venerdì 18 luglio 2008

Lo scheletro di Paglicci: 28.000 anni fa in Puglia c'erano veri europei

Sulla rivista open source PLOS ONE è stato pubblicato un interessante articolo da parte di una equipe capitanata da David Caramelli, biologo all'Università di Firenze. E' stato sequenziato il DNA mitocondriale di uno scheletro rinvenuto nel Gargano e risalente a 28.000 anni fa. La cosa più interessante è che questo DNA ricade perfettamente nella "Sequenza di riferimento di Cambridge" e quindi è appartenuto ad un individuo "europeo" dalla testa ai piedi.

Per accertarsi veramente che sia DNA originale e non materiale finito sui reperti proveniente da persone che li hanno maneggiati, è stato sequenziato il DNA di tutte queste persone e confrontato con la sequenza riscontrata nelle ossa. il confronto ha confermato che il DNA analizzato è quello dei reperti e non degli studiosi

Quasi 3 mesi fa pubblicai un post in cui parlai della ipotesi di una europa bascofona prima dell'arrivo degli indoeuropei, ipotesi molto sostenuta da una archeologa tedesca, Elizabeth Hamel. La Hamel suggerisce che l'arrivo delle lingue indoeuropee non sia stato provocato da una invasione di nuove popolazioni che ne hanno sostituito quelle esistenti, ma da un processo di diffusione culturale portata da una elite (militarizzata o meno).

Se guardiamo alle lingue attualente parlate in Europa (e aree limitrofe) vediamo che quelle indoeuropee la fanno da padrone, con alcune eccezioni: se il Basco ha radici molto antiche, sono diversi i casi dei Magiari, che invasero l'Ungheria nel IX secolo e dei Turchi che invasero l'Anatolia a partire dall'XI secolo.
Ebbene, nelle popolazioni attuali dell'Ungheria i geni magiari sono una minoranza, dimostrazione che c'è stato semplicemente un cambio di lingua imposto dai nuovi arrivati che diventarono il ceppo dominante.

Il caso turco è ancora più estremo: è una lingua altaica, tipica di popolazioni con caratteristiche asiatiche di aspetto mongolo (mi rifiuto di parlare di "razza" perchè questo concetto è stato - per fortuna - totalmente smentito dalla genetica), mentre l'aspetto fisico è completamente da europei, il che è peraltro confermato dalla genetica. Quindi in una determinata zona non è indispensabile prevedere un cambiamento genetico massiccio se cambia la lingua.

Il basco invece è un caso completamente opposto: questa popolazione è documentata in zona ben prima della conquista romana e la lingua ha connessioni con le lingue parlate nel Caucaso, pertanto si suppone che sia una lingua molto antica.

Lo scheletro di Paglicci porta indubbiamente nuove prove a vantaggio di questa ipotesi: gli europei moderni potrebbero discendere anche da quella piccola popolazione caucasoide che introdusse in Europa la cultura aurignaziana e che sostituì senza mescolanze (è l'ipotesi più accettata), i neanderthaliani e la loro cultura musteriana.

Ovviamente questi uomini erano ancora dei cacciatori-raccoglitori (l'agricoltura è arrivata oltre 20.000 anni dopo!) e quindi la densità di popolazione era ancora molti bassa e nell'ipotesi della Hamel parlavano una lingua caucasica, affine al basco, lingua che fu perduta all'avvento di quelle indoeuropee ma che secondo alcuni studi è ancora presente in molti toponimi dell'Italia centro - meridionale


ANNOTAZIONE DEL SETTEMBRE 2009: probabilmente non sono stato molto chiaro negli ultimi due capoversi: gli europei discendono in parte dai cacciatori - raccoglitori e in parte dagli agricoltori che nel VI secolo AC invasero l'Europa. C'è poi almeno una terza componente

mercoledì 16 luglio 2008

Il futuro energetico dell'Italia: tra un nucleare incerto e insufficente e una scarsa attenzione alle energie rinnovabili

Per completare il “trittico” sull'energia prendo spunto da un fondo di Marco Cattaneo sull'ultimo numero (luglio 2008) di Le Scienze per parlare del problema dell'energia in Italia, che potrà assumere presto i caratteri di una emergenza, sia tecnica che economica, come successe nell'estate del 2003 e fu evidenziato ancora di più con il grande black-out del 28 settembre dello stesso anno.
Non che sia l'unico problema che riguardi la nostra nazione ed il suo futuro, ma da un punto di vista economico avere energia al giusto costo rispetto agli altri Paesi è fondamentale sia per le attività produttive che per i privati cittadini.
La linea politica italiana è sempre stata molto favorevole agli idrocarburi, forse per il peso politico – economico dell'ENI. Il governo precedente ha comunque introdotto il “conto energia” che viene soprattutto inteso come produzione di energia solare.
Da decenni l'energia solare è sempre stata considerata l'Alternativa con la “A” maiuscola (ricordate il “sole che ride” con la scritta “energia nucleare? No grazie” in varie lingue?), ma purtroppo le statistiche europee sono impietose: al massimo copre lo “zero virgola” dell'energia prodotta, mentre con l'eolico siamo in alcuni casi ben oltre il 5%. La nazione europea con più solare è la Germania, che contribuisce per lo 0.358 % alla produzione di energia. Sarà facile con il “conto energia” e la maggiore generosità del nostro soloe sorpassarla e diventare il paese più “solare” (ora siamo allo 0,010%) ? La strada da fare è tanta, considerando anche il punto debole di questa fonte rinnovabile e cioè la produzione solo diurna (il vento, ad esempio, non ha questo problema). Registriamo comunque in Italia un forte interesse di molti privati, soprattutto di proprietari di terreni o estese coperture di capannoni e quindi il futuro del solare potrà essere più “luminoso”. Purtoppo temo che, comunque, non sarà mai una soluzione “generale”, almeno fino a quando non verranno trovati nuovi pannelli più efficenti (e comunque rimarrà il problema di dove prendere energia di notte, soprattutto d'inverno). Forse il solare accoppiato all'idrogeno, di cui ho parlato nel post precedente, potrà essere più utile?
Per quanto riguarda il nuovo governo, il ministro Scajola ha annunciato in pompa magna la costruzione di quattro impianti nucleari che nel 2020 forniranno il 10% del fabbisogno italiano di energia. Sono molto perplesso: questo annuncio mi sa tanto di pubblicità e, se poi fosse seguito dai fatti, continueremmo comunque ad essere nei guai.
Sono stato fra i pochi che nel 1987 abbia votato a favore dell'energia nucleare, pur conscio dei gravi rischi che comporta. E tutto sommato non sarei certo contrario a questa soluzione per una serie di motivi, a cominciare dalla grande quantità di nucleare presente in Francia e Germania (che rifornisce anche noi....). Ma occorre puntualizzare alcuni aspetti che ne rendono difficile la realizzazione, almeno secondo un cervello “normalmente dotato”.
Premettiamo che una nuova Chernobyl è impossibile perchè i reattori adesso sono tutti protetti da un guscio, come quello che impedì nefaste conseguenze quando un incidente simile (sempre la fusione del nocciolo) accadde nel 1979 a Three Mile Island, in Pennsylvania.
Punto primo: esiste il problema di cosa fare dei residui di materiale: deposito nazionale delle scorie? Riprocessamento? Stoccaggio provvisorio nei fusti a secco in centrale (sapendo che in Italia nulla è più definitivo del provvisorio)? Conferimento all'estero?
L'episodio di Scanzano Jonico è istruttivo al riguardo. Continuo ad essere convinto che quel luogo sia geologicamente inadatto a questo scopo e che l'Italia sia troppo piccola, troppo densamente popolata e troppo recente geologicamente per poterne costruire uno. Sulle difficoltà di localizzare un sito idoneo a questo scopo basti vedere la situazione del (progettato) deposito di Yucca Mountain, nel Nevada. Pur essendo adiacente al poligono nucleare e a ben 80 kilometri dalla città più vicina ancora non siamo a niente ed il governo federale paga 300 milioni di dollari all'anno alle aziende produttrici di energia per non averlo ancora aperto. In Italia l'unico posto sicuro per un sito simile potrebbe essere in Sardegna (ma ben in mezzo all'isola...), ma una scelta simile sarebbe molto, molto avversata dalla popolazione locale, a cui non mi sentirei proprio di dare torto..
E' chiaro quindi che nessun programma di costruzione di nuove centeali nucleari possa essere concepito senza prevedere, affrontare e risolvere contestualmente il problema delle scorie.
Punto secondo: in Italia basta spostare una fermata di un autobus (o un segnale di stop) per avere immediatamente un comitato di protesta. Che si indichino 4 siti per le centrali e un sito per le scorie senza che non ci sia nessuna protesta è semplicemente da irresponsabili. Per cui è inutile indicare dei tempi tecnici teorici dandogli valenza pratica. Parlare così significa che o si capisce poco o che l'annuncio sia soltanto mera pubblicità per poter dire “noi volevamo fare, ma ci sono stati dei cattivoni che ...”
Punto terzo: il 10% del fabbisogno di energia elettrica non è niente. Attualmente l'Italia la ottiene dai combustibili fossili per il 70% . Pensare di risolvere così il problema della dipendenza dai fossili con 4 centrali (e il 10%) è altrettanto irresponsabile. Se va bene rimarremo dipendenti dai fossili per il “solo” 60%....
E di questo 70% la maggior parte è il metano, con cui oggi si produce incoscentemente il 60% dell'energia): basta che qualcuno chiuda un rubinetto e buonanotte a tutti.... (anche qui c'è stato un bel preavviso di guai durante la crisi russo-ucraina)
La percentuale di energie rinnovabili in Italia è al 15%, tutto sommato un dato allineata a quello europeo. Peccato che ci sia un “trucco”: fra le rinnovabili in Italia ci sono il geotermico (che nel resto d'Europa – Islanda a parte – non esiste e che deve essere considerato un vero orgoglio nazonale) e l'idroelettrico, che “conta” solo per Italia, Svizzera, Francia, Bulgaria e Lettonia. Non penso proprio che sia possibile aumentare la produzione idroelettrica. Quella geotermica invece potrebbe farlo: non è irreale che sfruttando meglio l'esistente, l'area napoletana e qualcos'altro, si possa triplicarne il valore, arrivando a un 7-8% (si tratta comunque anche qui di una buona aggiunta, non certo di una soluzione). Più interessanti (e arealmente molto più vaste) sono le possibilità della geotermia ai fini del riscaldamento domestico.
Nelle altre rinnovabili, come vento e biomasse (ahi ahi, i termovalorizzatori...), siamo paurosamente indietro: senza contare il virtuosissimo caso danese (e dato per ovviamente scontato il sorpasso della Spagna anche in questo campo, come da moda imperante), persino Polonia ed Estonia hanno percentuali più alte delle nostre di energia eolica prodotta.
E' chiaro che da un ministro di uno stato fondatore dell'Europa mi aspetterei qualcosa di più e cioè una estrema attenzione alle energie alternative e rinnovabili.
Ma quali? Come detto, i dati UE dicono che il solare convince poco. Penso però che risolvendo il problema dei costi proibitivi, dall'accoppiamento con l'idrogeno, potrà uscire qualcosa di interessante.
E' necessario però trovare pannelli solari più efficenti. Ci sono molti studi al riguardo e proprio in questi giorni è uscito qualcosa. Ci sarebbero anche le Celle di Graetzel, in cui il silicio è sostituito da nanoparticelle di biossido di titanio che mimano la fotosintesi delle piante, ma ancora è presto.
Nell'immediato biomasse ed eolico hanno le migliori chances. Quindi secondo me il Governo farebbe molto bene a incoraggiare questa pratica. Fra parentesi l'ENEL sta sviluppando progetti eolici per oltre un Gigawatt. Tutto bene, direte. Un accidente, rispondo: lo fa negli USA.....
Chiudo con una riflessione finale: 30 anni fa uno dei primi numeri di Le Scienze che comprai aveva una copertina in cui si parlava di “energia da fusione con fasci di particelle”, prevedendo un futuro luminoso e senza combustibili fossili. Nell'articolo si avvisava che, ancora, eravamo alla teoria. Purtroppo il progetto ITER sta procedendo con estrema lentezza e con costi sempre crescenti. Se tutto va bene di energia così prodotta se ne parlerà nel 2030, appena... 50 anni dopo!

sabato 12 luglio 2008

Idrogeno e energia: una esperienza ad Arezzo e le difficoltà di una futuribile "economia ad idrogeno"

Ad Arezzo è in corso una sperimentazione molto interessante per l'avvio di una “economia ad idrogeno”, in cui una parte del fabbisogno energetico è prodotto in situ.Questa esperienza riguarda scopi civili ed industriali. Prendendo spunto dal fatto che l'industria orafa,un comparto fondamentale dell'economia locale, necessita di idrogeno (molte aziende se lo producono in casa) in una zona industriale della città toscana è stato creato un sistema di produzione di questo gas medante celle solari, che con un idrogenodotto serve alcune aziende locali. Allo studio c'è anche una centrale a biogas. Il progetto è curato da aziende pubbliche e private (che hanno portato le loro esperienze specifiche nella produzione, gestione e distribuzione del gas) e dagli enti locali. Il gas viene usato sia direttamente nell'industria orafa che, attraverso le celle a combustibile, come generatore di corrente elettrica e calore. Ci sono previsioni per l'uso per altri scopi civili (cucina, riscaldamento e condizionamento domestico).
In una “cella a combustibile” (fuel cell) un combustibile (l'idrogeno) reagisce in maniera controllata con un ossidante (l'ossigeno): il risultato sarà una reazione che produce energia elettrica, calore e acqua. Nel caso toscano l'obbiettivo è arrivare a generatori singoli della potenza di 250 Kw (quindi capaci – ad esempio nell'uso civile – di produrre corrente elettrica per 80 appartamenti).
L'idrogeno potrebbe davvero essere la fonte di energia del futuro, ma è bene capire che, almeno per adesso, non è tutto oro quello che luccica: l'idea di un combustibile che quando brucia emette come prodotto di combustione l'acqua è sicuramente fantastica ma ci sono un paio di trappole: la prima che si tratta di uno degli elementi più reattivi che esistono e quindi va trattato con le molle (per questo nella ricerca su idrogeno e autotrazione si cerca un materiale che, come una spugna, faccia da serbatoio chimico, cioè un materiale che assorba e rilasci idrogeno senza avere un serbatoio pieno di gas o liquido) e, soprattutto che l'idrogeno non lo abbiamo a disposizione come ci serve: questo elemento è sempre legato a qualcos'altro e quindi per ottenerlo bisogna spendere energia.
Fondamentalmente la “miniera” di idrogeno potrebbe essere l'acqua, sostanza di per se disponibilissima e basterebbe scinderla nei suoi componenti (per inciso, quando la temperatura di un incendio è particolarmente elevata, buttarci acqua significa attizzare ulteriormente il fuoco, perchè si scinde subito in idrogeno e ossigeno che quindi prendono parte ai processi di combustione in corso).
E' chiaro che se idrogeno e ossigeno tendono “naturalmente” a combinarsi per produrre acqua – rilasciando oltretutto un bel po' di energia dalla ella a combustibile quando succede – uno dei principi della termodinamica prevede che per scinderla nei due elementi ci vuole una energia maggiore di quella successivamente rilasciata. E qui casca l'asino: se dobbiamo utilizzare petrolio per produrre idrogeno siamo punto a capo (qualcuno propone per lo scopo anche delle centrali nucleari). Inoltre è un sistema molto costoso: l'attuale domanda mondiale di idrogeno (che serve a molti usi, dal petrolchimico alla produzione di solventi e fertilizzante) è ottenuta mediante gassificazione del carbone e altri metodi che partono da combustibili fossili perchè è (molto) più sostenibile da un punto di vista economico (anche se da quello ambientale proprio non ci siamo...).
Quindi, come nel caso aretino, una soluzione ovvia sarebbe produrre idrogeno da fonti rinnovabili (in particolare vento e sole), o dalla combustione di biogas (le discariche di RSU sono adattissime allo scopo).
Sfruttare sole e vento per produrre idrogeno potrebbe lì per lì sembrare una complicazione inutile ma non è così: a parte l'uso diretto a scopi industiali dell'idrogeno, le energie rinnovabili come vento e sole dipendono molto dalle condizioni meteo (e nel caso del solare, anche astronomiche), quindi la loro produzione non è costante: siccome l'energia elettrica non si stocca, l'idrogeno prodotto funge da magazzino di energia, pronto ad essere immessa in rete quando serve e non solo a scopi di generazione di corrente, ma anche per riscaldamento, condizionamento e altri usi domestici ed industriali.
L'idrogeno è molto studiato anche nel campo dell'autotrazione, con le ovvie attenzioni per la sua pericolosità viste sopra: in diverse città europee ma anche italiane ci sono delle sperimentazioni per autobus ibridi, in cui una cella a combustibile produce l'energia che fa funzionare dei motori elettrici. Qualche tempo fa ha circolato anche in Italia, per dimostrazione, un “mostro”, un autobus lungo 24 metri con due snodi (i 18 metri ne hanno uno). Testimoni oculari particolarmente ferrati nel settore mi hanno assicurato, comunque, che avesse la manovrabilità di un normale 18 metri. Il problema principale è che ancora il mezzo a gasolio costa meno sia di acquisto che come costi kilometrici, per cui la strada da fare è ancora lunga, specialmente considerando i bilanci delle nostre aziende di trasporto pubblico.
Quindi per arrivare realmente ad una “economia all'idrogeno”, occorrerà risolvere tutta una serie di problemi tecnici, ma anche economici, nonostante il continuo aumento dei prezzi degli idrocarburi. Ed è chiaro che ci si deve spendere sopra tanti soldi senza le garanzie di un ritorno nell'immediato, ma nel lungo periodo non abbiamo altra scelta.
E anche evidente che attualmente l'energia prodotta in questo modo è molto più cara delle fonti tradizionali (altrimenti si sarebbe assistito ad una corsa all'idrogeno....). Quindi siccome nessuna azienda può permettersi di spendere in energia elettrica più delle sue concorrenti, o in qualche modo viene aiutata, valutando che un'operazione del genere porta meno inquinamento e migliora la bilancia commerciale con l'estero, oppure continuerà sicuramente ad usare i metodi attuali (almeno finchè saranno disponibili....).
E' di questi giorni la notizia di una nuova generazione di pannelli solari più efficenti. Vedremo se e in che modo i nuovi pannelli potranno migliorare, specialmente dal versante economico, la possibilità dell'uso energetico dell'idrogeno.

giovedì 10 luglio 2008

L'Alaska, l'Italia e la geotermia

Il governo dello Stato dell'Alaska sta avviando un programma per la individuazione e il censimento delle proprie risorse geotermiche, allo scopo di rifornirsi di energia elettrica e coprire il previsto aumento dei consumi di energia elettrica. La notizia pare clamorosa: l'Alaska è un grande produttore di petrolio e gas naturali, con ingenti riserve ancora da sfruttare e il suo governo si era precedentemente distinto per cercare di ridurre i vincoli ambientali alla ricerca petrolifera, come ho scritto qualche mese fa. Vale la pena di ricordare che il presidente George W. Bush sta cercando di ottenere dal congresso degli Stati Uniti il termine della moratoria per le ricerche petrolifere offshore (e il destinataro sarebbe soprattutto l'Alaska), giustificandole con l'aumento dei prezzi che sta investendo attualmente il mercato del greggio.
Essendo poi repubblicano pure il governo dell'Alaska la cosa lascia ancora più sbalorditi. Che sia una inversione di tendenza? Possibile.
Fattostà che il Dipartimento per le Risorse Naturali dello Stato dell'Alaska ha indetto una gara per la concessione delle ricerche geotermiche sullo Spurr, un vulcano situato a poche decine di kilometri a ovest di Anchorage. Verranno effettuate in un campo geotermico sulle pendici del vulcano, con lo scopo di verificare l'esistenza (e la consistenza) di una riserva rinnovabile di fluidi geotermici ai fini di un eventuale sfruttamento per la produzione di energia elettrica. L'Alaska meridionale è ricchissima di vulcani attivi e quindi le potenzialità sarebbero enormi (con la attenzione che essendo vulcani di arco magmatico, sono piuttosto pericolosi).
Che in Alaska facciano sul serio si dimostra facilmente: oltre allo Spurr, è allo studio una gara analoga per un altro vulcano, l'Augustine. Sicuramente saranno delle esperienze molto significative, dalle quali possiamo aspettarci una delle varie soluzioni al problema della fame di energia che fra un po' attanaglierà il mondo, cercando ove possibile di affrancarsi dalla dipendenza dal petrolio, che sarà sempre più caro e sempre meno disponibile.
Per noi italiani, che la sfruttiamo da decenni a Larderello (dove un corpo magmatico si sta ancora solidificando qualche kilometro sotto la superficie), l'energia geotermoelettrica non è una novità, ma che queste esplorazioni vengano fatte in un territorio ambientalmente così ostile e per di più ricco in petrolio dimostra che il problema del futuro dell'energia va affrontato con decisione e lungimiranza.
Nell'ultima comunicazione sulla gara, davvero un eccellente documento in cui si elencano tutti i punti sensibili, dalle prospettive di sviluppo economico a quelle ambientali (ci sono delle riserve naturali molto importanti in zona) e al rischio di lavorare su un vulcano che negli ultimi 100 anni è stato piuttosto attivo, il Dipartimento per le Risorse Naturali dello Stato dell'Alaska precisa che se da un lato la costruzione di un impianto geotermico richiede un certo costo, dall'altro i costi di approvvigionamento della materia prima sono irrisori a confronto di un impianto basato su combustibili fossili (si limiterebbe soprattutto a delle royalties da pagare agli enti locali: gli impianti produttivi sono estremamente vicini alla fonte, e l'energia dei fluidi stessi ne consente il trasporto fino alla centrale). E tutto ciò al posto di un sistema che si rifornisce di materia prima da un mercato internazionale dai prezzi oscillanti senza garanzie di stabilità. Si osserva pure che " i giacimenti di gas naturale della zona sono destinati ad esaurirsi” (sic!).
Vedere il governo di una regione con enormi giacimenti di idrocarburi occuparsi di fonti alternative ai combustibili fossili prevedendone il logico esaurimento fa molto pensare (amaramente) al caso Italia, dove ben poco si sta facendo per ridurre la dipendenza dal petrolio e dagli altri idrocarburi.
In questo campo, oltre al ricorso al nucleare, scelta legittima anche se discutibile (soprattutto finchè nessun accenna al problema “scorie”....) si sta facendo ben poco: ammesso e non concesso che davvero queste centrali verranno costruite, copriranno al massimo il 10% del fabbisogno. E il resto?
Ma oltre Larderello e l'Amiata ci sono altre aree in Italia che possano permettere uno sfruttamento dell'energia geotermica? Negli anni 70, in piena crisi petrolifera, Carlo Donat Cattin, allora ministro dell'industria, sponsorizzò intelligentemente una campagna di studi sulla geotermia, durante la quale ENI e ENEL trivellarono moltissimi pozzi e il risultato - ad essere pessimisti - poteva essere descritto come “estremamente incoraggiante”: le potenzialità geotermiche del suolo italiano sono elevatissime, seconde in Europa alla sola Islanda! Purtroppo il ritorno del petrolio a prezzi bassissimi chiuse la pratica.
Sulla terraferma, oltre alla Toscana Meridionale (in cui le condizioni adatte per uno sfruttamento a fini della produzione di energia elettrica dovrebbero estendersi al Lazio settentrionale), c'è la zona intorno a Napoli e ai Campi Flegrei, dove le capacità geotermiche sono veramente eccezionali.
Ci sono poi due zone in mare, nel Tirreno Meridionale e nel Canale di Sicilia, in cui il flusso di calore dall'interno della terra è particolarmente elevato, ma per adesso in questo caso c'è solo un interesse teorico: appare irrealistico ad oggi poter sfruttare la piana tirrenica meridionale ad oltre 3000 metri di profondità e a decine di kilometri dalla costa. Tra i vulcani attivi nel Tirreno Lipari appare molto valido, ma la lontananza dalla costa e i problemi paesaggistici non permetteranno una tale installazione, a meno di piccoli usi locali. Diversamente nel Canale di Sicila i cosiddetti “Campi Flegrei del Canale di Sicilia” sono su fondali abbastanza bassi, ma sempre, purtroppo, a una certa distanza dalla costa.
Queste sono zone utili per la produzione di energia elettrica, Ve ne sono diverse altre in cui l'energia geotermica potrà essere sfruttata per usi “diretti”, come riscaldamento o usi industriali che richiedano un apporto di calore fino a 140 gradi centigradi. Tutta la costa tirrenica dalla Liguria alla Calabria e buona parte del nordovest rientrano in questa categoria, con pozzi profondi non più di 3 kilometri e quindi di costo tutto sommato limitato.
Mi domando come mai un sistema del genere, disponibile e rinnovabile (quindi in armonia con il protocollo di Kyoto) non è stato preso in considerazione. Quante tonnellate di petrolio ci farebbe risparmiare? E di quanto diminuirebbero le emissioni in atmosfera di CO2
Inoltre le royalties sullo sfruttamento dell'energia geotermica potrebbero dirottare agli enti locali una parte del cospicuo flusso di denaro che attualmente viene speso per importazioni di energia dall'estero, con benefici sia della bilancia dei pagamenti che della asfittica finanza locale.
Ma bisogna anche che la politica si muova e questo è un altro discorso.....