mercoledì 30 dicembre 2009

La querelle Boschi - Bertolaso: lotte di potere all'interno del sistema Protezione civile?


La dietrologia sul terremoto dell'Aquila sta portando alla luce una guerra fra l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia e il Dipartimento della Protezione Civile, in particolare fra Enzo Boschi, storica figura dell'INGV e Guido  Bertolaso, figura altrettanto storica del DPC.
Qualche giorno fa sul sito dell'INGV era comparso un banner in cui si accusava la Protezione Civile di voler scippare ai sismologi la rete dei sismografi. Banner che adesso mentre scrivo è scomparso.
La base della polemica risale, almeno ufficialmente, agli strascichi della riunione della Commissione Grandi Rischi che avvenne a L'Aquila il 31 marzo.

Ricordo che la terra si muoveva da diverso tempo in zona, c'era stata una forte scossa a Sulmona e un tecnico del laboratorio del Gran Sasso millantava di prevedere terremoti (ho potuto agilmente smentire il lavoro di questo soggetto fatto nel 2002 semplicemente dai dati dell'Iris Earthquake Browser). Quindi fu convocata quella riunione e nell'occasione fu detto che al momento non c'erano dei gravi rischi. Bertolaso (non presente) imbestialito si scagliò contro «quegli imbecilli che si divertono a diffondere notizie false».
Ricordo che c'era un rapporto dell'INGV che dava per “molto probabile” una scossa forte in Abruzzo tra il 2007 e il 2011 e lo motivava con attenzione e documentazione, non con farneticazioni di coinvolgimenti astrali....
Visto che da dicembre si continuavano a registrare scosse, il 17 febbraio 2009 l'INGV avrebbe inviato alla Protezione Civile un comunicato “non tranqullizzante” sulla sequenza in atto. Una parte di questo comunicato (che vorrei vedere completo: qualcuno mi sa dire dove trovarlo?) è citata in una lettera di Bertolaso: "negli ultimi anni la zona non è mai stata interessata da forti terremoti. Allo stato attuale delle conoscenze si può affermare che la sequenza in atto non ha alterato la probabilità di forti terremoti nella zona". Bertolaso, citandola a sua giustificazione per le parole pronunciate il 31 marzo, si dimentica di dire che la probabilità restava “inalterata” ma che era abbastanza forte (o ignorava forse il rapporto dell'INGV?).

Veniamo al 31 marzo, che è il fulcro della polemica. Una riunione secondo Boschi molto frettolosa, alla presenza di una pletora di persone a lui sconosciute, che dura appena tre quarti d'ora senza che venga redatto un verbale (non so se questa sia la prassi normale). Dopodichè si svolge una conferenza stampa. E qui c'è il giallo: Boschi asserisce di non esservi stato invitato e che non ci ha partecipato. Una versione attribuita a Bertolaso (non presente perchè impegnato sul G8, all'epoca previsto alla Maddalena) è esattamente opposta: «Avevo chiesto la riunione perché volevo un momento di confronto. Dopo c’è stata una conferenza stampa in cui il professor Barberi e il professor Boschi hanno esaminato tutte le informazioni e hanno stabilito che non era assolutamente prevedibile alcuna situazione di terremoto più violenta di quelle che erano state registrate».
Immagino che sia facilmente accertabile la verità: esisteranno pure delle foto o dei filmati di quella conferenza stampa (e qui mi rivolgo agli amici di “Abruzzo svegliati”).
Boschi poi annota: “sarei stato un folle ad andare a tranquillizzare tutti in una zona che il mio istituto definisce ad altissimo rischio” e che anche in due comunicati tranquillizzanti emessi dal DPC il 30 marzo e il primo aprile si cita anche il suo nome senza che lui ne sapesse niente.
Dall'altra parte anche Bertolaso potrebbe aver ragione quando afferma che Boschi si guarda bene dall'esporre quali contromisure si potevano metter in atto. Faccio presente che già Marco Cattaneo di Le Scienze sul suo blog aveva avanzato dubbi su quel verbale poche settimane dopo il 6 marzo.

A questo punto mi tocca sottolineare per l'ennesima volta alcune cose su questo terremoto:

1. noi ora parliamo con il senno di poi perchè sappiamo che una settimana dopo c'è stata la scossa forte

2. non era mai successo nella storia della sismologia che un terremoto violento sia stato preceduto da attività sismica come quella che ha contraddistinto l'evento del 2009. Magari succedesse!!!!

3. come afferma – a ragione – lo stesso sismologo il terremoto non era “prevedibile” nel senso più preciso del termine, se per “previsione” si intende conoscere giorno, ora, ipocentro, meccanismo focale e magnitudo di un sisma, che cosa poteva dire? Allora, su che basi si poteva discutere, visto che da un punto di vista scientifico non c'erano significativi incrementi della probabilità di avere un terremoto forte (anzi, a prima vista la presenza di attività sismica continua e costante era un fattore che diminuiva il rischio, nel senso che sarebbe troppo bello che prima di ogni terremoto significativo si verificasse un aumento della sismicità!!!)

4. Se non era “prevedibile”, dai dati dell'INGV era forse “aspettabile” (termine mio personale appena coniato, senza nessuna velleità ai fini scientifici e/o di protezione civile!)? In effetti, come ho scritto qui, c'è la possibilità che in passato un terremoto principale in Abruzzo sua stato preceduto da attività sismica diffusa (un caso che se accertato sarebbe – ripeto – assolutamente anomalo nella sismologia mondiale). Comunque la protezione civile ignorava questo fatto o non gli ha dato peso (al solito parlando con il senno di poi!).

5. Ma d'altro canto se si dovesse generare un allarme “terremoto violento” tutte le volte che si registra uno sciame sismico ci sarebbero centinaia di allarmi ingiustificati all'anno (vedi quest'anno la zona di Cassino per esempio) e continuano ad essere valide le stesse obiezioni su cosa si poteva fare che ho appena esposto.

6. in ogni caso Boschi ha perfettamente e completamente ragione quando dice: “non date la colpa agli studiosi: noi possiamo dare indicazioni di massima (e NON previsioni, NdR) mentre i politici scaricano la responsabilità sui sismologi: se il terremoto del 6 aprile ha provocato tutti questi danni la colpa è dei costruttori che non hanno seguito le norme (e – aggiungo – dei politici che le hanno depotenziate).
Parole che dovrebbero essere scolpite nel cervello di molta gente!


Quindi non mi sento in grado di capire cosa si potesse fare: sgomberare un'area di non so quali dimensioni per un certo tempo (quanto? Giorni, settimane, mesi?) in attesa di un evento che “ci sono forti possibilità che avvenga, ma quando di preciso non si sa”? Cominciare ad attrezzare zone per eventuali profughi?
Vogliamo forse trasferire nelle tendopoli tutti gli abitanti delle zone a rischio, almeno fino a quando non vengono loro sistematele case con tecnologie adeguate?

E aggiungo: se la scossa non fosse avvenuta 6 giorni dopo, se ne parlerebbe ancora di quella famosa riunione?

La querelle Boschi – Bertolaso rimane nascosta all'opinone pubblica fino al 16 settembre, quando Boschi scrive una lettera a Zamberletti e Barberi, rispettivamente presidente e vice presidente della Commissione Grandi Rischi in cui appunto accusa Bertolaso di dire il falso sulla conferenza stampa del 31 marzo e dice che lo fa solo adesso perchè nella fase dell'emergenza non gli pareva giusto tirare fuori tali questioni. Se la considerazione risponde a verità dobbiamo rimarcare la forte responsabilità civile di Boschi che evita le polemiche in un momento difficile. C'è comunque anche la possibilità che abbia parlato quando ormai la polemica fra INGV e DPC stava raggiungendo di nascosto livelli parossistici e abbia deciso ditirarla fuori per primo per difendere se stesso e difendersi dalle intenzioni di togliere all'INGV la rete sismica.


Bertolaso, che era uno dei destinatari di questa lettera, ovviamente non sta zitto e risponde qualche giorno dopo citando dal verbale della riunione (contestato come si è visto non solo da Boschi). Secondo Bortolaso il sismologo avrebbe detto  che “i forti terremoti in Abruzzo hanno periodi di ritorno molto lunghi. Improbabile che ci sia a breve una scossa come quella del 1703, pur se non si può escludere in maniera assoluta.” e, in un secondo passaggio  che “la semplice osservazione di molti piccoli terremoti non costituisce fenomeno precursore. Guardando l'Italia nel suo complesso probabilmente c'è una logica che governa lo sviluppo dei terremoti” ma "questa logica non è ancora nota e per questo è impossibile fare previsioni”.

Volendo fare dietrologia, a questo punto un Bertolaso evidentemente arrabbiato ha cercato di scippare a Boschi la rete sismica italiana, ma, a giudicare dalla scomparsa del banner sul sito dell'INGV è probabile che Boschi sia riuscito a parare il colpo. Mi domando però se la guerra Bertolaso – Boschi nasconda qualcosa di più profondo.

Trovai quantomeno strano e discutibile quanto si diceva sul banner sul sito dell'INGV a proposito dello “scippo” della rete sismica tentato dal DPC. La cosa mi lasciò abbastanza perplesso, anche se francamente l'INGV mi lascia a sua volta molto perplesso. Personalmente l'unico contatto diretto che ho avuto con persone di questa istituzione fu durante la “scuola di specializzazione in ofioliti” che facemmo al Terminillo nella seconda metà degli anni 80: un ricercatore di quell'istituto venne per illustrarci la teoria di Carey della Terra in espansione e contestare la tettonica a zolle.
Immaginatevi di fare una cosa del genere proprio a persone che studiano le ofioliti, cioè parti della crosta di oceani schiacciati dallo scontro fra due continenti. Il tapino fu colpito da un fuoco di fila di domande, spesso molto polemiche. Mi ricordo il suo imbarazzo nel dire che sia nelle zone di subduzione che nelle dorsali si crea nuova crosta e come il compianto professor Passerini mi disse con spirito molto francescano a tavola: “poveretto, avrei voluto dire qualcosa per incoraggiarlo, ma proprio non sono riuscito a trovarne la possibilità”.

Le mie perplessità in realtà vanno oltre a questa storia e sono dovute all'impressione che l'INGV sia una realtà a se stante, avulsa dal resto del panorama della ricerca italiana: mai ricordo la presenza di qualcuno di loro ai convegni o nelle pubblicazioni della Società Geologica Italiana. Anzi, qualche anno fa un membro autorevole della SGI (evidentemente in accordo con il consiglio dell'associazione) accusò l'INGV di saper solo mettere dei punti sulla carta al verificarsi di terremoti e di ignorare completamente il progetto CROP (lo studio della crosta profonda in base a prospezioni geofisiche che la SGI stava portando avanti).

Queste gravi accuse (che ho ancora da qualche parte ma che mi scuso per non aver voglia di andare a cercare) vennero mosse più o meno nel periodo in cui Boschi prese sotto la sua ala anche la vulcanologia, quando 5 o 6 anni fa all'ING (istituto nazionale di geofisica) fu aggiunta la “V”, aggiungendo alla denominazione precedente le parole “e di vulcanologia”,  Nell'occasione non credo che il Boschi abbia protestato per questo...

Certo, ne è passato di tempo dal 1980, quando fino alla mattina dopo nessuno era in grado di andare a vedere i sismografi per capire dov'era esattamente l'epicentro del terremoto del 23 novembre (si disse con umorismo un po' triste che anche la tettonica a zolle in Italia doveva adeguarsi e che i terremoti dovevano avvenirei nel solo orario di ufficio) e sinceramente non sono il solo a cui le ricerche del dopo terremoto in Abruzzo siano piaciute: hanno ricevuto complimenti a livello internazionale per ampiezza e valore della documentazione. Nelle pubblicazioni dell'INGV, solitamente molto interessanti, non si contesta più in maniera assoluta la Tettonica a zolle crostali, anzi..... In più le notizie in tempo reale su terremoti e vulcani italiani sono una miniera di notizie utili. Tantochè il sito del''INGV è uno di quelli che consulto tutti i giorni (anche più volte al giorno in certi momenti!).
Se poi guardiamo il famoso rapporto sul rischio sismico è sicuramente un bel passo avanti, come il lavoro di prevenzione intorno ai Colli Albani. Resta il fatto che continuo a trovare questa istituzione un po' troppo isolata e non capisco il perchè.

La risposta di Bertolaso (o, meglio, il verbale del 31 marzo) mi lascia perplesso: perchè Boschi, dopo il suo rapporto, avrebbe detto che la scossa forte fosse “improbabile”? Io fossi stato in lui avrei tratto le sue stesse conclusioni appunto, cioè che non c'erano significativi aumenti di possibilità dell'accadimento di una scossa forte ma non avrei potuto escludene la possibilità (anche perchè il rapporto parlava piuttosto chiaro!). Soprattutto viste le sue dichiarazioni che ho riportato poc'anzi Boschi darebbe del folle a se stesso.... mi chiedo però perchè non fu tirata fuorila questone dell'alto rischio sismico teorico in quanto nella zona si evidenziavano sia un gap sismico che particolari modificazioni del campo di deformazione

Credo che questa vicenda sia soprattutto una lotta di potere e la cosa non mi piace.
Io continuo a pensare che il sistema della Protezione Civile debba lavorare in sintonia con una forte istituzione geologica e cito come esempio il Servizio Geologico degli Stati Uniti , che si occupa di frane, vulcani, terremoti, alluvioni e quant'altro sui disastri naturali. Qui invece abbiamo una serie di strutture non solo scollegate fra loro (e apparentemente coordinate dalla Protezione civile) ma evidentemente anche in preda ad una guerra fratricida da cui non ci si può aspettare nulla di buono.

martedì 15 dicembre 2009

Da Wegener a Wilson: dalla deriva dei continenti alla tettonica a zolle


"La geologia è matura per una rivoluzione scientifica e la sua situazione attuale è simile a quella dell'astronomia prima di Copernico e Galileo, della chimica prima degli atomi e delle molecole, della biologia prima di Darwin, della fisica prima della meccanica quantistica: prima di ogni rivoluzione non c'è niente che quadri e le risposte arriveranno quando si comprenderà che si deve lasciar perdere l'intera intelaiatura di riferimento e cercarne un'altra. 
Gli studiosi di geologia hanno cercato di adattare la storia terrestre, che è sempre stata mobile, all'intelaiatura di un modello rigido e immobile di continenti e non è sorprendente che fosse impossibile rispondere alle questioni maggiori. Non sono i nostri metodi e nemmeno le nostre osservazioni sbagliate, ma l'intero nostro modo di pensare."
Ognuna di queste rivoluzioni proietta la sua ombra molto innanzi a a sé. Gli astronomi greci presagirono Copernico duemila anni prima, Darwin prese dal nonno l'idea dell'evoluzione. Non ci sorprende che le idee di Wegener e di Holmes fossero presenti senza venire accettate. John Tuzo Wilson, Berkeley 1963.


Prima dell'avvento della tettonica a zolle crostali (come è stata successivamente chiamata la deriva dei continenti il momento che i geologi hanno voluto focalizzare l'attenzione sul fatto che i continenti erano solo degli spettaori passivi del fenomeno) c'erano delle idee sull'origine delle catene montuose, sui vulcani, sui terremoti, sulla distribuzione delle fasce metamorfiche. Ma erano poco convincenti e soprattutto non riuscivano a mettere in correlazione tutti questi fenomeni.


Per questa rivoluzione ci sono voluti 50 anni esatti , da quando nel 1913 Alfred Wegener (1880 – 1830) pubblicò “La formazione dei continenti e degli oceani”. Il meteorologo tedesco è più noto per i suoi studi geologici che per quelli meteorologici. Infatti è colui che per primo ha teorizzato in maniera organica la deriva dei continenti.
Prima di lui già Francis Bacon aveva supposto che Africa e Sudamerica fossero una volta unite e probabilmente anche altri lo avranno fatto.

Wegener è andato oltre, studiando con attenzione alcune caratteristiche geologiche e facendone dei punti di forza della sua teoria. Per prima la geologia intorno all'Atlantico, dove evidenziò le significative analogie fra le sue  sponde settentrionali, a partire dalla faglia di Cabot in Canada che appare proprio la continuazione della Great Glen Fault (quella del Loch Ness), finendo con le linee degli orogeni ercinici e caledoniani. Una seconda eccellente osservazione la fece riunendo i continenti meridionali e dimostrando come a questo modo diventava più spiegabile la distribuzione delle tilliti della glaciazione permo – carbonifera del Gondwana, anche in rapporto alle zone calde in cui si deponevano gli strati che hanno portato alla formazione dei depositi più noti di carbone.

Non tutti sanno che prima di Wegener anche un geologo americano, Frank B.Taylor (1860 – 1938), aveva pensato che i continenti fossero in movimento. Ma anche in questo caso il problema è il meccanismo: Taylor propose che i continenti si muovessero verso l'equatore perchè nel terziario la Terra avrebbe catturato la Luna. Taylor non riuscì a spiegare però perchè ci sono tracce evidenti di formazione di catene montuose ben prima del terziario.


Verso la fine degli anni 20 altri scienziati cominciarono a pensare al mantello terrestre come la causa dei movimenti dei continenti e dello scatenarsi dei cicli orogenici. Fra loro si distinsero in particolare l'irlandese John Joly (1857 – 1933), il britannico Arthur Holmes (1890 – 1965) e l'americano David T. Griggs (1911 – 1974). Joly (immagine a sinistra) ipotizzò dei cicli di riscaldamento dovuti al calore generato dalla radioattività, supponendo  che questi cicli influenzassero la dinamica della crosta. Holmes andò avanti su questa strada e fu il primo a parlare di correnti convettive nel mantello terrestre.

Purtroppo Wegener fallì in un punto focale: la rmancanza di un convinecente meccanismo per questi movimenti. Quindi dopo la sua morte, avvenuta in Groenlandia durante l'ennesima spedizione in quella terra di cui è stato uno dei primi fondamentali descrittori, il dibattito fra fissisti e derivisti si è fermato, nonostante che la deriva dei continenti avesse un autorevolissimo sostenitore come Arthur Holmes (il cui libro, Principles of physical Geology detto anche semplicemente “l'Holmes” è stato una Bibbia per molte generazioni di studenti).

In un congresso tenuto a New York nel 1928 ci fu una prima ricapitolazione della situazione. E le cose andarono male per Wegener e soci, anche se le conclusioni del presidente, l'olandese Willelm Van Watershoot (1873 – 1943) lasciarono qualche speranza: la deriva dei continenti era sicuramente più fondata di quella dei ponti continentali per spiegare la distrubuzione delle faune e delle flore del passato, ma fino a quel momento non era stato trovato un meccanismo plausibile per spiegarla, anche se c'è la possibilità di trovarne uno in futuro. Mai parole furono più profetiche!

Con la morte di Wegener e nonostante l'influenza di Holmes e la fissazione teorica delle correnti di convezione nel mantello che nel 1939 presentò Griggs, la deriva dei continenti andò in naftalina, appena citata dai testi universitari come una curiosità .
Le uniche voci fuori dal coro, guarda caso, provenivano da geologi dell'emisfero australe: per loro la distribuzione delle tilliti permocarbonifere, la geologia di Sudafrica e Sudamerica e altre caratteristiche del paleozoico delle loro regioni erano più spiegabili così che con la fissità dei continenti, per la quale la distribuzione di carbone (fasce tropicali) e tilliti (zone polari) è veramente un rompicapo. Però il problema, al solito, era trovare un meccanismo adeguato.


Proprio un sudafricano, Alexander Du Toit (1878 – 1948), scrisse nel 1937 un libro che dedicò a Wegener: “Our wandering continents” . Era stato  dimostrato proprio da Wegener stesso -  studiando il sollevamento postglaciale della Scandinavia - che il mantello terrestre avesse una discreta plasticità,  Du Toit propose una ipotesi sul movimento dei continenti tutta centrata sulla gravità e sulla deformazione lungo le coste dei continenti in quelle che all'epoca si chiamavano “geosinclinali”: per l'accumulo di sedimenti la geosinclinale sprofonda lentamente nel mantello plastico e questo “richiama” la crosta continentale verso la geosinclinale stessa, crosta che però essendo più rigida, si può spezzare, innescano la risalita dei magmi degli archi magmatici.

Comunque anche i geologi avevano difficoltà a capire la sovrapposizione delle varie unità che compongono le catene orogeniche: già negli anni 20 Steinmann aveva dimostrato che i basalti dell'Appennino non potevano essersi formate dov'erano, in quanto sotto di loro non c'erano tracce dei condotti di alimentazione di questi magmi.
Per spiegare la formazione delle catene a falde il concetto di geosinclinale fu ampliato e complicato ma senza riuscire a fornire un meccanismo plausibile, pensando anche in questo caso che movimenti gravitativi fossero la causa della sovrapposizione delle falde alloctone (“sequenze di eugeosinclinale”) sopra quelle “autoctone” appenniniche (definite di “miogeosinclinale”).

Tutto rimase “fermo” (nel pieno senso della parola!) per un paio di decenni, poi avvenne qualcosa di inaspettato: le ricerche sul magnetismo portarono prima a scoprire le inversioni del campo magnetico, poi che c'era qualcosa che non tornava: per esempio in alcune rocce inglesi del triassico si osservava non solo una direzione che non era quella attuale, ma anche una l'inclinazione più da zone tropicali che boreali. Quindi o si erano mossi i poli o si era mossa l'Inghilterra...

La cosa incoraggiò il cosiddetto “gruppo di Londra” a verificare le cose in altre parti del mondo (qualcuno sostiene che il tutto si deve all'influenza di Holmes, che aveva intuito i possibili sviluppi della scoperta). L'India fu sostanzialmente una conferma: i dati indicavano che la zona di Bombay, ora a 19 gradi di latitudine nord, doveva essere nel Giurassico a 40° sud. Il confronto fa India, Inghilterra e altre zone del pianeta dimostrò che le cose non tornavano lasciando i continenti dove sono adesso e fu un primo colpo contro i fissisti.

Siamo nel 1955, 27 anni dopo il congresso di New York. Nonostante questo altri studiosi continuavano a sostenere che questi dati provavano poco. Alcuni, non so come, continuavano a sostenere che questi dati fossero compatibili con la fissità dei continenti. Altri invece pensavano che il magnetismo terrestre avesse assunto nel passato altre forme. Il dogma dei continenti fissi era ancora più forte dei nuovi dati, ma progressivamente si stava preparndo allo scioglimento, come un iceberg alla deriva verso acque più calde.

Nel 1963 John T. Wilson scrisse su Scientifica American il famoso articolo “La deriva dei continenti” in cui fece il famoso parallelo fra l'Oceano Atlantico da una parte  e Golfo di California e Mar Rosso dall'altra, considerati degli atlantici in apertura al di sopra di una zona di risalita di una corrente di convezione nel mantello. Correttamente raffigura le catene del Pacifico centrale come tracce del passaggio della zolla pacifica su un plume di materiale in risalita dal mantello profondo. Altrettanto correttamente le fosse oceaniche sono indicate come le zone dove la corrente convettiva riscende nell'interno del pianeta.
A dimostrazione della pioniericità l'articolo ipotizza nell'Oceano Indiano una dorsale in più che non esiste.

Da allora proprio grazie alla Tettonica a Zolle qualsiasi fenomeno geologico è stato inquadrato e correlato agli altri utilizzando questa intelaiatura, che ha ridisegnato completamente le Scienze della Terra facendole passare dall'infanzia alla maturità. Dopo astronomia, chimica, biologia e fisica, anche la geologia ebbe la sua teoria unificante

La riduzione della deforestazione in Brasile: una buona notizia in margine a Copenhagen


Avevo deciso di non parlare di clima in questi giorni, visto che ne parlano tutti i giornali, spesso con rara (in)competenza e occupandosi più di incidenti e persone che di fatti scientifici.

Ma mentre grandi e meno grandi uomini e donne di governo parlano di qualcosa che purtroppo temo resterà utopia (e gli abitanti di alcune isole del Pacifico si preparano a una nuova vita in altri luoghi), persino Benedetto XVI accosta a terrorismo e guerre i danni perpretrati all'ambiente dall'uomo, scrivendo che “l'abuso del pianeta e dell'ambiente da parte di politiche nazionali e internazionali minaccia l'umanità e il suo futuro quanto le guerre e il terrorismo, ed è "irresponsabile" rimanere indifferenti di fronte a questa emergenza” . Manderemo gli inquinatori e i loro lacchè politici a Guantanamo? Speriamo, ma la vedo dura....


Intanto su “Le Scienze”, che sicuramente in questi argomenti è più autorevole del vicepresidente del CNR laureato in storia, compare un articolo in cui due ricercatori, Mark Z. Jacobson della Standford University (dove dirige l'Atmosphere / energy program”) e Mark A. Delucchi della Università della
California ci informano della possibilità di arrivare entro il 2030 ad ottenere tutta l'energia elettrica da fonti rinnovabili (e ci prospettano come). Visto l'importanza delle istituzioni a cui appartengono immagino che siano persone da prendere in considerazione. Come ostacolo principale indicano soprattutto le
lobby energetiche attuali, almeno finchè ci sarà petrolio. Si sono dimenticati che in Italia abbiamo Sgarbi e Italia Nostra che si oppongono all'eolico (e assieme a Bondi anche al tram di Firenze, ma lì sono giustificabili: non devono attraversare la città per andare e tornare dal lavoro come un qualsiasi bischero come me...).

Noto anche che mai come in questo giorni abbondino articoli ed informazioni sul cosiddetto “terzo polo” che, guarda caso, è più o meno al centro come Casini & c.: ma siccome le notizie parlano del suo scioglimento molti apprendono che non è la nota forza politica italiana ma quella zona attorno all'Himalaya carica di nevi e ghiacci perenni.

E mentre in Australia sono in allarme per un enorme iceberg che si sta dirigendo contro il continente – isola, una buona notizia arriva dal Brasile: la fine della deforestazione è vicina?

E' noto a tutti che la deforestazione nelle zone equatoriali sta procedendo a ritmi serratissimi (ma nessuno pensa di riforestare in Europa dove lo abbiamo fatto massicciamente nell'ultimo millennio?). Inoltre, dopo legno, caffè, tè, ananas, cacao e quant'altro, olio di palma e biocarburanti sono gli ultimi ritrovati delle multinazionali per affamare e distruggere i paesi poveri per dare materia prima a basso costo a quelli ricchi.


In Brasile abbiamo invece una eccezionale inversione di tendenza: il tasso di deforestazione è sceso del 64 % !!! un risultato a dir poco sorprendente, visto le tendenze attuali nel resto della fascia equatoriale. Come è stato possibile tutto ciò? Daniel Nepstad del Woods Hole Research Center ci informa di questo su Science. Innanzitutto c'è stata la volontà politica di fare questo, con l'obbiettivo di conservare l'80% (!) della foresta amazzonica originaria. Per cui, escludendo dal mercato la soia e la carne provenienti da zone deforestate e sorvegliando attentamente per evitare deforestazioni illegali, la nazione sudamericana è riuscita ad arrivare a questo livello, con l'obbiettivo di raggiungere entro il 2020 la fine delle operazioni di deforestazione.

Certo, non è una cosa indolore: si calcola che tra oggi e il 2020 ci vorranno dai 6 ai 18 miliardi di dollari per questo progetto: aiuti per i popoli della foresta (che fino ad oggi dalla civiltà hanno ricevuto più guai che altro), identificazione dei ranch abusivi, migliorare il corpus legale sull'ambiente, istituire e governare aree protette.

Il risultato sarà importante, anche come riduzione delle emissioni di CO2 e soprattutto costituisce un modello (e un precedente) interessante. Purtroppo la situazione politica di molte nazioni equatoriali, più o meno in mano a varie compagnie interessate allo sfruttamento indiscriminato delle risorse, non permette ancora di fare così.

Una notizia del genere, nella coda della conferenza di Copenhagen mi mette sostanzialmente di buon umore e mi dà una speranza che non tutto sia perduto.

lunedì 14 dicembre 2009

Gli intellettuali, l'evoluzionismo e la tettonica a zolle: la comunità scientifica non è poi così impermeabile alle novità

Arianna editrice, nella sua presentazione dice: pubblichiamo dal 1998 studi e ricerche in forma saggistica, che propongono analisi e indagini autorevoli, approfondite e documentate del mondo in cui viviamo, con particolare attenzione al rapporto tra uomo e natura, affrontando temi e argomenti culturali, sociali, politici, economici e storici.

Vi prevengo dal pensare che la voce “culturali” abbracci anche la “cultura scientifica”. Trovo simpatico pensare che nel rapporto uomo – natura non ci sia spazio per la scienza. O, meglio, uno spazietto c'è. Ho scovato un libello di Fabrizio Fratus, che si intitola “Nomenclatura intellettuale ignorante su scienza e filosofia”. Fratus appartiene alla A.I.S.O., la Società Italiana per lo Studio delle Origini. Ovviamente si tratta di creazionisti. La motivazione fondamentale è che secondo Fratus è indecente che gli scienziati italiani sostengono quasi tutti l'evoluzionismo, mentre ci sono solo pochi illuminati che invece danno a Dio il suo vero posto nella storia dell'universo.

Cominciamo a leggere la presentazione di questo capolavoro: In Italia, si sa, la cultura passa solo tramite una certa cerchia di accademici e se non si è della “cricca” evidentemente non si può avere nessun tipo di risonanza culturale; sono i fatti a constatarlo, oggi il dibattito culturale in Italia è morto e sepolto. Domina il pensiero unico che è sostenuto proprio da coloro che lo contestano a livello mondiale.


Eccellente la questione del pensiero unico, quando poi sono loro a voler imporre il proprio, per di più deformando la realtà e i dati. Che poi a parlare dei fatti di scienza se ne debbano occupare soprattutto scienziati mi sembra ovvio. E se parlano più dei fatti che di speculazioni filosofiche sinceramente li capisco...

In tutti i campi vi è una nomenclatura intellettuale autoreferenziale organizzata a tal punto che ogni questione o ipotesi non condivisa viene automaticamente oscurata e derisa. È una scuola che nasce lontano ed è crescita nell’indifferenza relegando oggi l’Italia al provincialismo culturale.
Nel mondo si dibatte e si discute su evoluzionismo e Disegno Intelligente, su Neodarwinismo e neocreazionismo, su ateismo e teismo… in Italia no. Appena qualcuno fa notare che la teoria di Darwin è in crisi in America, in Europa, in Russia etc. la nomenclatura intellettuale si chiede a riccio e dà dell’imbecille a coloro che fanno notare un dato evidente a tutti, cioè che le scoperte scientifiche hanno sviluppato correnti di pensiero che negano “l’ideologia naturalista” (sic!).

Continuo a non capire dove e perchè sia in crisi il darwinismo. Certo, se per loro anche Gould criticando l'eccessivo gradualismoi del darwinismo passa automaticamente dalla parte dei creazionisti di critiche a Darwin ne sono state fatte tante.... no,  Fratus nega l'evidenza:  l'impianto teorico del'evoluzionismo regge benissimo anche se in alcune parti ci sono delle variazioni rispetto all'originale (per esempio la questione gradualismo / puntualismo). Ma nessuno con la testa sulle spalle sconfessa Darwin nel senso che l'evoluzione non c'è stata.
A proposito di disegno intelligente: a me che credano questo mi può stare bene. Il concetto “l'evoluzione c'è stata ma è stata guidata da un Essere Supremo” è più o meno equivalente al concetto della Provvidenza Divina nella storia. Però non capisco allora perchè sui testi scientifici va messo e su quelli di storia no. In quanto alla presunta mancanza di flessibilità della comunità scientifica italiana ed internazionale ci tornerò sopra alla fine del post.

Già il solo fatto che la teoria di Darwin è sostenuta da 14 teorie diverse di cui molte che si contraddicono tra loro dovrebbe fare riflettere.
Mi sfugge questo aspetto. Qualcuno ha in mano qualcosa sull'argomento? Io pensavo che Darwin avesse sviluppato la sua teoria soprattutto in base alle osservazioni durante il suo leggendario viaggio intorno al mondo. Certo non partiva da zero, conosceva bene la querelle fra creazionisti e, come si chiamavano allora, trasmutazionisti. Ricordo ancora che era nato creazionista (come ci resterà per sempre il capitano Fitzroy) e viaggiando, quindi incamerando dati, cominciò a rendersi conto che le cose stavano in modo diverso. E che anche Wallace arrivò alle stesse conclusioni indipendentemente da Darwin.

La cosa che ci interessa però è fare notare come l’argomento, nel resto del mondo, sia di attualità. Solo 5 anni addietro, precisamente nel 2004, Antony Flew, uno dei più famosi atei al mondo, se non il più importante in quanto ha trattato l’argomento sull’ateismo in moltissimi suoi libri costruendone un sistema di pensiero, ha cambiato la sua visione del mondo: da ateo a teista.
Siamo alle solite: si parla di filosofia e non di scienza. Ennesima dimostrazione della costruzione di castelli in aria, come le dissertazioni su quanti figli hanno avuto Adamo ed Eva.
Una disquisizione filosofica che non vedo cosa ci possa entrare con la scienza. Né capisco a cosa possa servire parlando di evoluzione, dove contano i fatti e cioè dati ed osservazioni su genetica, biologia, paleontologia, zoologia, botanica, geologia etc etc

Ma in Italia, la notizia, non è stata divulgata, si è letto qualcosa ma senza nessun commento… meglio fare dimenticare subito la notizia, mica che poi si apra un dibattito sull’argomento… mica che si decida di discutere su una certezza come la teoria di Darwin e l’ateismo.
A parte che in Italia da diversi anni si parla molto più di calcio, veline e gossip che di cose serie, purtroppo il dibattito è stato aperto, eccome se è stato aperto..... e anche su Science è apparso un articolo su De Mattei & c. Articolo che non è propriamente entusiasta del fatto che “anche in Italia finalmente si parla di certe cose”, tantomeno del nostro vicepresidente del CNR. Anzi, contribuisce a mettere ulteriormente alla berlina l'immagine del nostro Paese, già ampiamente compromessa in altri campi.

Sembriamo quasi la Turchia. Ed è questo il divertente: proprio questa schiera di cristiani fondamentalisti, che si erge a paladina dell'Europa dalle radici cristiane contro i turchi e gli altri islamici, ha una sensibilità in questioni scientifiche molto più vicina a quella dei turchi che a quella del mondo occidentale.
E' chiaro ed evidente che Fratus falsifica la realtà, quando dice che solo in Italia l'antievoluzionismo non ha diritto ad esistere e che “andiamo controcorrente restando esclusi dal dibattito culturale mondiale”: è proprio il contrario: andiamo avanti così e faremo proprio la fine della Turchia, che non mi sembra proprio al centro di tutto ciò

Siamo ancora figli dell’ideologia dell’800. La nostra nomenclatura scientifica non segue l’evidenza del progetto come hanno fatto e fanno i più grandi scienziati della storia. In Italia non si parla della teoria dei fisici denominata “Mente Divina”.
Anche su questo ho un buio assoluto e neanche una ricerca con Google mi ha dato qualche notizia. Il noto motore di ricerca fa parte quindi della congiura anticreazionista? Ho provato con altri motori, ma niente da fare. Una congiura demo – pluto – giudaico – massonica della Rete tutta? Lascio a voi i commenti.


E ora veniamo a parlare di cose serie. Fratus Blondet la “banda De Mattei” & c. sostengono che gli scienziati formino una lobby antireligiosa incapace di cambiare idea. Su questo trovano una ricca smentita sulla questione della Tettonica a Zolle.


Quando Wegener pubblicò la sua teoria della deriva dei continenti, ne 1913, non si può certo dire che la scienza ufficiale gli disse “bravo! che bella pensata!!”... tutt'altro. Questa atmosfera continuò fino agli anni 60. Certo, era un po' strano vedere la distribuzione delle forme di vita sul pianeta, per cui era ammessa la presenza di “ponti continentali” che in alcune fasi avrebbero unito i continenti. Gli unici geologi che continuavano a pensare che Wegener avesse ragione si trovavano nell'emisfero sud: qualche sudafricano come Joly, per esempio. Questo perchè vedevano una certa somiglianza fra Sudamerica e Africa meridionale, per esempio. Però si scontravano con un problema gravissimo: non erano in grado di trovare il motore di questi movimenti.
Ricordo negli anni 50 o primi 60 un episodio significativo: a un geologo professore di una università americana fu donata nel corso di una festa un'ancora "per tenere fermo il nordamerica nel caso si muova”. Questo per dire che fino a metà degli anni 60 del XX secolo i pochi che sostenevano i movimenti dei continenti erano messi in disparte e considerati dei pagliacci.

Poi in un tempo brevissimo le cose cambiarono bruscamente: i dati di Hess, Dewey, Wilson e compagnia portarono a pensare che le cose andavano diversamente e cioè che i continenti siano zattere alla deriva provocata dalla formazione di nuova crosta oceanica lungo le dorsali mediooceaniche. E il DSDP, Deep Sea Drilling Project (progetto di carotaggio nei mari profondi),  carotando i fondi oceani confermò indati sull'etàdella crosta oceanica.

Il cambio fu così brusco che qualcuno fece notare un fatto curioso: studenti che entrarono all'università con i continenti fissi, ne uscirono con i continenti che si muovevano (e laureandosi in corso, non al settimo anno fuoricorso come il sottoscritto..)!! Cioè, grazie ai dati, ci fu un totale, istantaneo cambio nel “pensiero geofisico”. Ne sono testimoni articoli come “La tettonica a zolle crostali”, "i fondi oceanici" “La subduzione della litosfera”, “correnti connettive nel mantello terrestre”. La generalità dei titoli di questi lavori ne dimostra la loro precocità rispetto alla letteratura sull'argomento. Questo succedeva 40 anni fa circa, non secoli fa.

Qual'è stata la motivazione principale del trionfo della Tettonica a Zolle? Che improvvisamente, trovato il “motore”, è stato più semplice considerare i continenti mobili anziché fissi e molto più difficile (anzi, impossibile) pensare alla formazione di “ponti continentali” per spiegare la distribuzione delle faune e delle flore del passato.
Un esempio molto calzante su come la comunità scientifica internazionale sia pronta ad accogliere il nuovo, e sopratuttto una novità che sta alla geologia come l'evoluzione delle specie sta alla biologia. Altro che una comunità chiusa in se stessa e incapace di accogliere le novità. Sbaglio?

A questo proposito noto che negli anni 70 fiorì una certa letteratura contro la tettonica a zolle alimentata da oscurantisti vari, a partire dai cultori di Atlantide. Esattamente come continuano a fare negli ultimi 150 anni con motivazioni scientificamente pretestuose i sostenitori del creazionismo.

mercoledì 9 dicembre 2009

Il traffico a Firenze: esame e possibili rimedi


La mattina di venerdì 4 dicembre 2009 è stata veramente “terribile” per Firenze, a causa di uno dei più colossali ingorghi che ci siano stati nella città. Un po' di pioggia e tutti a prendere l'auto anziché motorini e biciclette (ma in Danimarca come fanno ad andare in bicicletta tutto l'anno?). Personalmente per andare a lavorare devo attraversare tutta la città. e di solito passo dal centro in bicicletta.  Mi fa una fatica terribile prendere la macchina: odio dover parcheggiare, le code, fermarmi ogni mezzo minuto ai semafori etc etc. Inoltre in macchina come ogni italiano medio divento nervoso. Quel giorno, complice l'ora e la pioggia ho preso l'autobus anzichè la bicicletta (la macchina neanche a parlarne) e alle 7.30, piuttosto tranquillamente, ero a lavorare, quindi non ho fatto in tempo a vedere il macello. Me lo hanno raccontato. Ho scritto in proposito un articolo su “Nove da Firenze” che riporto integralmente.

Qualche tempo fa su una televisione locale lombarda ci fu un interessante scambio di vedute e punzecchiate tra un politico svizzero e uno italiano. L'elvetico ha detto che in Ticino e a Berna sono molto preoccupati perchè in Italia non si fa niente per le ferrovie di valico, se non parlare, Il politico italico ha risposto che in Lombardia sono in corso le costruzioni di alcune nuove importanti arterie stradali come la nuova Brescia – Bergamo – Milano, la Tangenziale Esterna di Milano e la Pedemontana, però a proposito di valichi transfrontalieri è impossibile fare la tangenziale di Varese fino al confine di Stato (a cui Varese è molto vicina) perchè gli svizzeri non hanno deciso di fare l'autostrada di la del confine.
Al che il confederato ha ribattuto che forse il collega non sapeva che sia la Svizzera che l'Unione Europea hanno una politica dei trasporti, a differenza dell'Italia, ed hanno scelto di favorire il ferro; quindi si scordi per ora e per sempre altre autostrade verso l'Italia.

Questo è fondamentalmente il problema dell'Italia. Si è sempre privilegiato la mobilità privata su automobile al posto di quella pubblica, su gomma o su ferro. E caratterialmente l'automobile si confà meglio all'individualismo dell'italiano medio.

La verità del famoso ingorgo di venerdì 4 dicembre sta in parte anche in questo: se tutti i fiorentini usano la propria automobile per girare per la città, specialmente in ora di punta, non è possible che tutto fili liscio, considerando pure che ai residenti nel comune sommiamo le persone che a Firenze entrano la mattina (basta vedere cosa sono la zona del Galluzzo e il tratto terminale della A11 per rendersi conto di quanti siano).



Occorrono però alcune considerazioni.

1. La soluzione però non può essere quella di costringere la gente a lasciare la macchina a casa: oltre a ledere degli inalienabili diritti della persona bisogna considerare che per alcuni è necessario andare in macchina: c'è chi non ha alternative perchè deve andare in una zona non coperta da servizio pubblico o per l'orario o per il luogo, c'è chi deve trasportare cose pesanti o ingombranti (a cominciare dalla spesa) o persone con difficoltà di movimento etc etc.

2. Ma d'altro canto la soluzione non può essere quella adottata da molte persone che “prendono l'auto anche per andare in bagno: fino a quando c'è gente che solo per andare a lavorare o a guardare i nipoti prende la macchina per fare San Frediano – Piazza Libertà o il Barco – Sant'Jacopino andremo poco lontano (e lo faremo molto piano per giunta...)

3. Poco tempo prima della contestata chiusura di Piazza Duomo ero sul posto assieme a un tedesco, il quale mi ha fatto notare come in Germania, Austria e Svizzera una zona come quella sarebbe già stata chiusa da un pezzo al traffico privato e ci si sarebbe arrivati in tram.

Quando gli ho spiegato che le tramvie sono avversate da una parte della popolazione (e della politica) mi ha guardato come se appartenessimo ad un altro continente, se non pianeta.

4. Il trasporto pubblico è già una soluzione economica per l'utente, ma ha poco fascino essenzialmente per le lunghe attese alle fermate, i ritardi, il tempo impiegato per attraversare la città e l'elevato affollamento dei mezzi.

Non sarebbe poi così difficile migliorare il servizio pubblico: non so se vi è mai capitato di prendere un autobus la mattina prima delle 7. La puntualità è vicina alla perfezione. Anzi, è bene arrivare alla fermata un paio di minuti prima dell'orario previsto. Il segreto? In città non c'è ancora traffico.

Allora, se si vuole evitare la ripetizione degli ingorghi come quello dell'altro giorno la ricetta è una sola: privilegiare il trasporto pubblico (su gomma e su ferro) e limitare volontariamente l'uso del mezzo privato ai soli casi realmente necessari: il momento che l'utente ha a disposizione un'alternativa comoda, veloce e anche più economica è più facile che lasci la sua automobile dov'è.



 Come fare?

1. Occorre isituire Innanzitutto corsie preferenziali per gli autobus, ma non “a pioggia”: occorre vedere linea per linea quali siano i punti più critici e cercare soluzioni ai problemi.

2. Occorre capire se hanno senso le cosiddette “linee forti” che attraversano la città da un lato all'altro quando, prendendo ad esempio la linea 23, nella quale le conseguenze di un ingorgo al Ponte di Mezzo (o di quello dell'uscita dal Nuovo Pignone) si riflettono sulla puntualità del servizio fino a Gavinana, Sorgane e Nave a Rovezzano.

3. Occorre razionalizzare il servizio di raccolta dei rifiuti per non arrecare grossi disturbi alla corcolazione degli autobus.

4. Occorre, ebbene sì, come in altre centinaia di centri urbani dell'Europa più civile (Germania, Austria, Svizzera, Francia, Belgio, Olanda, Danimarca) la costruzione delle tramvie, che sono un sistema capace di trasportare comodamente e velocemente un numero di persone che il traffico privato e quello degli autobus non si sognano nemmeno da lontano.

5. Occorre sistemare i flussi della viabilità: è inutile avere strade che si allargano e poi si stringono: la strettoia porterà sempre un ingorgo, come può spiegare facilmente un matematico che conosce la “teoria delle code”

6. Occorre una vera rete di piste ed itinerari ciclabili seri, non piste ciclabili spot sui marciapiedi

Poi ci saranno sempre quelli che, magari persino con solide “radici cristiane”, mi dà noia stare su un autobus o un tram fianco a fianco con degli extracomunitari, quelli che il bambino lo porto a scuola con il proprio SUV anzichè con un (eventuale) servizio di scuolabus o quelli che prendo la macchina perchè devo andare a comprare il giornale. Ma questa è un'altra storia. Di mancanza di senso civico.

martedì 8 dicembre 2009

La moglie di Caino: il testo del libro della Genesi e le sue gravi lacune. come si può credervi acriticamente e in spregio a quello che ci racconta la natura?


Come è noto, il libro della Genesi è preso più o meno letteralmente dai creazionisti, nonostante che ci siano alcune cose che tornano poco. Esaminiamo per esempio la questione delle donne della Genesi, in particolare le mogli dei successori diretti in linea maschile di Adamo. Ecco il testo del capitolo 4, fra i versetti 16 e 20:
16Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden.
17Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch; poi divenne costruttore di una città, che chiamò Enoch, dal nome del figlio. 18A Enoch nacque Irad; Irad generò Mecuiaèl e Mecuiaèl generò Metusaèl e Metusaèl generò Lamech. 19Lamech si prese due mogli: una chiamata Ada e l'altra chiamata Zilla. 20Ada partorì Iabal: egli fu il padre di quanti abitano sotto le tende presso il bestiame. 21Il fratello di questi si chiamava Iubal: egli fu il padre di tutti i suonatori di cetra e di flauto. 22Zilla a sua volta partorì Tubalkàin, il fabbro, padre di quanti lavorano il rame e il ferro. La sorella di Tubalkàin fu Naam
Chi era e da dove veniva la moglie di Caino? E quella di Enoch e dei suoi primi discendenti? Risultano tutti figli maschi unici... come la mettiamo?


Ho cercato in rete e ne ho trovate alcune risposte. Fra tutte ne ho scelta una perchè l'ho trovata su un sito interessante e che rimanda a www.creazionismo.org, che considero sito “attendibile” e “autorevole” al riguardo,
La Bibbia non dice specificamente chi fu la moglie di Caino. L’unica risposta possibile infatti è che la moglie di Caino fosse sua sorella o sua nipote o una pronipote, ecc. La Bibbia non dice quanti anni avesse.
Il fatto che Caino, dopo aver ucciso Abele, temesse per la propria vita  (Ecco, tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te; io sarò ramingo e fuggiasco sulla terra e chiunque mi incontrerà mi potrà uccidere” - Genesi 4:14) indica che a quei tempi c’erano probabilmente molti altri figli e, forse, anche nipoti e pronipoti di Adamo ed Eva. La moglie di Caino (Genesi 4:17) era una figlia o una nipote di Adamo ed Eva..


mi fermo un attimo per alcune considerazioni. I teologi (e i filosofi in generale) sono sempre stati bravissimi a scrivere paginate se non libri interi su piccole frasi prese singolarmente nei testi religiosi (con questo non dico che anche nessuno scienziato abbia mai fatto operazioni del genere, per esempio un paleontologo su un misero ossicino...).
In questo frangente mi inchino alla soluzione indicata. In buona sostanza l'interlocutore ci dice che il racconto biblico è lacunoso e ci sono stati altri figli di Adamo ed Eva. Poi aggiunge una cosa assolutamente significativa: Caino dopo il biblico omicidio più della collera del Signore, temeva con una certa terrena praticità la collera dei parenti del morto ammazzato (che bene o male erano anche i suoi). A quando una fiction sull'argomento?
Un mio amico sacerdote invece mi ha detto (scuotendo il capo con disperazione) che secondo i sostenitori dell'integrità del racconto biblico (per i quali – preciso - ha poca stima) questa è una delle soluzioni possibili. Altri pensano invece che Dio stesso abbia creato direttamente altri uomini e/o donne (o, almeno, la moglie di Caino). Anche in questo caso evidentemente sostengono che la Bibbia sarebbe lacunosa.


Aggiungo che dire che probabilmente erano entrambi pienamente adulti, forse con delle famiglie proprie, è almeno apparentemente in contrasto con il testo che solo successivamente afferma “Caino si allontanò dal Signore e abitò nel paese di Nod, ad oriente di Eden. 17Ora Caino si unì alla moglie che concepì e partorì Enoch

Adesso proseguo con quella risposta perchè si va sullo scientifico, e specificamente si parla di genetica!


Poiché Adamo ed Eva furono i primi (e unici) esseri umani, i loro figli non avrebbero avuto altra scelta che di sposarsi fra loro. Dio non proibì il matrimonio fra consanguinei se non molto più tardi, quando ci furono abbastanza persone da non renderlo più necessario (Levitico 18:6-18).
Il motivo per cui spesso l’incesto provoca anomalie genetiche nei figli è che, quando due persone di geni simili (ad es. un fratello e una sorella) hanno dei figli, è di gran lunga più probabile che ne scaturiscano difetti genetici perché entrambi i genitori li hanno essi stessi.
Quando persone di diverse famiglie hanno dei figli è altamente improbabile che entrambi i genitori abbiano gli stessi difetti genetici.
E fin qui tutto bene. Ma leggete il seguito.
Il codice genetico umano è diventato sempre più “contaminato” lungo i secoli man mano che i difetti genetici si sono moltiplicati, accentuati e trasmessi di generazione in generazione. Adamo ed Eva non avevano alcun difetto genetico, perciò questo consentì a loro e alle prime generazioni dei loro discendenti di avere una qualità di salute di gran lunga migliore di quella che noi abbiamo adesso. I figli di Adamo ed Eva ebbero pochi difetti genetici, e forse non ne ebbero affatto. Ne consegue che per loro non comportava rischi contrarre matrimonio fra consanguinei. Potrebbe sembrare strano e perfino disgustoso pensare che la moglie di Caino fosse la sorella. ma poiché Dio cominciò con un uomo e con una donna, la seconda generazione non avrebbe avuto altra scelta che di sposarsi fra consanguinei.


Vorrei sapere cosa vuol dire un essere “geneticamente perfetto”. Secondo l'interlocutore geneticamente perfetto significa “che vive più a lungo”. Mi piacerebbe sapere come potrebbe essere una persona “geneticamente perfetta” per esempio riferendosi all'anemia falciforme. Si sa che se il padre e la madre hanno entrambi questa mutazione, per il figlio difficilmente c'è scampo. Però i portatori sani di questa mutazione hanno un'emoglobina che protegge meglio dalla malaria. In altre parole: se tutti e due i genitori ce l'hanno è un guaio, se ce l'ha uno solo dei due i rischi di contrarre la malaria sono minori (ed è per questo che tale mutazione è ben presente in zone in cui la malaria era diffusa). Questo è un esempio, ma la risposta genetica alle malattie è una delle maggiori forme di selezione naturale e spesso viene fuori casualmente proprio per una mutazione, che rende così un corpo “più perfetto”. Quali erano le persone senza difetti genetici secondo l'interlocutore? Quelle che resistevano meglio alla malaria ma rischiavano di generare un figlio malato o quelle che non correvano questo rischio ma rischiavano più facilmente di morire di malaria?
La risposta scientificamente è duplice: dove c'era la malaria prevalevano i primi, in zone esenti i secondi.
Mi piacerebbe sapere quella teologica. Prima o poi glielo chiederò....


Una ultima annotazione: Caino dopo essere fuggito fonda una città. Ma con quanti abitanti? Lui, la moglie e il figlio? E' chiaro che nessuno pretende una megalopoli, e il termine città poteva riferirsi a un villaggio di una ventina di abitanti. Ma c'era già uno stuolo di discententi di Adamo ed Eva? Dietro Il biblico fattaccio c'era forse una lotta all'interno di un clan o fra due clan che si erano appena formati?


Ecco, questa è una parte del testo, peraltro in democrazia rispettabilissimo come riferimento morale, sul quale si abbeverano da un punto di vista scientifico i creazionisti. Mi chiedo come si possa pensare di pensare alla storia naturale prendendo alla lettera questo testo, che essi stessi ammettono essere così lacunoso rispetto a una questione essenziale come quella della moglie di Caino.  M
Mi risponderanno sicuramente che la Bibbia non si dilunga su particolari di secondaria importanza. Eppure questi mi sembra che una certa importanza ce l'abbiano.... 
 
Che ci fossero dei contrasti fra il racconto bibilico e quello che si legge dalle rocce e dai fossili ne sono accorti molti creazionisti, che infatti proprio per quello hanno ideato e abbracciato l'ipotesi dell'Intelligent Design. 
 
Evidentemente fra i creazionisti il problema è essenzialmente psicologico.

Il guaio è dagli corda come stanno facendo adesso alcuni organi di informazionee mettere certi personaggi in posizioni chiave della ricerca scientifica italiana

venerdì 4 dicembre 2009

De Mattei, Maiani e il C.N.R.: pace armata e/o sconfitta della Scienza?

Telmo Pievani scrive un articolo su Micromega, su De Mattei e il suo libro (o, meglio, il libro curato dall'insigne storico) “evoluzionismo, il tramonto di una ipotesi”. Qvviamente lo stronca e la cosa non piace ai soliti noti. Questa pubblicazione riassume gli atti del famigerato convegno dello scorso 23 febbraio ospitato nelle sale del CNR, convegno che però, precisa De Mattei, "al CNR non è costato un euro" (a parte – considerazione banale – l'uso della sala). Sembra però che il CNR abbia dato un piccolo contributo per la stampa del libro.

In giro si mormora che questo convegno sia sostanzialmente stato deciso perchè nella conferenza vaticana del marzo di quest'anno i creazionisti non erano stati (giustamente) ammessi. In questa sede ùde Mattei ha radunato una manica di personaggi che come unico comune denominatore hanno l'avversione al darwinismo, alcuni dei quali come il genetista Sermonti e il sedimentologo Berthault, ampiamente sconfessati dalla comunità scientifica: francamente leggendo quello che scrivono penso che non sarebbe riuscita ad essere così tremendamente assurda neanche una caricatura di scienziato interpretata da Raimondo Vianello in un varietà degli anni 60 o 70.


Riassumiamo un attimo le referenze di De Mattei. Professore di Storia del Cristianesimo e della Chiesa presso l’Università Europea di Roma, è anche coordinatore del corso di laurea in “scienze storiche”.

E' direttore di “Radici Cristiane” (un concetto significativamente vicino ad una recente polemica politica a livello europeo), e presidente della “Fondazione Lepanto”, nome che ovviamente è tratto dalla nota battaglia del 1571 in cui per la prima volta i turchi furono fermati dai cristiani. Non stupisce che sia visceralmente contrario all'entrata della Turchia nella Unione europea (argomento che non tocco, per carità....). Eppure con i turchi ha una certa affinità culturale, basta leggere la vicenda della rivistaBilim ve Teknik ” (qualcosa come “scienze e tecnologie”). Disgraziatamente, attualmente è anche vice-presidente del CNR

Non rientro nella descrizione del convegno, che trovate qui. Tanto per la crinoca, vi inforno se non lo sapevate che quel numero di Radici Cristiane conteneva altri articoli di un certo spessore, fra i quali uno sulla bellezza della messa in latino (non so perchè ma c'era da immaginarsi che Radici Cristiane sia nostalgica di tutto ciò) e (questa è proprio spaziale!) un’intervista quantomeno deferente al pretendente al trono del Brasile.

Faccio alcune considerazioni.

1. un conto è la sacrosanta libertà di opinione, un altro è spacciare per verità delle idiozie sovrumane e soprattutto dichiarare che una vasta parte del mondo scientifico sia d'accordo con la critica all'evoluzionismo.

2. De Mattei, con la sua carriera di storico del cristianesimo, è l'ennesima dimostrazione che purtroppo personaggi come Benedetto Croce e Giovanni Gentile, le peggiori iatture per la cultura italiana del XX secolo, non rappresentano altro che la punta dell'iceberg di quella massa di cosiddetti “uomini di cultura” che considerano Cultura con la C maiuscola le arti la filosofia e le lettere e si atteggiano a esseri superiori nei confronti di quella scientifica e tecnica, considerata cultura di serie B se non C. Una situazione che esiste solo in Italia.

3. Per cercare di esemplificare il talento scientifico del Nostro, e il suo concetto crociano della superiorità della cultura umanistica basta questa frase: «Dal punto di vista della scienza sperimentale entrambe le ipotesi sulle origini, sia l’evoluzionista che la creazionista, sono inverificabili. Su questi temi ultimi non è la scienza, ma la filosofia, a doversi pronunciare»,
Secoli di scienza quindi non sono serviti a niente: decidono i filosofi. E questo è il vicepresidente del CNR????????


Il commento migliore che ho letto viene dal presidente della Società italiana di biologia evoluzionistica Marco Ferraguti: «I testi inclusi nel volume non hanno nulla a che fare con la scienza, e del resto nessuno degli autori gode di un qualche credito a livello internazionale. Sostengono tesi stravaganti, come quella per cui i dinosauri sarebbero vissuti al massimo quarantamila anni fa. (Gli autori) sono dei perfetti sconosciuti: il più noto è il polacco Maciej Giertich, ex parlamentare europeo criticato per uno scritto di sapore antisemita».

Quindi oltre a mamma li turchi c'è anche un certo antisemitismo.... sempre meglio....

La cosa più divertente è che a parlare di queste idee sono sempre i soliti quattro gatti, come dimostra l'elnco degli oratori ad un altro convegno svoltosi a Roma il 9 novembre dove hanno sparato sempre le solite bischerate. Proprio non capisco dove siano tutti questi uomini di scienza antievoluzionisti che secondo loro si aggirano per le università e i centri di ricerca di tutto il mondo (Turchia esclusa...)

Purtroppo ho l'impressione che la situazione al CNR non debba essere molto tranquilla per gli scienziati e che De Mattei abbia molto potere. Mi domandavo come mai il professor Maiani, presidente dell'Istituzione e fisico noto ben oltre i nostri confini era rimasto in silenzio.

Oddio, anche lui le grane se le va a cercare con il lanternino, visto che la sua nomina è stata molto avversata dai parlamentari della attuale maggioranza per aver osato essere uno dei 67 firmatari della famosa lettera contro la Lectio Magistralis che Papa Ratzinger doveva tenere alla Sapienza un anno fa. Fra parentesi ne avevano provate di tutti i colori per demolirlo scientificamente, ma “stranamente” non ci sono riusciti.

Alla fine ho l'impressione che De Mattei sia stato messi lì proprio per ostacolare l'attività scientifica.

Allora, l'unica uscita di Maiani sull'argomento è stata questa, a seguito di un articolo pubblicato sul Corriere della Sera del primo dicembre: In merito all'articolo "Darwin mette in imbarazzo il Cnr - Lite tra studiosi sul creazionismo" (1.12.2009), voglio precisare che "il carattere aperto della ricerca intellettuale" e la "personale contrarietà a ogni forma di censura delle idee" per me e per il Consiglio Nazionale delle Ricerche non sono un "contentino", come afferma l'articolo, ma valori fondanti, coerenti con la civiltà del nostro Paese. Con l'occasione intendo ribadire con forza - al di là delle diverse posizioni culturali - i rapporti di stima, amicizia e proficua collaborazione che mi legano al Vice Presidente, prof. Roberto de Mattei.

Il quale, da par suo, risponde: Relativamente all'articolo "Darwin mette in imbarazzo il Cnr, Lite tra studiosi sul creazionismo" (1/12/09), desidero precisare che le possibili differenze di pensiero sull'evoluzionismo o su altri temi di carattere culturale non fanno velo alla stima e alla piena sintonia che esiste tra il Presidente del CNR, prof. Luciano Maiani, e me circa la governance dell'Ente e il futuro della ricerca in Italia.

Spero solo che questa sintonia sia solo a parole. Perchè altrimenti visto il titolo di una sua pubblicazione e cioè "il CNR e le scienze umane, una strategia di rilancio" il futuro della ricerca in Italia mi terrorizza....

Purtroppo temo che la mia sia una speranza vana: un ricercatore del CNR, di cui ovviamente taccio il nome, mi ha scritto queste testuali parole: “la posizione di Maiani fa cadere le braccia! E' ovvio che non vuole rogne. Comunque la cosa ormai é stata denunciata anche in alto loco. Se non si muovono loro, non so quanto serva che qualche peone come me alzi la voce”.

Semplicemente frustrante.Sinceramente in un clima del genere non mi pento di non aver neanche tentato di intraprendere la Scienza attiva in favore dell'industria metalmeccanica prima e della grande distribuzione poi....

mercoledì 2 dicembre 2009

Acanthostega e l'origine dei tetrapodi


Innanzitutto mi devo scusare con un lettore, Simonpietro, a cui non ho più risposto. Ma come vedete a novembre ho combinato molto poco su Scienzeedintorni perchè in questo periodo sono stato molto impegnato su diversi fronti.
In uno dei suoi primi post, quando gli citai l'ornitorinco come un animale “nel guado fra rettili e mammiferi”, un misto di caratteristiche rettiliane e mammaliane, lui scrisse, citando Harun Yahya e il suo “dilemma della forma di transizione” che "Gli esseri di cui gli evoluzionisti hanno bisogno, per confermare la loro teoria dell’evoluzione, sono delle vere forme di transizione, non dei mosaici. E queste forme dovrebbero avere organi carenti o mancanti del tutto, oppure non completamente formati, o per niente funzionali. Al contrario, tutti gli organi delle creature mosaico sono completamente formati e senza difetti."
E' chiaro ed evidente che l'ornitorinco è un animale "completamente formato e senza difetti" (per dirla come Yahya). Ma è anche un “animale mosaico”, per le sue caratteristiche, un po' mammaliane e un po' rettiliane. Andiamo ora negli animali fossili e parliamo del già citato in una di quelle discussioni con Simonpietro Acanthostega.


I dipnoi. pesci polmonati attualmente esistenti, possono usare le pinne carnose come rudimentali arti per spostarsi da una pozza ad un'altra. Addirittura, a dimostrarne la stranezza, il dipnoo sudamericano e quello africano erano stati scambiati per anfibi. La specie africana e quella sudamericana hanno le pinne archipterige, molto simili nella struttura agli arti dei vertebrati terrestri. Questo li colloca fra i Sarcopterigi, pesci che tra il Siluriano e il Devoniano erano molto diffusi. Ora sono molto rari: si contano 3 specie di dipnoi e la Latimeria, un celacanto, l'unico superstite dell'altro gruppo di Sarcopterigi, i crossopterigi e che presenta un polmone totalmente riempito di materiali adiposi, per cui non più funzionante.

Normalmente nei pesci ossei le pinne pettorali si connettono ad una scaglia ossea sulla superficie del corpo. Nei Sarcopterigi invece le pinne carnose anteriori sono sorrette dall'omero che poi si ramifica in radio e ulna. Così succede anche per quelle posteriori. In queste particolari pinne c'era quindi già la struttura principale degli arti dei tetrapodi.
Per molto tempo l'ipotesi sull'origine dei tetrapodi, i vertebrati terrestri (o, meglio, dei loro arti) aveva preso esempio dall'attuale stile di vita dei dipnoi, che usano la locomozione terrestre per muoversi tra una pozza ed un'altra in ambienti semiaridi o con alternanza di stagioni secche e aride. In realtà le cose dovrebbero essere andate diversamente e i tetrapodi sono più vicini ai ripidisti, crossopterigi di acqua dolce o salate costiere, come Tiktaalik o Acanthostega che ai dipnoi, cosa dimostrata anche dalla anatomia comparata. Quindi i dipnoi non sono antenati diretti dei vertebrati terrestri, anche se sono molto vicini, formando rispetto a questi un “gruppo parafiletico” (cladisticamente parlando, anche noi tetrapodi siamo dei crossopterigi....). Inoltre ci sono evidenti prove a favore del fatto che i dipnoi abbiano adottato questo stile di vita in tempi abbastanza recenti, favoriti dall'avere dei polmoni funzionanti.

Quasi due anni fa in un post sulla storia della respirazione nei vertebrati feci notare come molti pesci hanno un polmone residuo (la vescica natatoria) e che la respirazione branchiale non poteva essere sufficiente in alcuni ambienti per cui oltre ad affiancarla alla traspirazione nella pelle molti pesci avevano iniziato a usare la respirazione buccofaringea. Ergo, come dimostrano ancora oggi i dipnoi, c'è stato un periodo in cui in alcuni pesci hanno coesistito branchie e polmoni (più o meno sviluppati). I dipnoi quindi sono un altro esempio degli aborriti “animali – mosaico” di Yahya.

Nel devoniano, per una ventina di milioni di anni, c'è stata una fioritura di forme diciamo così intermedie fra i pesci sarcopterigi e i tetrapodi. Tulerpeton, Tiktaalik, Eustenopteron e altri fossili presentano stadi diversi della formazione degli arti e hanno dimostrato che i tetrapodi erano già tetrapodi prima di conquistare le terre emerse. Eustenopteron e Tiktaalik ancora non hanno degli arti che terminano con delle vere e proprie dita, mentre Tulerpeton sì (e con 6 dita)

Un fossile particolarmente significativo al riguardo è Acanthostega, anche per la completezza degli scheletri e che si colloca in uno stadio intermedio. Per essere è un tetrapode, ma ha delle caratteristiche un po' diverse da quelle degli anfibi con cui è stato spesso confuso
Vediamone alcune in dettaglio: le caviglie non erano adatte a sostenerne il peso dell'animale fuori dall'acqua e le costole erano troppo corte per impedire il collasso della cavità toracica. Era dotato di una grande pinna caudale e gli arti più che gambe assomigliavano a pagaie e alle loro estremità c'erano ben 8 dita (le tradizionali 5 dita dei tetrapodi si affermeranno in seguito: molte creature al passaggio pesci – anfibi erano dotate di più di 5 dita) e le proporzioni delle ossa dell'avambraccio ricordano quelle dei pesci polmonati. Tutte queste caratteristiche sono incompatibili con la vita subaerea come anche la struttura delle branchie, perfettamente funzionanti e interne (gli anfibi, quando le posseggono, si trovano in posizione esterna). Pertanto Acanthostega era più che altro un pesce con delle pinne trasformate in arti, non un anfibio primitivo. Anzi, sulla terraferma proprio non ci poteva assolutamente andare, nonostante che vi vivesse molto vicino: i suoi resti sono stati trovati in sedimenti fluviali. <
In questo animale coesistano strutture tipiche dei pesci con altre che saranno successivamente tipiche dei tetrapodi. E a giudicare dal numero dei fossili, anche Acanthostega era un animalecompletamente formato e senza difetti.
Quindi possiamo dire (anche se Henry Gee inorridirebbe a leggere questa frase) che l'Acanthostega sta tra pesci (sarcopterigi, ovviamente) e tetrapodi come l'ornitorinco sta tra i rettili e i mammiferi placentati.
A questo punto una cosa è sicura: i tetrapodi hanno evoluto gli arti prima di uscire dall'acqua. E anche se in seguito queste strutture hanno rappresentato una eccellente attrezzatura per la conquista delle terre emerse, all'inizio della loro storia non sono serviti a questo. Mancando strutture omologhe fra gli animali odierni non possiamo che provare ad immaginare a cosa servissero questi arti. Siccome forme del genere erano abbastanza diffuse dovevano avere una qualche funzione importante.
Vedendo l'anatomia dei Sarcopterigi è abbastanza intuitivo per un evoluzionista capire come questi arti si sono formati. Ma rispondere alla domanda “a cosa servivano” è un po' più complesso: l'unica certezza è che se si sono evolute a qualcosa dovevano servire ma non essendoci attualmente forme corrispondenti siamo costretti ad ipotizzare. Forse le pinne hanno incominciato ad essere utilizzate per il movimento anziché per una pura funzione di direzionalità: in pratica il pesce oltre a muoversi sinuosamente (come ancora fanno fra i tetrapodi anfibi e rettili) ha incominciato a usare le pinne come pagaie che poi si sono irrobustite ulteriormente.

I fossili dei primi tetrapodi sono stati tutti rinvenuti in sedimenti di zone paludose o lagunari, particolarmente difficili per la presenza di acque basse, stagnanti e piene di residui vegetali per cui anche poco ossigenate. In un ambiente del genere poter respirare direttamente l'aria con la bocca (e i polmoni) e non solo tramite le branchie o la pelle, avere un collo che consentiva di muovere la testa fuori dall'acqua e delle pinne specializzate per districarsi nella vegetazione (viva e morta) sul fondo erano indubbiamente dei grandissimi vantaggi, che hanno successivamente consentito la conquista delle terre emerse.

domenica 29 novembre 2009

un villaggio nel centro dell'Australia assediato da cammelli e le ricadute sulla "filosofia" della conservazione della Natura


Tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX i coloni europei in Australia avevano da risolvere un problema: come spostarsi nei vasti e quasi desertici territori del continente? I canguri erano gli unici animali di una certa stazza ma non erano certo adatti alla bisogna. La risposta fu abbastanza facile: oltre a cavalli e asini che gli europei avevano già introdotto precedentemente in Nordamerica con successo, furono importati diversi cammelli.
Il “progresso” li ha resi inutili abbastanza velocemente: come nel resto del mondo prima le ferrovie e poi le strade fornirono una alternativa più veloce ed efficace per i trasporti.
La situazione di questi animali si è evoluta in maniera diversa che altrove: se negli altri continenti, principalmente Europa e Nordamerica, la nascita dei mezzi meccanici ha provocato una riduzione del numero degli animali da tiro (quanti cavalli da tiro, asini e muli vivono adesso in Europa?), in Australia, complici le grandi distese libere, una parte di loro furono lasciati liberi e colonizzarono l'ambiente, favoriti dal vuoto che gli europei avevano fatto della fauna locale, sia erbivora (principalmente i pochi canguri sopravvissuti), sia carnivori come il tilacino, ormai definitivamente scomparso e peraltro già minacciato dai dingo (canidi importati dai primi uomini che colonizzarono il continente).

In Australia i cammelli hanno avuto buon gioco: privi di nemici e competitori, e straordinariamente adatti all'ambiente arido, sono rapidamente aumentati di numero, riducendo le fonti di cibo per i marsupiali superstiti e portando nuove malattie. Cavalli e asini, parimenti abbandonati, contribuiscono a questa situazione, ma in misura molto minore, a causa del loro minore adattamento all'ambiente locale. Sembra che ci siano almeno un milione di cammelli nell'Australia centrale.


Docker River (Kaltukatjara in linguaggio locale) è un villaggio di circa 400 abitanti (quasi tutti aborigeni) situato quasi al centro del deserto nell'isola - continente, a 400 km circa da Alice Springs che è la città importante più vicina: tanto per dare un'idea del popolamento dell'area, le fonti di informazione ci dicono che il luogo più popoloso più vicino a Kaltukatjara è Kintore, meno di 1000 abitanti a quasi 200 km di distanza!

Nonostante le sue dimensioni non proprio gigantesche, di questo luogo si stanno occupando le cronache perchè la siccità ha provocato una invasione di cammelli che stanno letteralmente assediando i cittadini nelle proprie case. Alla ricerca di acqua i primi animali sono arrivati lì e ovviamente non se ne sono andati. Quindi sono stati seguiti da altri loro simili e adesso ci sono circa 6000 cammelli che assediano letteralmente gli abitanti, i quali non possono uscire per paura di essere calpestati. Una situazione pazzesca e c'è già emergenza sanitaria in quanto ci sono degli animali morti che si stanno decomponendo, vittime della siccità a cui l'acqua di Kaltukatjara non è servita a niente e il rischio di inquinamento della falda acquifera è molto alto. A complicare la situazione gli animali hanno fatto grossi danni alle strutture, distruggendo tutto intorno alle fonti d'acqua (una cisterna in materiale composito o in lamiera di acciaio non può resistere ai loro calci). Persino la pista in terra battuta dell'aeroporto, l'unico sistema di collegamento fra il villaggio e il mondo esterno, ha subito grossi danni. E pensare che i cammelli erano visti fino a ieri come una risorsa: ho letto fra l'altro il progetto di un allevamento che avrebbe dato lavoro a diverse persone!

Quali sono le soluzioni possibili? Con una battuta di spirito si potrebbe dire che è difficile “convincere” gli animali ad andarsene con le buone. Pertanto le autorità stanno pensando ad un abbattimento di massa, dopo aver spinto gli animali fuori città con gli elicotteri. Ovviamente gli animalisti protestano. Il punto su cui focalizzano l'attenzione è rappresentato dalle sofferenze di animali colpiti ma non a morte e per i quali prospettano, giustamente, lo spettro di una lunga agonia (ma probabilmente sarebbero contrari anche a qualsiasi altro sistema per sopprimerli).

Invece propongono di circondare le comunità umane con delle barriere di protezione. La cosa potrebbe evitare a cammelli e dromedari di penetrarle, ma sostanzialmente lascerebbe inalterato il problema a livello generale in quanto quello che succede oggi a Kaltukatjara non è altro che la punta dell'iceberg: le dimensioni di questo stock sono troppo grandi e soprattutto la situazione, senza nemici naturali, potrà definitivamente andare fuori controllo in tutta l'Australia centrale, provocando un disastro.

E soprattutto provocherebbe agli animali una lenta morte per sete. Siamo sicuri che sia una fine migliore di un colpo di pistola, almeno sul piano delle sofferenze?

E' vero che lasciando le cose così entro un certo periodo di tempo (superiore alla scala umana...) la situazione potrebbe stabilizzarsi: poca vegetazione, muoiono i cammelli, ma con pochi cammelli la vegetazione ricresce e allora riaumentano i cammelli e via discorrendo. Questo però sarebbe possibile solo in un sistema senza oasi (naturali o artificiali): è chiaro che situazioni come questa di Kaltukatjara sono destinate non solo a ripetersi ma a diventare frequenti.

Soprattutto in tutto questo nessuno pensa ai residui della fauna locale: che fine faranno in tutto questo marasma?

E' una questione di vitale importanza e quale sarà il sistema adottato per risolverlo costituirà un precedente non da poco per situazioni analoghe. In Australia nelle zone utilizzate per pascolo di bovini e ovini i canguri sono tuttora considerati dei nemici e infatti la loro popolazione viene tenuta sotto controllo con abbattimenti selettivi in mancanza di nemici naturali (che comunque ho la sensazione che, ove sopravvissuti dalle stragi degli ultimi 3 secoli, sarebbero stati fatti fuori per evitare danni al patrimonio zootecnico umano....). Penso che questa sia la soluzione che verrà adottata dalle autorità australiane anche per i cammelli.

Da ultimo mi pongo una domanda: possono essere considerate “naturali” popolazioni animali rinselvatichite originate da importazione da parte di coloni di animali domestici che senza l'intervento umano sarebbero sconosciuti ad un certo territorio? Sono più da proteggere questi o i residui delle comunità locali, di cui si potrebbe cercare un reinserimento nei territori persi a causa della competizione con i nuovi arrrivati?