domenica 29 novembre 2009

un villaggio nel centro dell'Australia assediato da cammelli e le ricadute sulla "filosofia" della conservazione della Natura


Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX i coloni europei in Australia avevano da risolvere un problema: come spostarsi nei vasti e quasi desertici territori del continente? I canguri erano gli unici animali di una certa stazza ma non erano certo adatti alla bisogna. La risposta fu abbastanza facile: oltre a cavalli e asini che gli europei avevano già introdotto precedentemente in Nordamerica con successo, furono importati diversi cammelli.
Il “progresso” li ha resi inutili abbastanza velocemente: come nel resto del mondo prima le ferrovie e poi le strade fornirono una alternativa più veloce ed efficace per i trasporti.
La situazione di questi animali si è evoluta in maniera diversa che altrove: se negli altri continenti, principalmente Europa e Nordamerica, la nascita dei mezzi meccanici ha provocato una riduzione del numero degli animali da tiro (quanti cavalli da tiro, asini e muli vivono adesso in Europa?), in Australia, complici le grandi distese libere, una parte di loro furono lasciati liberi e colonizzarono l'ambiente, favoriti dal vuoto che gli europei avevano fatto della fauna locale, sia erbivora (principalmente i pochi canguri sopravvissuti), sia carnivori come il tilacino, ormai definitivamente scomparso e peraltro già minacciato dai dingo (canidi importati dai primi uomini che colonizzarono il continente).

In Australia i cammelli hanno avuto buon gioco: privi di nemici e competitori, e straordinariamente adatti all'ambiente arido, sono rapidamente aumentati di numero, riducendo le fonti di cibo per i marsupiali superstiti e portando nuove malattie. Cavalli e asini, parimenti abbandonati, contribuiscono a questa situazione, ma in misura molto minore, a causa del loro minore adattamento all'ambiente locale. Sembra che ci siano almeno un milione di cammelli nell'Australia centrale.


Docker River (Kaltukatjara in linguaggio locale) è un villaggio di circa 400 abitanti (quasi tutti aborigeni) situato quasi al centro del deserto nell'isola - continente, a 400 km circa da Alice Springs che è la città importante più vicina: tanto per dare un'idea del popolamento dell'area, le fonti di informazione ci dicono che il luogo più popoloso più vicino a Kaltukatjara è Kintore, meno di 1000 abitanti a quasi 200 km di distanza!

Nonostante le sue dimensioni non proprio gigantesche, di questo luogo si stanno occupando le cronache perchè la siccità ha provocato una invasione di cammelli che stanno letteralmente assediando i cittadini nelle proprie case. Alla ricerca di acqua i primi animali sono arrivati lì e ovviamente non se ne sono andati. Quindi sono stati seguiti da altri loro simili e adesso ci sono circa 6000 cammelli che assediano letteralmente gli abitanti, i quali non possono uscire per paura di essere calpestati. Una situazione pazzesca e c'è già emergenza sanitaria in quanto ci sono degli animali morti che si stanno decomponendo, vittime della siccità a cui l'acqua di Kaltukatjara non è servita a niente e il rischio di inquinamento della falda acquifera è molto alto. A complicare la situazione gli animali hanno fatto grossi danni alle strutture, distruggendo tutto intorno alle fonti d'acqua (una cisterna in materiale composito o in lamiera di acciaio non può resistere ai loro calci). Persino la pista in terra battuta dell'aeroporto, l'unico sistema di collegamento fra il villaggio e il mondo esterno, ha subito grossi danni. E pensare che i cammelli erano visti fino a ieri come una risorsa: ho letto fra l'altro il progetto di un allevamento che avrebbe dato lavoro a diverse persone!

Quali sono le soluzioni possibili? Con una battuta di spirito si potrebbe dire che è difficile “convincere” gli animali ad andarsene con le buone. Pertanto le autorità stanno pensando ad un abbattimento di massa, dopo aver spinto gli animali fuori città con gli elicotteri. Ovviamente gli animalisti protestano. Il punto su cui focalizzano l'attenzione è rappresentato dalle sofferenze di animali colpiti ma non a morte e per i quali prospettano, giustamente, lo spettro di una lunga agonia (ma probabilmente sarebbero contrari anche a qualsiasi altro sistema per sopprimerli).

Invece propongono di circondare le comunità umane con delle barriere di protezione. La cosa potrebbe evitare a cammelli e dromedari di penetrarle, ma sostanzialmente lascerebbe inalterato il problema a livello generale in quanto quello che succede oggi a Kaltukatjara non è altro che la punta dell'iceberg: le dimensioni di questo stock sono troppo grandi e soprattutto la situazione, senza nemici naturali, potrà definitivamente andare fuori controllo in tutta l'Australia centrale, provocando un disastro.

E soprattutto provocherebbe agli animali una lenta morte per sete. Siamo sicuri che sia una fine migliore di un colpo di pistola, almeno sul piano delle sofferenze?

E' vero che lasciando le cose così entro un certo periodo di tempo (superiore alla scala umana...) la situazione potrebbe stabilizzarsi: poca vegetazione, muoiono i cammelli, ma con pochi cammelli la vegetazione ricresce e allora riaumentano i cammelli e via discorrendo. Questo però sarebbe possibile solo in un sistema senza oasi (naturali o artificiali): è chiaro che situazioni come questa di Kaltukatjara sono destinate non solo a ripetersi ma a diventare frequenti.

Soprattutto in tutto questo nessuno pensa ai residui della fauna locale: che fine faranno in tutto questo marasma?

E' una questione di vitale importanza e quale sarà il sistema adottato per risolverlo costituirà un precedente non da poco per situazioni analoghe. In Australia nelle zone utilizzate per pascolo di bovini e ovini i canguri sono tuttora considerati dei nemici e infatti la loro popolazione viene tenuta sotto controllo con abbattimenti selettivi in mancanza di nemici naturali (che comunque ho la sensazione che, ove sopravvissuti dalle stragi degli ultimi 3 secoli, sarebbero stati fatti fuori per evitare danni al patrimonio zootecnico umano....). Penso che questa sia la soluzione che verrà adottata dalle autorità australiane anche per i cammelli.

Da ultimo mi pongo una domanda: possono essere considerate “naturali” popolazioni animali rinselvatichite originate da importazione da parte di coloni di animali domestici che senza l'intervento umano sarebbero sconosciuti ad un certo territorio? Sono più da proteggere questi o i residui delle comunità locali, di cui si potrebbe cercare un reinserimento nei territori persi a causa della competizione con i nuovi arrrivati?

venerdì 20 novembre 2009

Morto anche Lino Lacedelli, l'altro conquistatore del K2

Dopo la morte di Achille Compagnoni anche l'altro protagonista dell'impresa, è morto quest'anno. Lino Lacedelli è morto oggi nella sua casa di Cortina D'Ampezzo.
La conquista del K2 è stata un grande avvenimento per l'Italia. Fu un altro sinbolo della rinascita italiana del dopoguerra.
L'alpinista era già gravemente malato e questo gli ha impedito di andare al funerale del suo amico Achille Compagnoni nel maggio scorso.


Mi ricordo benissimo la carta da disegno "K2" che parlava e celebrava questa impresa. Forse anche questo ha influito sulla mia voglia di studiare i sassi e le montagne
La conquista del K2 è stata seguita da una serie di polemiche per come si era svolta la parte finale.
Da qualche anno tutto è chiarito ed è stato definitivamente dimostrato il ruolo di Walter Bonatti.
Alla famiglia il mio cordogliol

mercoledì 18 novembre 2009

Pale eoliche e impatto su fauna volante: esperienze angloamericane sui pipistrelli e una proposta italiana sugli uccelli



L'Asociación Empresarial Eólica, l'Associazione spagnola dei produttori di Energia Eolica,proclama con orgoglio che, ance se per poche ore e in circostanze eccezionali, il vento ha prodotto più della metà dell'elettricità consumata nella nazione iberica tra le 3.30 e le 8.40 di domenica 8 novembre,
La produzione di energia tramite la forza del vento è sicuramente una delle fonti rinnovabili più interessanti e meno impattanti sull'ambiente, oltre ad essere in promettente crescita, anche perchè l'impatto ambientale delle pale eoliche non è particolarmente tragico, tranne a livello estetico ed eventualmente a causa della costruzione apposita di una strada per arrivarci. Purtroppo ci sono altre ripercussioni negative: le pale eoliche possono arrecare gravi conseguenze sulla popolazone dei volatili, uccelli ma soprattutto pipistrelli.
In questi giorni ci sono degli sviluppi interessanti a proposito, una anglo – britannica sui pipistrelli e una italiana sugli uccelli.

Potrà sembrare strano, ma almeno per i pipistrelli le morti non sono tutte associata ad urti contro le pale: ci sono dei casi di barotrauma: in sostanza il passaggio della pala a velocità dell'ordine di centiania di km/h provoca un calo di pressione tale da danneggiare gravemente i polmoni degli animali.
Fino ad oggi ci sono state molte discussioni in materia (le ricerche sono state avviate una decina di anni fa) e purtroppo si è visto che ogni installazione eolica in Nordamerica costituisce un grave pericolo per gli animali volatori. Paul Cryam del Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS), focalizzando il problema soprattutto sui pipistrelli, ha scoperto che la distribuzione delle perdite nei mammiferi volanti è strettamente associata ad alcune specie in certi periodi dell'anno.

Il tributo pagato dai pipistrelli è veramente alto: nel migliore dei casi poche dozzine all'anno che salgono purtroppo a parecchie centinaia in alcuni casi. Facendo un conto semplice, siamo sulle decine di migliaia di vittime all'anno in tutti gli Stati Uniti, con la osservazione che le pale aumentano di numero e quindi c'è il rischio che il problema aumenti sensibilmente fino ad intaccare pesantemente il numero di animali di alcune specie, con le possibili ripercussioni sull'ecosistema.Il primo grave incidente negli Stati Uniti avvenne nel 2003, sugli Appalachi: qualche centianio di pipistrelli morirono nello spazio di 6 settimane. Destò particolare attenzione lo stretto lasso di tempo tra l'inizio e la fine del fenomeno.
Un'altro aspetto del problema è che su 45 specie di pipistrelli presenti negli USA, ben il 75% degli incidenti hanno come protagonisti individui di sole tre specie che condividono fra loro altre importanti caratteristiche: sono animali frugivori e migratori e per di più il periodo degli incidenti coincide con quello delle migrazioni. La cosa potrebbe rivelarsi molto utile: se nei momenti di maggior pericolo (le notti con poco vento fra l'estate e l'autunno) le pale venissero fermate si potrebbe diminuire l'incidentalità di oltre il 50%.

Questa potrebbe essere una “difesa passiva”. Ma ci sono altre possibilità di “difesa attiva”, cioè di riuscire a limitare il passaggio dei pipistrelli nelle vicinanze delle pale. Nichols e Racey, dell'Università di Aberdeen, in Scozia, hanno notato come nelle zone vicine a emissioni di campi magnetici, come aeroporti e radar meteorologici, l'attività di questi mammiferi è ridotta. In un esperimento hanno usato un radar e analizzando il comportamento degli animali a radar acceso e a radar spento hanno notato a radar acceso una notevole diminuzione di attività. Come controprova non è stata notata una diminuzione della attività degli insetti che sono le prede dei pipistrelli esaminati. E' forse possibile quindi limitare la mortalità dei pipistrelli rispetto alle pale eoliche dotandole di dispositivi radar che interferiscono con il loro sistema sonar. E' chiaro comunque che questa difesa vale solo per le specie in possesso di questa capacità, che non sono tutte e personalmente dubito che i pipistrelli frugivori lo abbiano.

Con gli uccelli il problema è diverso, in quanto sembra che non ci sia una particolare prevalenza di una o più specie fra le vittime e quindi pare che siano tutti sensibili al problema. Questo rende difficile risolvere o quantomeno limitare il problema. Si segnalano casi di rapaci uccisi, in particolare in Spagna e in Norvegia.

Questo è veramente una questione piuttosto grave ed è inutile girarci intorno: a noi serve energia, e possibilmente pulita. L'eolico da questo punto di vista è ottimo, perchè è una fonte rinnovabile e continua (mentre ad esempio il solare non è ovviamente continuo). Ma non si può pensare per questo di distruggere l'avifauna.

A questo proposito gli ornitologi italiani si sono mossi e di questo ne hanno parlato al XV Convegno Italiano di Ornitologia tenutosi a Sabaudia (LT) il 14-18 ottobre 2009. Rilevato innanzitutto il paradosso di una fonte pulita che rischia però di arrecare gravi danni all'avifauna e alla biodiversità, fanno notare che gli interventi nel settore più che una serie di strutture costruite sulla base di una programmazione territoriale sono unanserie di interventi spot da parte di privati o enti pubblici e che esiste sicuramente il pericolo di una proliferazione di impianti eolici in numerosi ambiti di notevole pregio ambientale e di importanza strategica per l’avifauna.
Pertanto, in un documento molto equilibrato, non demonizzano gli impianti eolici come stanno facendo in nome del paesaggio una serie di associazioni e gruppi spontanei (fra i quali ce ne sono alcuni che parlano del problema dei volatili in maniera strumentale, cioè solo in funzione anti-eolico). Gli ornitologi italiani infatti chiedono semplicemente alcune precauzioni.

In primo luogo che nella fase preparatoria dei piani energetici nazionali e regionali nella Valutazione Ambientale Strategica venga inserito uno studio a proposito degli impatti sull’avifauna tenendo conto in una certa area dell’effetto complessivo delle centrali eoliche esistenti e previste. Questo deve valere anche per le turbine da meno di 1 MW, attulamente deregolamentate. Il tutto deve essere correlato dalla valutazione di impatto ambientale.

Propongono anche l'esclusione “per principio” della possibilità di costruire impianti eolici in aree particolarmente frequentate da volatili, come “praterie montane, crinali, principali fondovalle, promontori, stretti, zone umide costiere, tratti di mare lungo rotte migratorie o interessati dalla presenza di forti concentrazioni di uccelli marini”,

L'unica osservazione al documento è che la maggior parte delle tipologie indicate sono proprio quelle dove è più conveniente da un punto di vista della resa mettere delle centrali eoliche.
Ma guardiamo la vicenda da un altro aspetto: costruire sui crinali non è semplice e spesso produce delle alterazioni permanenti a livello ambientale. Quindi ci si potrebbe spingere a cercare degli scenari di pianura o di fondovalle meno pericolosi per l'avifauna e dove costruire dei generatori eolici sia anche più semplice, meno impattante sull'ambiente e sul panorama. Per esempio in provincia di Pisa ci sono pale eoliche in mezzo alla pianura nei pressi di Pontedera. Funzionano, e sicuramente impattano meno a livello visivo e nei confronti degli uccelli di quelle poste sul crinale a Castellina marittima, a una ventina di kilometri di distanza.

E come difesa ulteriore per gli animali volanti, è meglio costruire pale più grandi ma che ruotino a velocità inferiori

martedì 3 novembre 2009

Yeti, Almas, Bigfoot: un filo lega queste creature mitiche ai Neandertal?


Devo delle scuse a Lorenzo Rossi di www.criptozoo.com : l'area di diffusione dei neanderthaliani comprendeva anche l'Asia settentrionale e quindi ho provveduto a precisare quello che avevo affermato in http://aldopiombino.blogspot.com/2009/01/lestinzione-di-homo-neanderthalensis-e.html , chiedendogli delle scuse formali per essere incorso in un così grave errore.

Continuo a pensare che sia impossibile quello che afferma Rossi (peraltro il suo sito è molto ma moto interessante) e cioè che l'Almas sia una creatura veramente ancora esistente nei monti Altai: nessuno lo abbia mai avvistato o, meglio, come per lo Yeti dell'Himalaya e il Sasquatch (o “bigfoot”) della costa pacifica nordamericana non ci sono prove certe. E' vero che la foresta africana continua a dare delle sorprese (addirittura un paio di anni fa è stata trovata una nuova specie di scimmia), ma dubito che creature del genere possano esistere in continuità senza essere state ritrovate fino ad oggi in un ambiente molto più scoperto di una foresta tropicale.
Sia sullo Yeti che sull'Almas esistono delle supposte testimonianze, talvolta fassurde (ne cito a caso una: un Almas sarebbe stato catturato durante la seconda guerra mondiale da soldati del'Armata Rossa..... ). Su Bigfoot esiste una certa letteratura; ci sarebbero anche immagini e un filmato, ma la probabilità che siano dei falsi è altissima, come afferma lo stesso Lorenzo Rossi.

L'ostacolo maggiore che mi viene in mente è la quantità della popolazione necessaria per continuare una stirpe, anche se non occorrono numeri enormi: i Tasaday, indigeni delle Filippine, quando furono “scoperti” nel 1971 erano meno di 30. Vero che al proposito alcuni studiosi hanno pensato ad un falso orchestrato dall'allora dittatore filippino Marcos (e ovviamente della CIA), ma sono state avanzate diverse prove linguistiche e non che attesterebbero la realtà di questo fatto. Se i Tasaday non sono un falso si dimostra come anche piccole bande neanderthaliane potrebbero essere sopravvissute isolate all'avanzata dell'Uomo Anatomicamente moderno (e chiaramente è più facile che sia successo sui monti e non nelle steppe) .


“Creare” una leggenda non è difficile, basta pensare a tutte le idiozie che si diffondono in rete. Ma voglio raccontarvi una storiella. Metà degli anni '80, un nostro amico (Fxxx per la privacy) aveva la fama di avere sempre una “certa dose di fortuna” nel trovare parcheggio anche nei posti più congestionati. Al che qualcuno, mi sembra il Pucci (cognome molto diffuso e quindi privo di conseguenze per la privacy) cominciò ad evocare lo “spirito del Fxxx” quando c'era da parcheggiare. Ovviamente la battuta ebbe un certo successo e quando si cercava parcheggio si diceva "Spirito del Fxxx, se ci sei dacci un segno". Mi ricordo una volta a Fiesole che, disperato, dissi “ci vorrebbe lo spirito del Fxxx”: non feci in tempo a finire il cognome che si illuminò la luce di retromarcia di una macchina. Ridendo e scherzando ancora oggi a 25 anni di distanza, alcuni miei amici (che non hanno mai conosciuto Fxxx!) continuano ad evocarlo (fra questi uno è un esponente degli atei razionalisti....). Chiaro che nessuno al giorno d'oggi si sogna di divinizzare Fxxx, ma in altri tempi poteva benissimo nascere su uno come lui una leggenda. Magari era uno che con un odorato superiore riusciva a sentire gli odori degli animali prima degli altri e portava i suoi verso la giusta zona per la battuta di caccia. Oppure uno con altre qualità o che ha avuto la fortuna di trovarsi alcune volte al posto giusto nel momento giusto. Le leggende nascevano anche così.

Ci sono casi in cui i miti hanno una giustificazione zoologica. Ad esempio la presenza di un occhio solo centrale evidenzia in modo quasi matematico che la leggenda dei ciclopi è nata grazie ai teschi di elefanti che, come è noto, non hanno due cavità occipitali ma ne esibiscono una unica. Anche fra sirene e, appunto, Sirenidi (lamantino e dugongo), ci sono delle somiglianze. I draghi cinesi, lunghi e affusolati, fanno quasi pensare a dei coccodrilli giganteschi (quelli marini australiani non vivono tanto lontano). Il Thunderbird delle leggende indigene nordamericane potrebbe essere stato un Condor con una apertura alare di oltre 3 metri. Al proposito io penso invece a un grande uccello carnivoro non volatore, il Titanis Wallneri. Sembra pure che nei miti nordamericani sia rimasta anche l'eco del mammuth, estintosi in zona oltre 13.000 anni fa. Come, in un altro campo, sono convinto che anche il mito di Atlantide nasconda dietro qualcosa e persino uno tsunami che ha colpito la costa pacifica nordamericana nel 1700 è stato dimostrato grazie allo studio di alcune leggende.



Ed eccoci al punto. Non essendo un esperto del ramo, è probabile che le mie conoscenze in materia tendano a semplificare le cose. Sosteniamo pure che Almas, Yeti e Sasquatch (o Bigfoot in inglese) non abbiano fondamento alcuno. Però mostrano una caratteristica piuttosto strana: le genti che ne parlano (tibetani e tribù nordamericane della famiglia Na-Denè) hanno una probabile origine comune e proprio nella zona degli Altai.

I tibetani geneticamente provengono da territori più a nord di quelli che occupano attualmente.
I Na-Denè costituiscono un raggruppamento geneticamente e linguisticamente distinto dagli amerindi classici, e sarebbero arrivati nel continente dopo gli amerindi ma prima degli eskimo-aleuti. E' stata accertata la loro parentela, specialmente linguistica, con le popolazioni siberiane che parlavano lingue inquadrate nella famiglia linguistica siberiana, attualmente estinte (tranne una, il Ket, ormai però destinata alla rapida scomparsa, essendo parlata solo da pochi anziani).
Le lingue lingue siberiane rappresenterebbero una specie di anello di congiunzione che ha dato carburante ai sostenitori della parentela fra le lingue sino-tibetane, quelle na-dene e quelle caucasiche raggruppandole nella superfamiglia sino-dene-caucasica. Testimonianze dell'Almas arrivano anche dal Caucaso.
Un'altra coincidenza? Ammettiamolo: è un pò strano. Alcuni studiosi americani sostengono che il mito di Big Foot abbia radici molto antiche, di prima della migrazione in America (non esiste nelle culture amerinde).

Questa circostanza mi suggerisce che qualcosa di vero in queste leggende debba esserci per forza.
Ma, alla fine, chi era Almas / Yeti / Bigfoot?

Qualcuno ha pensato che le radici siano nel ricordo del Gigantopitecus, un primate di dimensioni gigantesche di cui in Cina sono stati trovati dei fossili, ma ci sono un paio di considerazioni che impediscono tutto questo: Gigantopitecus si sarebbe estinto 400.000 anni fa, davvero troppi per poter continuare a vivere nelle leggende e poi, un primate per vivere a queste temperature deve come minimo coprirsi di qualche vestito.  Pertanto se è un primate, allora è un uomo che ha sviluppato la necessaria tecnologia per resistere al freddo (abiti di pelliccia). Se non lo è, l'unica soluzione che mi viene in mente è un orso. Ma l'orso non cammina comunemente su 2 zampe e quindi siamo puno e a capo.


A questo punto, stabilito che l'origine del mito è l'Asia Centrale,(o il Caucaso) l'idea più ovvia è che questa creatura fosse davvero un uomo. Quale? Le dimensioni sono sicuramente maggiori rispetto ai nostri diretti progenitori. Questo esclude Homo Erectus e si adatta benissimo ai Neandertal, sicuramente più robusti dei Sapiens e che per la loro superiorità fisica hanno resistito a lungo fino a tempi recenti: infatti la sensazione comune è che Sapiens abbia prevalso avendo tecnologie migliori e se notiamo le carte sull'espansione dell'Uomo anatomicamente moderno vediamo come all'inizio si sia dovuto tenere lontano dalle aree occupate dai neandertaliani, riuscendo a sopraffarli soltanto dopo aver affinato le proprie conoscenze.

Quindi l'ipotesi più plausibile è che queste leggende si riferiscano a Neandertaliani rimasti isolati in Asia dall'avanzare dei sapiens e sopravvissuti per un po' di tempo.

Una questione importante è datare questa storia. La conquista dell'Asia settentrionale da parte dell'Uomo Anatomicamente Moderno data a circa 40.000 anni fa e gli ultimi Neandertal sicuramente attestati sono quelli di Gibilterra, poco meno di 30.000 anni fa. Questo tuttavia non può escludere che uno o più piccoli nuclei possano essere sopravvissuti in Asia nelle montagne.A questo proposito alcune ricerche tendono ad escludere che in neandertaliani fossero molto numerosi e quindi la loro struttura era di piccolissime bande disperse in un vasto territorio.

In quanto alla datazione, se Almas, Yeti e Sasquatch rappresentano lo stesso mito, è evidente che debba essere anteriore alla migrazione dei Na-Denè verso l'America, tra 10 e 15 mila anni fa, quindi dopo l'ultimo massimo glaciale quando – circa 20.000 anni fa – l'Asia settentrionale anni fu travolta dal freddo. La cosa potrebbe riflettere la presenza di piccole bande residue di neandertaliani in un ambiente molto freddo, in cui erano ancora capaci di resistere meglio dell'Uomo anatomicamente moderno. In questo caso, il progressivo riscaldamento da 20.000 anni fa in poi è stato loro fatale.

Sarebbe veramente interessante trovare delle prove dell'esistenza di queste creature. purtroppo per adesso siamo solo nel campo delle ipotesi.

EDIT: Lorenzo Rossi mi ha scritto una puntualizzazione che riporto integralmente:
 
Ti posso assicurare che non affermo nulla di simile, come sottolineo anche nel mio libro sull'argomento, non esistono prove solide circa l'esistenza di queste creature. Semmai è vero che però non ho in merito una posizione certa, in pratica rimango possibilista anche se si tratta di eventualità davvero molte remote, e inoltre anche ipotizzando che questi esseri esistano davvero la loro origine (neandertaliani o qualunque altra cosa) sarebbe tutta da stabilire. Il mio libro si intitola "gli ultimi neandertal" perché esamina la teoria secondo cui questi presunti esseri sarebbero appunto neandertaliani, ma non per questo la abbraccio ciecamente.