lunedì 17 novembre 2008

Phoenix e il ghiaccio su Marte


In questi giorni la NASA ha dichiarato conclusa la missione di Phoenix. l'ultima sonda che è stata lanciata su Marte. Mentre i vecchi rover continuano eroicamente a lavorare (ma Spirit ha di nuovo qualche problema con i rifornimenti di energia), Phoenix, che al contrario delle ultime missioni si componeva solo di un modulo destinato a restare fermo, dopo 5 mesi ha cessato i contatti con la Terra. Era previsto: l'inverno marziano non consente alle batterie della sonda di mantenere un livello minimo di operatività. Al di là di qualche critica mossa alla NASA proprio per il tipo di batterie, mai una sonda si era spinta così a nord sul Pianeta Rosso. E ovviamente a stare molto a Nord, come sulla Terra, si ottiene una quantità di energia solare molto inferiore a quella ottenibile all'equatore.
Lo scopo della missione era di trovare sul pianerta rosso traccia di acqua, la cui presenza è stata invocata molto spesso per spiegare aspetti morfologici e mineralogici della superficie marziana. Da molto tempo, grazie alle osservazioni dei satelliti americani ed europei che vi ruortano intorno, si conosce l'esistenza di acqua all'interno del pianeta, ma ancora sulla superficie non se era stata trovata. In alcune situazioni era stata vista: si sa che nelle calotte polari ce n'è come componente accessorio (per la maggior parte sono di anidrite carbonica solida). Addirittura quasi un anno fa un satellite (Mars Reconnaissance Orbiter) aveva catturato le immagini di una valanga. Ma ancora non era stata toccata cum manu da nessuno strumento sulla superficie.
Su Marte le aridissime condizioni metereologiche attuali non permettono alla poca acqua di restare allo stato liquido, se non in zone molto fredde: quando è un po' più caldo diventa immediatamente vapore (non c'è la pressione atmosferica sufficente per poter avere acqua liquida). C'era quindi la fondata speranza che, andando così a Nord, si potesse davvero trovare del ghiaccio:.
Vediamo, dopo la fine della missione, quali sono stati i risultati più importanti ottenuti da Phoenix (premettendo che ancora molti dati devono essere studuati ed interpretati).
Lanciata il 4 agosto 2007 da Cape Canaveral, la nave spaziale è arrivata su Marte il 25 maggio 2008. L'atterraggio di Phoenix è stato seguito anche visivamente, ripreso dalla sonda Mars Reconnaissance Orbiter, che orbita intorno a Marte dal 2006 e che, assieme alla sorella Mars Odissey, serve anche come ponte per le comunicazioni tra il lander e la Terra.
Phoenix, oltre ad una serie di strumenti per osservazioni meteorologiche, ne possiede altri per determinare la composizione di campioni di suolo e di roccia che il braccio robotizzato preleva dalla superficie. In aggiunta c'è una serie di macchine fotografiche che funzionano su varie frequenze nel visibile e nell'infrarosso e consentono una visione a 360 gradi
La missione parte con i migliori auspici: già 5 giorni dopo il perfetto atterraggio, dalle prime foto sembra di vedere del ghiaccio d'acqua: atterrando il lander ha mosso la polvere sul suolo marziano, scoprendo delle superfici brillanti che paiono davvero essere di questa sostanza.
Dopo qualche giorno di prove tecniche, il braccio inizia a prelevare campioni dal suolo. Le prime prove reali della presenza di ghiaccio nel suolo marziano delle alte latitudini settentrionali vengono alla luce tra il 15 e il 18 giugno: nella fossa scavata dal braccio di Phoenix il 15 c'erano delle fasce brillanti biancastre che 3 giorni dopo sono scomparse: la ovvia spiegazione è che erano composte di ghiaccio che rimane tale se rimane sepolto nel suolo, ma che evapora venendo a contatto diretto con l'atmosfera marziana. Sempre in questa data scavando il braccio ha trovato una superficie piuttosto dura che si pensa possa essere un blocchetto di ghiaccio. Nella foto vediamo il ghiaccio come era quando il braccio ha scavato la fossa, denominata “dodo”.
Alla fine gli strumenti della sonda , nei quali il braccio robotizzato di Phoenix ha immesso diverse volte del materiale, confermano anche chimicamente che si trattava davvero di ghiaccio.
Ma poi Phoenix fa altre scoperte. Il 29 agosto quella più clamorosa: su Marte nevica! Uno degli strumenti installati a bordo ha rilevato a 4 kilometri di altezza sopra il satellite la presenza di neve che poi, nella caduta, si è subito ritrasformata in vapore e quindi non è arivata fino alla superficie. Ma in quota c'era.
Ai primi di settembre altre due sorprese: i sensori notano che un po' di umidità sale dal terreno durante il giorno e vi ricade durante la notte. Succesivamente le macchine fotografiche immortalano dei piccoli tornados sulla superficie del pianeta, come quelli che si formano nelle pianure degli Stati Uniti centrali.
L'attività prosegue frenetica, immettendo negli strumenti della sonda nuovi campioni di materiale e proseguendo le osservazioni atmosferiche. Ma si avvicina la fine della missione, già prolungata di qualche mese rispetto alle previsioni: l'11 ottobre arriva una tempesta di vento e polvere di forza eccezionale che oscura parzialmente il cielo. La situazione precipita e spesso la sonda va in stand-by, per tenere in servizio almeno le funzioni “vitali”.
Ormai non c'è più niente da fare: il 2 novembre la sonda invia un ultimo segnale: purtroppo alla diminuzione normale della luce dovuta all'arrivo dell'inverno, si è aggiunta una nuova tempesta estesa per ben 37.000 kilometri quadrati che portando sabbia in sospensione nell'aria, ha ulteriormente diminuito la quantità di luce disponibile per le batterie solari.
E così il 12 novembre la NASA decreta la fine dell'attività: non c'è più la possibilità da parte delle celle solari di alimentare il lander.
La missione ha comunque centrato l'obbiettivo didimostrare che nelle zone più fredde di Marte esiste davvero l'acqua sotto forma di ghiaccio.
In quanto al suolo marziano, mostra delle similitudini con quello che è esposto nella zona delle “valli secche” dell'Antartide, l'unica zona non ricoperta dal ghiaccio di questo continente. Contiene minerali di nagnesio, sodio, potassio e cloro e altri in modo tale che se questo suolo fosse sulla Terra, potrebbe benissimo essere un suolo adatto alla vita. E c'è una quasi certezza che, miliardi di anni fa, sia stato molto più umido di oggi.
Aspettiamo adesso che vengano elaborti tutti i dati che la sonda ha inviato, in particolare per capire i minerali che compongono il suolo.

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