un degassamento, un fenomeno che sia pure a livelli molto bassi, è stato rilevato anche durante l'esplorazione.

Queste eruzioni hanno avuto un forte impatto ambientale, almeno in zona: è stato accertato che durante il parossismo del tardo pleistocene assieme al petrolio è stata emessa una considerevole quantità di gas serra, a partire dal metano e questi fenomeni hanno anche causato gravi danni alla fauna locale. Prossimamente i ricercatori vogliono accertare se e in che misura questi eventi abbiano influito sul clima a livello regionale se non mondiale .

C'è anche da verificare se la frazione più liquida e più leggera del petrolio si sia mossa dal fondo arrivando in superficie

In questa foto Christopher Farwell, Sarah Bagby e David Valentine posano con un pezzo di asfalto recuperato con Sentry

martedì 27 aprile 2010

L'evoluzione dell'eruzione dell'Eyjafjallajökull: situazione più tranquilla con l'arrivo della lava


Innazitutto vanno fatte alcune precisazioni sullo Eyjafjallajökull. Cominciamo dalla pronuncia: “LL” si pronuncia TL, per cui si deve dire eye-a-fyat-la-jo-kutl (possibilmente senza annodarsi la lingua....). Notare che una islandese stessa in un esilarante filmato della ABCnews ha confessato che “la pronuncia è un po' complicata”.

Venendo ad un inquadramento vulcanologico, in questa parte dell'Islanda i magmi presentano spesso delle composizioni differenziate in senso acido, cioè più ricchi in silice rispetto ai basalti: andesiti o addirittura rioliti, in quello che è un perfetto trend teorico di differenziazione magmatica come lo avevamo studiato all'università. Sono comuni nell'area le eruzioni che hanno formato delle caldere (per esempio al Tindfjallajökull, quando nell'occasione è stata pure emessa una spessa ignimbrite). Di fatto tutti i vulcani di questa porzione dell'isola sono degli stratovulcani.

In particolare l'Eyjafjallajökull è uno stratovulcano di forma allungata in direzione E-W, alla cui sommità si trova una caldera larga 2 km e mezzo e su cui si  è impostato il sestio ghiacciao islandese per estensione. Non è uno dei vulcani più attivi dell'isola: l'ultima eruzione nota è del 1821 /1823 (e anche in questo caso furono emesse ceneri in buona quantità). Da notare come nel 1999 ci sia stata una quasi eruzione ma il magma si è fermato prima di arrivare alla superficie: tremori sismici, flusso di calore e misurazioni geodetiche hanno evidenziato questo fenomeno.

Quindi gli avvenimenti di questi giorni sono molto meno anomali di quanto qualcuno avesse pensato. Counque ci sonod elle novità. Mentre continua la bagarre politica sulla interruzione dei voli, su cui evito di pronunciarmi, se non ricordando che esistono varie istituzioni apposite (i VAAC) create proprio per monitorare le ceneri vulcaniche in rapporto al traffico aereo, arriva finalmente la notizia che il vulcano ha cominciato ad emettere lava, cosa che dovrebbe chiudere una volta per tutte questo travagliato periodo per l'aviazione civile e militare.

Ieri pomeriggio è uscito un comunicato dell'ufficio meteorologico islandese e dell'istituto di Scienze della Terra dell'università nazionale in cui si dice che la lava fluisce dal cratere. In realtà la frase esatta è che la lava “continua a fluire in direzione nord", quindi come si ipotizzava è da qualche giorno che succede, ma è la prima conferma  ufficiale del cambio di attività a cui si era iensato già da diversi giorni visto che la fase di emissioni di ceneri sembrava in decrescita notevole ma tremori ed altro no. Il problema fondamentale è che nessuno si può avvicinare per i rischi che questo comporta. Per cui le uniche possibilità sono foto satellitari in quanto lo spazio aereo sopra il vulcano è ancora ovviamente chiuso.
L'eruzione, sia pure a livelli meno virulenti, prosegue  e non ci sono indicazioni di un suo prossimo esaurimento.
Nella giornata di ieri il pennacchio era quasi esclusivamente formato da vapore: di fatto un colore più grigio, segno della presenza di cenere si trovava solo immediatamente al di sopra del cratere. Fra l'altro tra le 12 e le 18 di ieri GMT (quindi tra le 10 e le 16 italiane) la sua cima si è abbassata di quasi un km, da 4.8 a 3.9 km di altezza e non si registrano cadute di cenere neanche nelle vicinanze.

I lanci di cenere e scorie hanno costruito nella vecchia caldera sommitale dello Eyjafjallajokull un cratere che attualmente ha un diametro di 200 metri ed è alto 150.

Continuano ad esserci problemi con gli jokullaups, le piene dei torrenti dovute allo scioglimento improvviso delle nevi in prossimità di attività vulcanica, anche se per adesso non si registrano nuovi fronti

Ci sono altre due novità importanti: movimenti verticali del terreno e un aumento del flusso di calore proveniente da sotto. nella zona del cratere, il tutto perfettamente in accordo con la fuoriuscita delle lave che starebbe uscendo al non disprezzabile ritmo di 20 tonnellate al secondo e di cui non sono ancora disponibili delle analisi. Comunque dovrebbero essere dei basalti. A questo punto la fase a magmi andesitici che hanno dato così tanti problemi.si dovrebbe considerare esaurita (anche se per un'eruzione vulcanica non si possono dare certezze matematiche).
Gli scienziati islandesi rimarcano ancora come il Katla non dia assolutamente segno di risveglio. E evidente che questa strana (e inspiegabile) voce che cicolava qualche giorno del risveglio di quest'altro apparato fa sta ancora girando

Fra qualche giorno cercherò di aggiornare la cronaca postata il 16 aprile con gli ultimi avvenimenti.

La considerazione principale da fare a questo punto è che non ci saranno conseguenze climatiche di questa eruzione a livello europeo o mondiale perchè la quantità di ceneri e gas emessi è troppo bassa per consentirlo. Meglio così.

In Islanda invece qualche problema c'è: a parte le alluvioni causate dai jokullaups, una parte del territorio circostante è coperta di cenere e quindi diventa impossibile il pascolo degli animali e molto difficili le comunicazioni.
Per fortuna non è una zona molto abitata e le conseguenze saranno limitate.

Comunque tranquilli che i catastrofisti rimarranno in agguato, come lo rimangono i soliti noti in stile voyager: veniamo a dei risvolti comici dell'eruzione.
Il primo è un filmato in cui si vede un UFO aggirarsi intorno al vulcano. Il montaggio è comunque molto grossolano e non occorre Paolo Attivissimo per smascherare la burla.

Ci sono poi i bufalai delle scie chimiche che hanno capito come gli americani abbiano sfruttato l'eruzione per continuare ad avvelenare la terra. Non ho ancora trovato la notizia che l'eruzione sia stata provocata dagli americani come era successo per i terremoti di quest'anno. Ma c'è qualcuno che lo teme: c'è chi dice che lo stop al traffico aereo serva per far capire al grande pubblico che gli aerei sono essenziali per la società umana quando in realtà è una attività il cui vero fine resta solo distribuire veleni con le scie chimiche. Altri dicono che c'era bisogno di lasciare campo libero a una gigantesca esercitazione della Nato. Però, come dice uno, l'ipotesi sembra interessante anche se non mi convince del tutto, se fanno esplodere di proposito un vulcano ci deve essere anche dell'altro.

Per una disamina delle principali idiozie sulle cause dell'eruzione dello Eyjafjallajokull basta leggere un post di Davide Bressan.


EDIT a proposito del Katla: ho trovato delle notizie secondo le quli le rare volte che l' Eyjafjallajokull è andato in eruzione, sarebbe stato sempre seguito dal Katla.
Accenni toponomastici: Eyjafjallajokull dovrebbe significare ghiacciaio della montagna- isola mentre Katla è una strega della tradizione islandese

lunedì 26 aprile 2010

Le isole di plastica negli oceani: una bomba ecologica che può avere pesanti conseguenze anche sull'umanità

L'invenzione della plastica fu salutata come una grande rivoluzione per la comodità, la leggerezza e la durata dei manufatti di questa classe di materiali. Qualche anno dopo ci si accorse che oltre ai vantaggi c'erano anche un grosso svantaggio: la lunga durata, che si prolunga ben oltre il periodo di utilizzo del manufatto, ha come principale conseguenza la bassa degradabilità del materiale non più utilizzato per cui negli ultimi anni si è avuta una grande attenzione attorno al problema del riciclaggio delle materie plastiche.

Purtroppo con il riciclaggio non si può trattare quanto si è prodotto nel passato e non comprende ancora tutto il materiale attualmente lavorato che, quando non termina il suo ciclo di vita in questo modo, dovrebbe finire nelle discariche o in altri sistemi di smaltimento. Ma non è sempre così e un po' di materiale passa nel ciclo delle acque, finendo prima o poi in mare, dove un buon 30% soprattutto per la forma e la densità abbastanza bassa galleggia sulle superficie. Se da un lato così si elimina almeno in parte il problema di una deposizione delle plastiche sui fondi marini, il continuo scarico in mare di oggetti simili, volontario o fortuito che sia, li rendo oggetti relativamente comuni specialmente lungo le coste.

Circa il 10% delle plastiche prodotte finisce, deliberatamente, per incuria o per accidenti naturali nella idrosferai e quindi ogni anno si accumula sulla superficie dei mari il 3% del quantitativo, all'incirca 3 miliardi di tonnellate di polimeri la cui durata è stimata in centinaia di anni.

E' universalmente noto come i sacchetti di plastica arrechino gravi danni ai mammiferi marini, che non di rado muoiono soffocati, ma c'è un aspetto molto interessante e sconosciuto ai più: con il continuare della loro dispersione in mare i rifiuti si stanno raccogliendo in alcune zone  acausa del gioco delle correnti marine. Nell'Oceano Pacifico c'è una zona in cui l'accumulo è notevole, nota come “pacific trash vortex”, estesa per un diametro di 2500 kilometri.

E' la zona del Great North Pacific Gyre, una circolazione innescata dalla corrente equatoriale che si muove vero est e che prima di incontrare le coste asiatiche scorre verso nord per poi completare il giro tornando verso est, una traiettoria spiraleggiante dalla quale i rifiuti galleggianti che ne vengono coinvolti non riescono più ad uscirne.

L'accumulo ha cominciato a formarsi una cinquantina di anni fa e da allora è sempre cresciuto a un buon ritmo: le correnti sono molto efficaci a catturare la spazzatura e si calcola che da quando un rifiuto galleggiante entra in mare passa qualche anno per fermarsi nella zona centrale, mentre se parte dalla costa asiatica l'intervallo scende a pochi mesi, un anno circa.

Chiaramente nel vortice arriva di tutto, a partire dai rifiuti vari prodotti direttamente in mare dalle navi da crocera (dove sono presenti contemporaneamente migliaia di persone) e altro. Però le plastiche sono il componente principale a causa della loro natura: il problema fondamentale è che se i rifiuti di origine biologica si biodegradano e in qualche modo alla fine vengono totalmente distrutti chimicamente o assorbiti come cibo dagli organismi marini, la plastica nel fotodegradarsi pone un limite alla sua disintegrazione in pezzi sempre più piccoli, che non può andare oltre la è dimensione dei singolo polimeri. Queste particelle galleggiano e siccome assomigliano terribilmente agli animali che compongono lo zooplancton, entrano nella dieta di quelli che si cibano di questa risorsa e di consegenza nella intera catena alimentare.

Di fatto, la parte più centrale del Pacific Trash Vortex risulta molto impoverita nelle forme di vita e non si esclude che l'accumulo di polimeri plastici nei tessuti animali sia una delle cause principali di ciò.

Sulla effettiva presenza di una isola di rifiuti ci sono versioni molto discordanti, anche secondo le dimensioni, che vanno da un'area racchiusa in un cerchio di 1000 km di diametro fino ai più pessimisti secondo i quali l'area ha un diametro di oltre 4000 km, oltre il 5% della intera superficie dell'Oceano Pacifico

Le stime diverse sono dovute alle difficoltà di vedere effettivamente anche con le immagini satelllitari le plastiche rimpicciolite ma soprattutto perchè non c'è un ammasso unico visibile in superficie essendo una situazione “dinamica”: la densità massima in alcune zone in altre può diminuire. Inoltre, anziché un singolo massimo di concentrazione, potrebbero essercene due, uno più spostato verso il nordamerica e l'altro verso l'Asia.

Recentemente è stata accertata la presenza di una situazione simile anche nell'Atlantico tra Caraibi, Bermuda e Azzorre, dove si raggiungono valori di 200.000 pezzi per kmq. Essendo più stretto del Pacifico, l'oceano Atlantico può essere considerato ancora più vulnerabile del Pacifico. 
Nell'immagine a fianco sono illustrate le zone più a rischio a causa delle correnti. Come si vede le isole della spazzatura finora riconosciute coincidono perfettamente con 2 delle 5 aree arischio e sono quelle più vicine ai Paesi industrialmente sviluppati.

In sostanza i timori principali sono per i grandi cetacei (le balene quando pascolano assorbono tutto) e per gli animali ai vertici della catena come uccelli marini, i cetacei con i denti e i più grandi pesci predatori

Proprio in questi giorni all'inquinamento da plastiche è stata attribuita la moria di giovani cetacei nel pacifico nordorientale e non è per niente raro trovare nello stomaco di animali morti manufatti in questi materiali.

Il problema è grave anche per gli esseri umani, dato che la pesca fornisce una buona parte del nutrimento per uomini e anche per animali da carne. Purtroppo, mentre il problema si ingigantisce di anno in anno, allo stato attuale non ci sono le possibilità per disinquinare gli oceani dalla plastica.

Occorre comunque attivare i governi per eliminare quanto più possibile i materiali non biodegradabili e/o quelli che possono far assorbire materiali tossici alla fauna marina.

giovedì 22 aprile 2010

Terremoti, vulcani e mass-media

Mi riallaccio al post scritto da poco su scienza e comunicazione perchè il risvolto mediatico delle ultime vicende sismiche e vulcaniche meritano una certa attenzione

Il 13 aprile si è verificato un terremoto piuttosto forte in Cina, di poco successivo a quello della Baja California. Dopo la catastrofe di Haiti, dovuta ad una scossa di magnitudo simile a quella cinese (7.0 contro 6.9) e il terremoto in Cile che è entrato agilmente nella “top ten” dei terremoti da quando esistono le registrazioni, è diffusa nel grande pubblico l'opinione che quest'anno soia caratterizzato da una attività sismica anomalmente alta. Persino nell'Australia sudoccidentale si è registrato una scossa di 5.2 (in Australia i terremoti sono poco frequenti ma raggiungono alle volte intensità molto elevate)

Nella classe di magnitudo tra 5 e 6 la cosa è vera, ma l'anomalia è dovuta alle repliche associate al terremoto cileno, che continuano a tutt'oggi in quella classe dimensionale: se togliamo l'area della rottura del 27 febbraio, nel resto del mondo la situazione è nella norma.

Discorso diverso se andiamo a vedere il numero di terremoti con M=7 o superiore. In media dal 1900 ne avvengono 16 all'anno (quindi più di uno al mese: uno ogni 23 giorni!), un valore medio soggetto ad oscillazioni molto estese: si sono registrati da un minimo di 6 (1986 e 1989) ad un massimo di 32 terremoti del genere nel 1943, quindi tra la metà e il doppio del valore medio.
Veniamo al 2010: quest'anno di terremoti con M uguale o maggiore di 7 ne sono avvenuti già 7, quindi in media uno ogni 15 giorni, il che proiettando questo valore sui 365 giorni porterebbe la cifra annuale a 24 eventi, un livello ragguardevole, anche se pur sempre compreso nel range giusto.
Guardando gli ultimi 365 giorni, ci sono stati 13 eventi del genere e quindi, se non fosse per il primo quadrimestre 2010, l'attività sismica degli ultimi 12 mesi sarebbe addirittura ai minimi storici: nel 2009 il numero totale è 11, di cui ben 5 nel primo trimestre.
E infine, sommiamo i dati del 2010 fino ad oggi con quelli del 2009: abbiamo 18 eventi, uno ogni 26 giorni. Quindi l'attività del primo quadrimestre del 2010 non ha fatto altro che recuperare il basso livello del 2009. Resta comunque che in questo inizio di anno il livello è stato davvero piuttosto alto, sia pure all'interno della normale variazione dei valori, che come si vede è piuttosto ampia.

Niente quindi di drammatico.

Da dove deriva la consapevolezza di una forte attività sismica in questo periodo? Cominciamo con l'osservare la localizzazione dei sismi più forti: una buona percentuale avviene nel Pacifico sudorientale, in un'area essenzialmente intraoceanica, con poche isole e pochi abitanti e quindi non c'è nel grande pubblico la consapevolezza che sia avvenuto qualcosa: ad esempio alzi la mano chi, tolti gli addetti ai lavori e gli appassionati del genere, sapeva in corrispondenza del terremoto di Haiti che c'era appena stato il 3 gennaio un 7.2 alle isole Salomone, in cui oltre ai danni si era verificato uno tsunami di circa 3 metri di altezza.
La percezione della forte attività sismica in questo periodo è anche dovuta al numero di sismi avvenuti in zone “giornalisticamente” importanti (la parte più abitata del Cile, Haiti – soprattutto per le dimensioni della catastrofe – la California etc etc): se due scosse con M=7 sono distanziate anche di 2 mesi, un tempo quasi triplo rispetto alla media, avvengono in due zone importanti dal punto di vista mediale, la sensazione è che sia un momento molto agitato. Se ne avvengono 3 in un mese tra Salomone, Tonga e Kermadec (cosa peraltro successa) non se ne accorge nessuno.
Il terremoto della Baja California, invece, ha avuto una eco mediatica enorme, compresi filmati girati in diretta, immediate immagini della scarpata generata dall'evento, numerosi rapporti sui movimenti del suolo etc etc. Eppure mi pare di ricordare che ci son stati non più di 5 morti.

La stessa cosa si può dire sull'attività vulcanica.

A parte il can-can suscitato dalle dichiarazioni di Boschi sul Marsili (è molto triste pensare di poter ricevere finanziamenti per studiare un vulcano così solo annunciando gravi minacce...) quest'anno di vulcani finora si era sentito parlare molto poco.
E senza internet probabilmente non avrei neanche saputo niente da due anni a questa parte sulla eruzione, così importante e caratteristica, del Chaiten. Ora accade che si sveglia l'Eyjafjallajokull e nessuno dice niente sui giornali (al solito, tutte le notizie sono state apprese tramite siti specializzati): poi cambia lo stile eruttivo, si blocca il traffico aereo e giù notizie sui vulcani.

Però nessuno ha riportato che proprio in queste ore nelle isole Vanuatu, 3000 persone sono state fatte sfollare dall'isola di Gaua dove il vulcano locale rischia di fare grossi danni,
Quanto al traffico aereo, chi frequenta abitualmente le rotte tra Indonesia, Filippine, Kamchatka e le Aleutine (quindi tra Asia Orientale e USA) sa benissimo che una buona parte dei voli subiscono deviazioni a causa delle frequenti eruzioni con formazione di penacchi di cenere.
Ma, al solito, sui giornali queste notizie non passano, come nessuno, neanche i volatori abituali, sanno dell'esistenza dei vari VAAC (Volcanic Ash Advisor Center) sparsi per tutto il mondo, una rete di osservatori che tramite immagini satellitari, rapporti di piloti e altre osservazioni monitorano l'evoluzione dei plumes vulcanici proprio come supporto alla navigazione aerea. Segno che il problema era noto all'aviazione civile e militare da ben prima dell'eruzione islandese.....

venerdì 16 aprile 2010

Gli imprevedibili sviluppi dell'eruzione dello Eyjafjallajokull. Cronologia dell'eruzione fino ad oggi

L'eruzione dello Eyjafjallajokull sta prendendo una piega inaspettata fino a pochi giorni fa, quando sembrava esaurita nonostante le perplessità di molti che non credevano alla sua fine. e difatti si è aperta una nuova bocca a una certa distanza dalprimo luogo dell'eruzione.

I vulcani islandesi in generale sono molto tranquilli: emettono lave molto liquide quindi anche se contengono una notevole quantità di gas, non provocano esplosioni (tranne che qualche collasso calderico). Nel mare magnum di lave basaltiche esistono anche alcuni esempi di prodotti più differenziati, riolitici, limitatamente alla zona meridionale.
Ogni tanto, come proprio in questi giorni, succede che da questi vulcani si riversino in atmosfera un enorme quantitativo di ceneri. 

Un altro rischio che presentano è quello dell'improvviso disgelo di una massa di ghiaccio provocato dal magma che erutta al di sotto. E la cosa non è improbabile, visto che i ghiacciai coprono l'11% della superficie dell'isola.
Anche l'Eyjafjallajokull in questo mese ne ha provocati due. Negli anni'90 ce n'è stato uno piutosto grave sempre in Islanda. Il caso più grave degli ultimi anni è quello del Nevado du Ruiz, il cui risveglio causò l'alluvione che distrusse la cittadina di Armero, nel 1985. Il fenomeno è talmente comune in islanda che la lingua locale li definisce con un termine specifico: jökulhlaups. Particolarmente noto quello del 1918 causato dall'eruzione del Katla, proprio vicino all'Eyjafjallajokull: la massa di acqua e la sua violenza trascinò in mare una quantità di sedimenti tali da far avanzare di  4 km la linea di costa.


L'Islanda altro non è se non l'unica parte emersa della dorsale medioatlantica. Per essere emersa è evidente che sotto all'isola ci sia una zona in cui la produzione di magmi è molto più elevata rispetto al resto della dorsale.

Le eruzioni dei vulcani islandesi hanno avuto spesso delle conseguenze sul clima europeo: in particolare l'eruzione del Laki nel 1783 che fu una degli episodi più drammatici della storia dell'isola. Diversi fattori contribuirono a questo. Innanzittutto l'enorme quantità di magma,quasi 15 km cubici di materiale. A questi ovviamente si devono associare le ceneri ma soprattutto i gas: decine di milioni di tonnellate di gas contenenti zolfo ammorbarono l'atmosfera e provocarono la morte dei vegetali e, di seguito, quella dei bovini. Per cui morì anche buona parte della popolazione.
Soprattutto, la eccezionalità dell'evento sta che non ha interessato un vulcano preesistente, ne ha formato un nuovo cono: l'eruzone ha formato tutta una serie di crateri lungo una frattura di parecchi km: è stata quindi provocata dalla risalita di una bolla di grosse dimensioni con il magma che probabilmente è riuscito a incunearsi lungo molte delle fratture della crosta più superficiale di quell'area dell'Islanda.
Le conseguenze di questa eruzione non si sono limitate all'Islanda: nel mentre che si vocifera di alterazioni del clima monsonico in Asia orientale, è sicuro che le ceneri si sono diffuse in una buona parte dell'Europa occidentale, dall'Inghilterra alla Slovacchia. Quella estate è infatti nota dalle cronache inglesi come la sand-summer). Le ceneri formarono una nebbia tale da bloccare le navi in porto nei giorni successivi all'8 giugno. L'eruzione si concluse nel gennaio dell'anno successivo. Ne seguirono un clima particolarmente strano e un aumento della mortalità, specialmente per chi aveva già problemi respiratori.

Qualche tempo fa ho letto la cronaca di quei giorni a Parigi, scritta da Benjamin Franklin, che era stato inviato in Francia come diplomatico. L'americano si lamentò di una nebbia sulfurea che avvolse la città in una cappa per tutta l'estate e gli faceva bruciare gli occhi. In quell'epoca non c'erano aerei, ma proiettandola alla situazione attuale quella eruzione avrebbe provocato parecchi giorni di interruzione dei voli, non tanto per la visibilità, quanto per i rischi di particelle molto abrasive disperse nell'aria e che avrebbero di conseguenza danneggiato le turbine degli aerei.
Nel Nordamerica, non raggiunto dalle ceneri a causa della circolazione dei venti, le conseguenze ci furono nell'inverno successivo, il più freddo della storia degli Stati Uniti almeno nel New England, inverno che fu molto freddo anche in Europa, seguito ad un'estate in cui aumentarono anomalmente i temporali.

Ci sono altre possibili correlazioni fra i vulcani islandesi ed il clima in Europa: per esempio un clima piuttosto freddo è associato all'eruzione dell'Hekla del 1159 AC.

Considerando che da molti giorni si susseguono colate di fango alimentate dallo scioglimento dei ghiacciai e che oltre ai detriti vengono trasportati persino blocchi di ghiaccio, la situazione nell'area è veramente difficile.
 
Intanto cominciano i primi allarmi sulle possibili conseguenze climatiche dell'eruzione. Ritengo che sia troppo presto per farlo, ma se l'eruzione continuasse ancora con questa violenza, allora gli allarmi potranno essere senz'altro più fondati.

Vediamo adesso la cronologia di questa eruzione, grazie alle descrizioni puntuali di Erik Kemetti e di Ralph Harrington. E' molto interessante vedere come alla fine di marzo si stava concludendo quella che poi è diventata chiaramente una prima fase dell'attività, che poi si è spostata altrove.

3 marzo: arrivano le prime notizie su un possibile risveglio dell'Eyjafjallajökull. Uno sciame sismico con una intensità massima di M=3 si è scatenato all'inizio del mese nella zona. Ci sono anche delle deformazioni nel terreno. Il tutto segue ad una certa attività sismica nell'oceano a sud dell'isola, lungo la dorsale di Rejkyanes
19 marzo: molte scosse sismiche nella zona dell'Eyjafjallajökull. Gli ipocentri stanno progressivamente diventando sempre più superficiali. L'eruzione è considerata imminente
20 marzo: inizia l'eruzione: sulle pendici dell'Eyjafjallajökull si produce una frattura lunga 500 metri dove si collocano alcune fontane di lava. Dal 4 marzo l'area era sottoposta a intensa deformazione (anche 1 cm al giorno). Per fortuna il magma si apre la strada in una zona priva di ghiacci
21 marzo: per precauzione viene chiuso lo spazio aereo islandese
22 marzo: si produce un pennacchio che arriva a 8.000 metri di altezza
24 marzo: i vulcanologi islandesi commentano che questa eruzione potrà continuare per diversi mesi. La zona attorno alla frattura si riempie di webcam per la gioia degli appassionati, mentre il pennacchio è decisamente in ribasso
29 marzo: “business as usual”
31 marzo: si apre una seconda fessura da cui fuoriesce magma

3 aprile: le due vene continuano a eruttare con una folla di turisti a guardare
7 aprile: l'attività eruttiva è in netto calo

 12 aprile: l'attività sembra terminare. La cosa come dice Erik klemetti, è un po' strana perchè le eruzioni lineari di solito durano parecchi mesi. L'autore di “volcanism” così si chiede se è possibile che il magma abbia trovato un'altra via e che nei prossimi giorni succederà qualcosa
13 aprile. Una serie di piccole scosse sismiche viene registrata nella zona del ghiacciaio in corrispondenza dell'Eyjafjallajökull. Le autoritò, piuttosto preoccupate, stanno pensando all'evacuazione della popolazione. C'èquindi la sensazione che le cose stiano peggiorando
14 aprile: si avverano i peggiori timori: il magma ha trovato una nuova via d'uscita sotto il ghiacciaio Eyjafjallajökull. Inizia l'emissione di una forte quantità di cenere. Sul ghiacciaio si apre un cratere di 220 metri di larghezza. Il pennacchio comunque p costituito soprattutto da vapore (l'acqua del ghiacciaio)
15 aprile: mentre il pennacchio raggiunge l'altezza di 8.000 metri, per la prima volta gli effetti dell'eruzione si sentono anche fuori dall'Islanda:  nella foto si vede distintamente la nube vulcanica, orientata verso SE che contrasta con la perturbazione praticamente perpendicolare posizionata sulla Norvegia. Vengono evacuati i pochi abitanti della zona. Sembra che di lava ce ne sia poca e che il pennacchio nasca dalla presenza di una ingente quantità di acqua
16 aprile: si espande la zona di interdizione dei voli a quasi tutta l'Europa Centrale. Praticamente solo nella UE restano aperti i soli spazi aerei di Italia, Spagna Portogallo, Romania (ancora per poco?) e Grecia.

Mentre scrivo arriva la notizia di una possibile chiusura anche dei cieli italiani.
L'ufficio meteorologico islandese precisa che il pennacchio sopra all'Eyjafjallajökull continua ad essere alimentato, arrivando a 5 km di altezza e a causa dei venti da NW migra fino ad essere riconosciuto su norvegia, Svezia, Russia nordoccidentale, Polonia,Germania, Francia e Inghilterra. Non c'è alcuna indicazione di una diminuzione della produzione di cenere né dell'intensità dei venti. Un comunicato poco tranquillizzante, quindi, nonostante la riduzione dell'altezza.



comunicare la Scienza in italia. Perchè è difficile?

Gianluigi Filippelli di ScienceBackstage in questo momento è impegnato in un workshop dal titolo “comunicare fisica”. Ha chiesto a diversi blogger di scrivere qualcosa sulla comunicazione scientifica. Anche se notoriamente la fisica per me è una materia un po' indigesta (se si toglie quella “di base” ) rispondo volentieri all'invito, incentrando la cosa restando sulle generali o intervenendo su argomenti che tratto su “scienzeedintorni”.

C'è da chiedersi se il grande pubblico voglia comunicazione scientifica o no. Fondamentalmente direi di si, se programmi come Superquark sono collocati in prima serata.
Però accanto a trasmissioni molto valide ce ne sono altre molto meno valide: vedere denaro pubblico investito in programmi come Voyager grida vendetta. Ripeto qui un commento da parte di una professoressa al mio post su questa trasmissione: Sono insegnante di scienze delle medie, non ho visto il programma, ma me ne hanno parlato i miei alunni di 12 anni.I ragazzi avevano bevuto tutto come oro colato. Non si scherza con questi argomenti, posso dire che la televisione pubblica con questi programmi danneggia gravemente la cultura scientifica (se c'è mai stata in Iatlia). Inutile farsi illusioni: nonostante la discussione in classe, i ragazzi continueranno a credere a quanto ha detto la TV.

Per quanto riguarda le notizie l'impressione è che l'informazione e la comunicazione scientifica rimangono fini a se stesse per il mondo “esterno” nel senso che quotidiani e rotocalchi se ne occupano solo in occasione di alcuni fatti ma in genere non trattano il settore con sistematicità, almeno in Italia.
E soprattutto, oltre che in quantità, in tutti i media generici – cartacei, via etere o on-line che siano – c'è oggettivamante una bassissima qualità delle notizie. Non è un problema solo italiano ma nel raffronto fra il modo in cui trattano fatti scientifici i media americani o inglesi e quelli italiani spesso si evidenzia una differenza abissale, figlia della bassa alfabetizzazione scientifica di chi redige gli articoli.
Quella stessa bassa alfabetizzazione scientifica grazie alla quale in Italia si generano le paure più irrazionali o le voci (pare molto fondate, purtroppo) di iscrizione nel registro degli indagati per omicidio colposo a carico di Enzo Boschi che avrebbe sottovalutato gli effetti premonitori del terremoto abruzzese di un anno fa.

Un altro esempio classico sono le cellule staminali, dove si fa un can-can mediatico terrificante sulla questione morale quando è stato dimostrato che quelle embrionali servono solo per la ricerca (e sono ottenibili in modo eticamente corretto) mentre per curare gli adulti le cellule embrionali non solo non servono, ma sono pure dannose.

Un grosso problema dello scienziato è che è abituato a parlare dei suoi argomenti con persone che lo capiscono perchè hanno lo stesso background intellettuale. E spesso difetta nel comunicare chi non è del settore. Maggiore prova non può esserci che esaminare nelle pubblicazioni – specie se “di nicchia” – alcuni titoli che spiazzano quasi totalmente chiunque abbia delle conoscenze marginali su un certo argomento. Inoltre molti lavori scientifici sono scritti davvero male.
C'è da chiedersi perchè succede questo. Solo perchè da parte di chi redige un articolo c'è la convinzione che quanto scrive non interessa ad altri se non ad esponenti della propria branca? C'è forse la supponenza di dare per scontate delle cose che scontate non sono? Fa semplicemente fatica scrivere più chiaro? Oppure comunicare la scienza è molto più difficile che comunicare materie umanistiche? E via discorrendo...
Quindi gli uomini di Scienza devono imparare a comunicare di più (e ad avere  la voglia di farlo!!), ma soprattutto meglio perchè una migliore comunicazione porta fatalmente anche all'aumento delle occasioni per farlo. Soprattutto occorre interessare chi legge.
Ne ho parlato ieri sera con degli amici in margine ad un incontro di “caffèscienza”, un luogo in cui gli scienziati incontrano il pubblico. C'è la sensazione che spesso manca proprio la “voglia” di comunicare al grande pubblico.

Troppo spesso le Scienze sono considerate cose “difficili” e lo scienziato viene visto come un personaggio strano, chiuso in se stesso. Probabilmente oltre alla mancanza di voglia c'è anche la tristezza di essere considerati una cultura di serie b, una reazione alla condizione specifica del nostro Paese, in cui a causa dell'impronta tipicamente umanistica voluta da Croce e Gentile e mantenuta ancora oggi dai loro epigoni, in cui la Cultura con la “C” maiuscola è quella Letteraria / Storica / Artistica mentre la scienza e la tecnica sono culture minori (iniziali maiuscole e minuscole non sono assegnate in maniera casuale).

Certo non è facile parlare della Teoria delle Stringhe (anche io evito semplicemente di leggere cose su questo argomento....) ma fisica, astronomia, chimica, scienze della Terra e della vita hanno sicuramente tutte degli argomenti generali che possono essere compresi da tutti.
Sapere le cose non vuole dire saperle comunicare e lo si vede anche a scuola e all'università, dove alle volte un docente preparatissimo in qualche modo non riesce a comunicare la sua esperienza e il suo sapere all'aula. Questo avviene in tutti i campi ma la cosa si rende più evidente quando si insegnano materie scientifiche. Figuriamoci se si deve comunicare ad un pubblico “generico”

Veniamo a Internet. Ho sempre sostenuto che la Rete è ottima per informarsi, ma che per formarsi servono sempre i cari e vecchi libri. Ma devo dire che proprio grazie alla fioritura di siti scientifici più o meno specializzati(caratteristica importante della comunicazione scientifica nell'ultimo decennio), internet ha accresciuto di diversi ordini di grandezza la capacità di circolazione più che delle idee, della cronaca scientifica quotidiana. Limitandomi all'ambito della mia laurea, le Scienze della Terra, vedo in tempo reale i terremoti sui siti del nostro INGV e del Servizio Geologico degli Stati Uniti, la situazione meteo, grazie a Erik Klemetti so tutto sull'attualità vulcanica, e collegandomi a diversi siti scientifici ho come un quotidiano di notizie scientifiche, cosa impensabile fino a pochi anni fa.
Però anche in rete bisogna saper scegliere i siti giusti: le bufale sono 2vendute” alle volte meglio di cose serie....

Semplificando, questo, il mitico "olelog" e gli altri blog che circolano in rete (come proprio Science Backstage) sono proprio figli di questa fioritura e dipendono molto dalla Rete e dalle notizie che vi scorrono. Non solo, ma anche la comunicazione fra i blogger è un fenomeno molto interessante, soprattutto però in termini di crescita personale di ciascuno. Ma se il blogger non avesse una preparazione scientifica adeguata non avrebbero il minimo significato.

lunedì 12 aprile 2010

Le dispute per l'acqua: 1. il Mekong ed i timori degli stati indocinesi per le dighe costruite e costruende dalla Cina

Con questo post introduco un argomento su cui vorrei tornare spesso: le acque dolci terrestri. Quando si dice che l'”oro blu” diventerà in futuro una causa di dispute di ogni ordine e grado (finanche guerre) non ci si riferisce solo alla questione della loro gestione pubblica o privata, ma anche al rischio di vere e proprie guerre combattute per le risorse acquifere. Per noi italiani, che non condividiamo le nostre risorse di acqua dolce con altre nazioni (a parte il corso superiore del Ticino e qualche caso nel Carso), il problema può sembrare secondario. Invece non lo è, visto che nel mondo sono molti e spesso importanti i bacini fluviali condivisi fra più nazioni. E chi sta a monte ha spesso il coltello dalla parte del manico. In alcuni casi viene accusato di prelevare troppa acqua, in altri di scaricarvi tutti gli inquinanti regalandoli alle nazioni della parte inferiore del corso.




Un caso attualmente alla ribalta riguarda il Mekong. Non si sa ancora bene quanto sia lungo il corso del fiume più importante dell'Indocina, perchè non c'è ancora un accordo unanime su quale sia sul Tibet il suo braccio principale. Sicuramente con i suoi oltre 4800 km manca di poco la Top Ten dei fiumi (è 11°). Attraversa Cina, Myanmar, Thailandia, Laos, Cambogia e Vietnam.
Le forti variazioni stagionali delle piogge contribuiscono a rendere la sua portata molto variabile. In questi giorni il Mekong è alla ribalta perchè fra la Cina e gli stati indocinesi c'è una delle tante “guerre dell'acqua” che si combattono sul nostro pianeta: molte organizzazioni hanno dato la colpa alla Cina per il basso livello del fiume, giunto in questa stagione ai minimi storici.
Così, i governi indocinesi sono terrorizzati dai progetti cinesi che hanno l'intenzione di costruire nella parte alta del suo corso una serie di dighe in aggiunta a quelle esistenti, temendo una drastica diminuzione delle risorse idriche per 60 milioni di persone che dal Mekong traggono non solo acqua, ma anche in generale una buona parte del loro sostentamento economico, energetico ed alimentare (la pesca in questo fiume è la più grande del mondo nella categoria): secondo loro le dighe che il governo di Pechino ha costruito e vuole costruire oltre a regimare il fiume e produrre energia idroelettrica serviranno ai cinesi per prelevare acqua e inviarla altrove, fuori dal bacino del fiume. Questi timori sono realistici, sia a causa del comportamento disinvolto del governo cinese nei temi ambientali (e soprattutto delle acque), sia perchè una vasta regione della Cina meridionale è attualmente in preda alla siccità.
Un primo segno delle difficoltà è il passaggio di molti laotiani dalle attività di pesca a quelle agricole.
Vietnam, Thailandia,Laos e Cambogia già nel 1995 avevano costituito la “Mekong river Commission”, che ha raccolto l'eredità del Mekong Committee, istituito dalle Nazioni Unite nel 1957. Nel 1996 Cina e Myanmar sono diventate partners esterni senza aderire formalmente alla commissione. Lo scopo di questa organizzazione è la promozione dello sviluppo sostenibile di questa importante arteria fluviale, dopo decine di anni di conflitti che avevano insanguinato la regione. Fra gli scopi c'è la tutela della risorsa – acqua non solo dal lato quantitativo, ma anche qualitativo, essendo il Mekong un fiume molto inquinato, ed energetico. Per quanto concerne l'inquinamento, è chiaro che la bassa regolamentazione degli scarichi industriali è un grosso fattore di rischio ed ha dato un contribuito fondamentale alle difficoltà per la sopravvivenza di una serie di specie animali, a partire dal delfino fluviale del Mekong. I valori di arsenico sono impressionanti (e interessano anche, purtroppo, le falde acquifere) e quelli di metalli pesanti pure. La situazione è molto peggiorata negli ultimi 15 anni. 

Le quattro nazioni avevano in passato sottolineato come la regione è una delle più vulnerabili al mondo a causa dei cambiamenti climatici, per l'alta concentrazione di popolazione, la bassa regolamentazione dell'uso del territorio con relativi alti tassi di inquinamento e la bassa capacità dei governi di incidere decisamente sulla situazione. Gravi sono i rischi sia durante i periodi di piena, con frequenti alluvioni, sia durante le magre, durante le quali la navigazione diventa difficile e la concentrazione di inquinanti nelle acque assume valori preoccupanti.


In questi giorni si è svolta la prima conferenza della MRC, in Thailandia, a cui hanno partecipato i primi ministri della 4 nazioni e il vice primo ministro cinese. Nel corso del meeting i cinesi si sono impegnati a fornire informazioni sulle manovre delle dighe (segnatamente durante la stagione secca) ed è la prima volta che succede: fino ad oggi nulla avevano fatto trapelare su questa materia. È un fatto importantissimo. Speriamo che dalle parole derivino i fatti e che l'impegno internazionale serva a disinnescare questa bomba, potenzialmente devastante per l'intera Indocina.

venerdì 9 aprile 2010

De Mattei e i creazionisti nostrani: uno può anche esere ateo ed evoluzionista, basta che parli male di Dawin....

«L’evoluzionismo, è un ibrido connubio fra una teoria filosofica e una teoria scientifica, che è impossibile dissociare». É una delle principali conclusioni di uno spettacolare articolo che De Mattei ha scritto per Il Giornale (e forse lo stesso è comparso pure su “il foglio”), insieme ad altre osservazioni totalmente sbagliate, un misto fra filosofia e biologia spicciola, molto spicciola, scrivendo il quale il vice-presidente del CNR dimostra di avere gravi lacune in campo scientifico.

L'occasione gli viene data dall'uscita di un libro di cui si sta dibattendo molto: “Gli errori di Darwin”, scritto da Jerry Fodor, filosofo e studioso del linguaggio e da Massimo Piattelli Palmarini, professore di Scienze Cognitive all'Università dell'Arizona. De Mattei titola “Darwin non aveva ragione: lo dicono anche gli atei”.
Annotando che, al solito, critiche e contestazioni all'evoluzione vengono da persone al di fuori del settore specifico, bisogna dire che non siamo davanti alla consueta spazzatura creazionista e che è comunque evidente come De Mattei non si imbarazza minimamente a imbarcare chiunque sul suo veliero, basta che non sia darwinista o che contesti in qualche modo Darwin e chi lo segue. Non si capisce infatti quali vantaggi può avere parlando con non celata soddisfazione di due autori che non solo non contestano l'evoluzione (ma semplicemente negano che la selezione naturale ne sia il motore principale), ma si definiscono “atei materialisti” e spesso hanno dichiarato di essere assolutamente e fermamente contrari a creazionismo o disegno intelligente.

Un loro ragionamento tipico è questo: prendiamo un fringuello e poniamo che ci sa una mutazione che altera la forma della metà superiore del becco. Secondo loro questa mutazione produrrebbe cambiamenti congruenti nelle ossa del cranio, nella parte inferiore del becco, nei muscoli del collo e nei nervi. Quindi non ci sarebbe la possibilità di «selezionare e affinare separatamente ogni organo o tratto per il gioco cieco della natura»

Fodor e Palmarini hanno davvero un modo di pensare abbastanza curioso, come quando affermano, come riporta De Mattei che «quando morfologie specifiche simili si osservano nelle nebulose a spirale, nella disposizione geometrica di goccioline magnetizzate sulla superficie di un liquido, nelle conchiglie marine, nell’alternarsi delle foglie sui fusti delle piante e nella disposizione dei semi in un girasole - è molto improbabile che ne sia responsabile la selezione naturale». Stiamo dunque tornando indietro al '600 quando si dibatteva se i fossili fossero resti di esseri viventi, scherzi di madre natura o “di terre e crete che naturalmente tendevano a disporsi nelle stesse forme degli esseri viventi»? .

Secondo i nostri l'evoluzione sarebbe guidata dalla forma e dall'autorganizzazione, in altre parole più che pressioni esterne ambientali, ci sarebbe la generazione di variazioni generate dall'interno del corpo o da principi fisico-chimici interni che produrrebbero conformazioni ottimali e proporzioni armoniose. In che modo non si sa e, anzi, alla domanda su chi o che cosa sia il responsabile dell'evoluzione, la risposta è : «non si sa e probabilmente non riusciremo a saperlo per un bel pezzo»

Ovviamente il mondo scientifico non è che abbia preso molto bene la cosa, anzi: la stragrande maggioranza dei commenti da parte degli scienziati è quantomeno “molto critica”.
Certo, qualche giustificazione Fodor e Palmarini ce l'hanno: la selezione naturale, a partire dalla sua distorta applicazione poche decine di anni dopo la sua formulazione in campi diversi dalla biologia come il darwinismo sociale o l'eugenetica, attualmente viene spesso invocata per spiegare qualsiasi fenomeno. E questo può aver disturbato qualcuno per cui, contestandola nella biologia, pensano che cadrà anche la possibilità di utilizzarla (a sproposito, ritengono) in altre discipline (partendo da questo ragionamento non giungerà strano infatti che gli autori additino come loro nemici Richard Dawkins, Steven Pinker, Daniel Dennett).

Comunque poi Fodor e Palmerini sono costretti ad affermare che
- la selezione naturale esiste, ma non è il meccanismo che genera specie nuove e la paragonano all’accordatore del pianoforte, piuttostochè al compositore di sinfonie.
- Darwin era uno dei più grandi scienziati di ogni tempo, e geniale è la sua idea di selezione naturale (con buona pace di De Mattei e giornalisti vari).
- che, comunque, pensare a questo processo è giusto, per esempio se concordano considerazioni genetiche, biochimiche ed embriologiche (caso oserei dire molto , ma molto frequente), anche se per loro questi sono da considerarsi casi periferici.

Resta il fatto che come al solito attaccano e contestano l'evoluzionismo com'è adesso quasi esclusivamente persone che non sono coinvolte negli studi di quest'area del sapere, a partire dagli autori di questo libro. Quindi soprattutto da filosofi e giornalisti. Notimo come recensioni favorevoli si hanno solo da parte di alcuni giornalisti, che hanno come minimo comun denominatore l'appartenere a testate che quantomeno strizzano l'occhio alla destra religiosa e ai quali basta che qualcuno parli male di Darwin....

In sostanza un libro abbastanza inutile, pieno di errori concettuali e utile solo a fare della confusione e scatenare un gran polverone da parte di chi è contro l'evoluzione (e non capisce che – comunque – di evoluzionisti si tratta!).

giovedì 8 aprile 2010

Siamo alla follia: Boschi sarebbe indagato perchè avrebbe saaputo che ci sarebbe stato il terremoto dell'Abruzzo.... mah...


È passato un anno dal terremoto abruzzese.

Non entro nelle polemiche su soccorsi, ricostruzione, movimento delle carriole e quant'altro ma sulle ultime notizie di cronaca e in particolare sul rischio di rinvio a giudizio delle varie autorità sul mancato allarme.
Leggo infatti che ci sarebbe un rinvio a giudizio per Boschi, Bertolaso e altri per non aver dichiarato l'allarme prima del terremoto, evidentemente ritenendo che avevano in msno tutte le prove che il sisma era in arrivo.

Una cosa totalmente fuori dal seminato, degna di una nazione in cui le conoscenze scientifiche sono relegate come cosa di poca importanza. E i risultati si vedono.

ne avevo già accennato qui

Ribadisco quindi alcuni concetti:

1. Il terremoto dell'Aquila è stato devastante non di per sé, ma soprattutto per lo standard delle costruzioni: la mappa dello scuotimento parla chiaro. Non mi pare si debba dare la colpa a Boschi, Bertolaso & c se sono crollati edifici recenti costruiti senza tenere conto del rischio sismico o, peggio ancora, non rispettando le normative.
Neanche è colpa loro se nessun amministratore si era posto il problema che una buona parte delle case di tutta l'area siano state costruite su terreni non adatti (per esempio perchè soggetti ad amplificazioni locali delle onde sismiche per la stratigrafia locale) o che non erano in grado di resistere a scosse di questa intensità. Faccio notare che da circa 30 anni (!!) si sapeva perfettamente che questa zona era sede di un gap sismico, con tanto di letteratura scientifica in materia (e persino articoli su “Le Scienze”

2. Ricapitolo la situazione: c'era uno sciame sismico in atto (che con scosse molto deboli aveva già fatto qualche danno...). La popolazione era comprensibilmente allarmata ma nella storia della sismologia non si conoscevano casi in cui si sia scatenata una scossa molto forte in mezzo ad uno sciame. Uno studio dell'INGV affermava che c'era per la zona abruzzese il 30% di probabilità che avvenisse una scossa con M>5. Sono ragionevolmente sicuro che questa notizia sia arrivata alla Protezione Civile non oltre il 17 febbraio 2009

3. parlando quindi di previsione, ricordo che prevedere un terremoto nel significato letterale della parola vuol dire dichiararne giorno, ora, epicentro, profondità e intensità della scossa.

4. Riprendo quanto ho scritto diversi mesi fa: Boschi ha affermato una cosa che forse non è stata capita: non ha detto che era impossibile che si verificasse una scossa, ma che con la sequenza in atto non c'era un aumento della probabilità che avvenisse nella zona una scossa. Cioè che le probabilità che avvenisse una scossa importante continuavano ad esserci (ed erano alte), ma questo indipendentemente dalla presenza dello sciame sismico.

Invece mi sembra che nella mente di chi prospetta questo rinvio a giudizio Boschi doveva dire che ci sarebbe stata sicuramente una scossa forte (e ovviamente pure quando e dove). O, meglio, che lui lo sapeva ed è stato zitto.
Trovo la cosa semplicemente folle....

Il problema fondamentale è che per i “non addetti ai lavori” (frequentatori del bar sport, giornalisti, letterati, giuristi e tuttologi, gente mediamente molto impreparata in Scienze della Terra) queste scosse erano davvero i sintomi che si stava per scatenare una scossa molto più forte. In realtà nessuno poteva dire una cosa del genere. E sarebbe troppo bello se i forti terremoti venissero davvero preceduti da fenomeni simili.

Domando: quante scosse in sciame o singole si registrano in Italia? Si deve forse mettere in allarme la Protezione Civile ogni volta?

Giova ricordare che molti hanno esaltato il “mago del radon” Giuliani, dimenticandosi che proprio pochi giorni prima lo stesso aveva richiesto di sgomberare la cittadina di Sulmona per il rischio che vi si scatenasse una scossa distruttiva. Vi immaginate se sfollavano all'Aquila gli abitanti di Sulmona?

Si potrebbe accusare Boschi (e non solo lui) solo se avesse deliberatamente ignorato che nel passato ci sia stata una sequenza simile, e cioè che un forte terremoto sia stato preceduto da una serie di scosse in tutta l'area.

Qualche mese fa ho ipotizzato che nel passato possa essere successa una cosa del genere, ma è una ipotesi, non una certezza.

In ogni caso Boschi ha perfettamente e completamente ragione quando dice: “non date la colpa agli studiosi: noi possiamo dare indicazioni di massima (e NON previsioni, NdR) mentre i politici scaricano la responsabilità sui sismologi: se il terremoto del 6 aprile ha provocato tutti questi danni la colpa è dei costruttori che non hanno seguito le norme (e – aggiungo – dei politici che le hanno depotenziate).

Da ultimo mi domando:si è forse provveduto in questi ultimi 12 mesi ad iniziare un programma per la messa in sicurezza almeno dei principali edifici pubblici delle zone sismiche?

Con la rilevante eccezione di Messina, quanti comuni in zone a elevato rischio sismico avevano di già redatto piani di emergenza in caso, lo hanno redatto in quest'ultimo anno o addirittura, come nel caso messinese, hanno provveduto a compiere delle esercitazioni?

Sono state emanate delle leggi o delle direttive in proposito?

A me nulla risulta. Spero quindi di avere solo notizie incomplete.
Se ho ragione stiamo allegramente avviandoci verso la catastrofe prossima ventura, aspettando di dare nuovamente la colpa a quei cattivoni incompetenti e fannulloni degli studiosi di Scienze della Terra.

Intanto a Boschi vada tutta la mia solidarietà. E spero anche quella dei lettori di Scienzeedintorni.

martedì 6 aprile 2010

I rospi di un lago marchigiano e il terremoto abruzzese di un anno fa

Quello che sto per scrivere appare pazzesco e ancora non sono sicuro che non sia un pesce d'aprile. Però due circostanze mi inducono a pensare che non sia un pesce d'aprile:
1. la notizia è uscita il 31 marzo
2. il lavoro si trova davvero ad un indirizzo della Wiley Intersciences ed è ancora visibile oggi 6 aprile
3. ho raccolto, soprattutto grazie agli amici del Geoforum (che ringrazio per la mano che mi hanno dato!) delle notizie interessanti

Pertanto d'ora in avanti questo post è scritto assumendo che il lavoro di cui parlo non sia un pesce di aprile, anche se è un po' strano che sia scaricabile liberamente.

Allora, i miei amici di Zeus News  hanno riportato una notizia sullo strano comportamento di alcuni anfibi. Dopo una breve ricerca ho trovato che sul Journal of Zoology gli inglesi Rachel Grant e Tim Halliday, noti esperti internazionali di anfibi, hanno descritto una esperienza che stavano svolgendo sui rospi del lago di San Ruffino, un bacino artificiale creato sbarrando nella sua parte alta il corso del fiume Tenna. Siamo vicino ai celeberrimi Monti Sibillini e a circa una settantina di km dall'epicentro del terremoto del 6 aprile 2009.

Lavori scientifici sul comportamento di animali prima, durante e dopo un terremoto sono molto difficili a trovare perchè, non potendosi ancora prevedere i terremoti occorre semplicemente che ci sia qualcuno che sta facendo delle osservazioni proprio in quel momento e in quella zona.

Non ho proprio idea di quanto ci si possa fidare di testimonianze “post hoc” da parte di abitanti della zona. Di certo è possibile che pochi secondi prima del terremoto possano essere sentite le onde P, più veloci ma meno forti delle successive onde S. Ma ovviamente questo è di poco conto, dato che tra l'arrivo delle onde P e quello delle onde s la distanza è minima, anche se sufficiente in caso di terremoti piuttosto forti a far percepire due scosse distinte al posto di una.

Venendo al lago di San Ruffino, gli studiosi hanno notato che nei giorni immediatamente precedenti il terremoto i maschi di rospo erano praticamente spariti dalla circolazione e hanno tratto la conclusione che gli animali abbiano “sentito” l'avvicinarsi del terremoto. L'analisi si limita ai maschi perchè sulle femmine ci sono pochi dati.

Il numero dei maschi ha mostrato un picco tra il 25 e il 31 marzo, mentre tra l'1 e il 6 di aprile non sono stati rilevate presenze: i rospi sarebbero tornati tra il 7 e il 10 aprile con il picco il 9, durante il plenilunio, ma sempre in numero minore rispetto ai primi del mese. Poi di nuovo una discesa fino a quando, dopo il 15, sono ripresi valori simili a quelli iniziali, ad eccezione del giorno 22. Nela figura, tratta dal lavoro di Grant e Halliday A è il giorno della scossa, B è quello del plenilunio. 

Tra questi valori e i parametri meteorologici (temperature, umidità, piogge, vento) non sono emersi collegamenti. Una correlazione migliore la troviamo con le perturbazioni magnetiche rilevate da un osservatorio russo, limitatamente alla frequenza di 45,9 Khz. Quanto alle scosse, trovo un deciso contrasto fra il picco regoistrato il 9 e le due repliche principali con M= 5.3 e 5.2 registrate proprio quel giorno nella zona del Gran Sasso.
Inoltre si nota come i rospi se ne stiano praticamente assenti dal 10 al 15 di Aprile, periodo in cui non si sono registrate scosse particolari.

Grant e Halliday hanno quindi pensato che i rospi abbiano sentito il terremoto.

La cosa mi pareva un po' strana, quasi fantascentifica. Premetto che biologia, fisiologia e abitudini degli anfibi non sono poi una mia specialità (è un eufemismo....) e che 4 giorni mi pare un anticipo un po' troppo lungo per sostenere che i rospi abbiano percepito che qualcosa non andava. Però i i dati sono quantomeno curiosi. Quindi, nella innegabile certezza che i dati siano giusti, c'è da capire che cosa aveva innescato questo singolare comportamento (sempre ammesso che non sia un pesce d'aprile).

Quasi subito ho pensato a delle variazioni nella composizione delle acque provocata da una variazione della portata delle sorgenti, una conseguenza normale di un terremoto. Nel caso abruzzese ce ne sono state veramente di ingenti.

Frequentando alcuni forum, ed in particolare il Geoforum di geologi.it ho sguinzagliando gli amici a caccia di notizie seppellite nei propri Hard Disks e nella bibilografia on-line (il metodo cooperativo nella Rete funziona molto bene!). Sono venute fuori alcune cose molto interessanti.

1. l'area del lago era stata colpita in quei giorni da un piccolo sciame sismico
2. ci sono state delle grosse variazioni nella portata e nel chimismo delle sorgenti anche nei giorni precedenti alla scossa principale.

La bibliografia generale in proposito assicura che queste anomalia non sono ristrette alle sole aree epicentrali ma si collocano in una ampia fascia dell'Appennino centrale tra Marche, Umbria e Abruzzo

Da notare che l'ARPA della Regione Umbria scrive che, almeno nel caso delle sorgenti del Clitumno, in concomitanza con eventi sismici ci sono state forti variazioni del pH. Notiamo comunque che il lago non è circondato da rocce carbonatiche come le sorgenti umbre ma da formazioni flyshoidi. il fiume Tenna comunque trova una gran parte della sua alimentazione dai massicci calcarei dei Sibillini

Ricordo che la storia della sequenza sismica abruzzese è molto particolare. Come è noto la scossa principale è avvenuta mentre era in atto uno sciame sismico molto violento e sostanzialmente è la prima volta da quando esiste la sismologia che un terremoto forte viene preceduto da una serie di scosse, che frla l'altro sono state considerate dalla popolazione “premonitrici” dell'avvenimento. Magari fosse sempre così....

E' documentato che in alcuni casi variazioni di portata e/o composizione delle sorgenti si siano verificate non solo come conseguenza di eventi sismici principali, ma anche antecedentemente a questi. Purtroppo in tali fenomeni ogni sisma fa storia a sè e quindi è impossibile una previsione in base a questi dati.

Quindi mi chiedo se si possa ipotizzare che l'attività dei rospi sia stata disturbata dalle variazioni di composizione e di acidità delle acque del lago conseguenti alle variazioni di queste grandezze che si sono verificate nelle sorgenti. Anche il fatto che nei giorni successivi al terremoto i rospi siano stati praticamente assenti (eccezione fatta per le notti intorno al plenilunio) può far pendere l'ago della bilancia verso variazioni di chimismo delle acque più che su aspetti di previsione del terremoto da parte delle bestiole.

Un particolare molto interessante: gli studiosi notano che rispetto all'anno precedente c'è stata una forte diminuzione degli animali. E' possibile che la diminuzione sia dovuta proprio ad una forte (per i rospi) variazione del chimismo delle acque, indotto dalle sequenze sismiche che erano in atto e/o da fenomeni anticipatori della scossa del 6 aprile.

EDIT: ho scritto una mail alla prof. Grant, chiedendole una sua opinione sulla mia ipotesi e mi ha risposto che potrei aver ragione!
La ringrazio per la rapida risposta.

domenica 4 aprile 2010

Letto e consigliato: "Gli ultimi Neandertal"

Ho appena finito di leggere “Gli ultimi neandertal” (edizioni Boopen, € 14.00), un libro piuttosto interessante scritto da Lorenzo Rossi, il curatore del sito www.criptozoo.com  che si occupa appunto di criptozoologia.
Fondata dallo zoologo belga Bernard Heuvelmans, la criptozoologia studia specie animali di cui non esistono prove certe sulla loro esistenza, che però viene dedotta da indizi indiretti. Fondamentalmente ci sono due categorie di animali, quelli che sono ufficalmente estinti in una certa area, come la la Lince in Italia di cui si continua a mormorarne l'esistenza da numerosiindizi ma senza ancora averne vista una, oppure animali dichiarati estinti come il Tilacino, di cui secondo alcuni ci sarebbero ancora degli esemplari superstiti in Tasmania.

Poi ci sono animali mitici come il mostro di Loch Ness o il Mokele Mbembe delle foreste africane (di questi e di altri animali mitici e del loro significato ne avevo parlato qui).

Ho sempre visto queste cose e questi personaggi, che spesso si muovono al confine fra la scienza e la fantasia con un certo distacco, vista la mia naturale diffidenza nei confronti di chi va contro l'"ortodossia" (pur essendo sempre attento alle novità che spesso rivoluzionano la conoscenza).

Invece, dopo aver esaminato alcuni documenti sono convinto che i criptozoologi non vanno confusi con ufologi e compagnia bella, avendo delle intenzioni rigorosamente scientifiche. Oltretutto qualche volta hanno avuto ragione: cito ad esempio il caso del Calamaro Gigante, oppure quello dell'Okapi (scoperta avvenuta prima che venisse coniato il termine criptozoologia). Ed è vero che di recente è stata persino scoperto un nuovo primate oltre a diverse specie di mammiferi.

Uno dei campi più classici della criptozoologia è la questione degli esseri simili all'uomo ma più grandi come Yeti, Almas o di Bigfoot (che preferisco chiamare Sasquatch, con il nome originale autoctono).

Il soggetto del libro è appunto la ricerca di Neandertaliani residui ancora viventi.
Ci sono una serie di studiosi che sostengono la possibilità dell'esistenza - ancora al giorno d'oggi - di nuclei di questi uomini primitivi nei monti dell'Asia Centrale o nel Caucaso. Portano a loro credito delle testimonianze dirette di persone che asseriscono di averli visti e qualche oggetto, come un pelo trovato sempre nel Caucaso.

Eì una ipotesi che personalmente trovo molto, ma molto improbabile se non impossibile, anche se io penso che le leggende di Almas, Yeti e Sasquatch possano davvero avere le loro radici nell'incontro fra i nuovi colonizzatori sapiens e neandertaliani residui che si erano rifugiati sui monti intorno alle terre strappate loro dai nuovi venuti (nel libro Rossi smentisce questo a proposito dello Yeti). Ne avevo parlato qui.

Il libro è scritto in maniera molto gradevole, anche se la lettura non è facilitata dalla grafica, forse troppo spartana.

Uno sguardo sommario al titolo (o a quanto ho appena scritto) potrebbe indurre qualcuno ad accostare a “Gli ultimi neandertal” i libri scritti da ufologi o teorici dell'esistenza del triangolo delle Bermude e quant'altro o semplicemente a Roberto Giacobbo e il suo terribile Voyager, tutta gente pronta a fare grandi teorie universali da un minimo indizio (di solito sballato....).

Niente di più sbagliato (e offensivo verso il nostro autore)

Rossi è un vero criptozoologo nel senso che è scientificamente rigorosissimo: ammette che esistono tutta una serie di indizi, sia materiali che a livello di testimonianze, ma che non c'è nessuna prova certa. La sua “prudenza” raggiunge livelli sbalorditivi, come ad esempio nel caso di Flores, l'isola nota per la scoperta di una popolazione residua riferibile a Homo Erectus caratterizzata da nanismo insulare (il famoso Homo floresensis, soprannominato Hobbit) che sicuramente era ancora presente 13.000 anni fa. Cita una leggenda locale in cui si parla degli “Ebu Gogo”, piccoli uomini che vivevano in una caverna. Ebbene, si rifiuta categoricamente di dichiarare che con certezza la leggenda si riferisca veramente agli Hobbit recentemente scoperti.

Questo ne fa un autore diverso, molto diverso, da quella massa di soggetti che scrivono proprio quello che lettori creduloni vogliono leggere. 

Il libro comincia con una bella introduzione sul “mito dell'uomo selvaggio”, e poi parla, anche qui in maniera molto rigorosa (cosa piuttosto difficile a farsi, visto l'argomento...), della vicenda dell'uomo del Minnesota, evitando di prendere posizione sulla realtà o no del reperto.

Poi passa, in un filo molto logico, a descrivere i Neandertal, proseguendo con testimonianze e indizi della presenza di loro remoti discendenti in Asia, per poi trarre la conclusione che, appunto, di indizi ce ne sono diversi indizi ma nesuna prova certa.

Da ultimo passa in rassegna anche ipotesi alternative per gli avvistamenti, quali orsi o altro e riprende la questione dell'uomo del Minnesota (che per me rimane una truffa bella e buona, "al solito" Rossi si limita ad elencare fatti e persone, senza trarre conclusioni...). Aggiungo che oltre a parlare per “sentito dire” l'autore è anche andato personalmente in Asia per approfondire la questione.

Una annotazione sulla copertina: è una riproduzione della figura di un “uomo barbuto” dipinta nella grotta di Isturitz, nei Pirenei dai primi sapiens (cultura Aurignaziana). Potrebbe essere davvero l'unico ritratto esistente di un neandertaliano, databile a circa 30.000 anni fa,in quanto profondamente diversa dalle altre riproduzioni che di se stessi avevano fatto i cro-magnon autori dei dipinti (nella stessa grotta ci sono altre possibili raffigurazioni di neandertaliani).

Complessivamente direi che è un libro quindi molto interessante perchè parla di una serie di eventi sconosciuti al grande pubblico (ma anche agli stessi cultori dell'antropologia) tentandone un inquadramento. Sicuramente direi che ha ampiamente meritato i 14 euro (più le spese di spedizione) stanziati per l'acquisto.

Un appunto: il libro è ordinabile sul sito www.criptozoo.com