mercoledì 14 maggio 2008

L'eruzione del Chaiten e le incertezze sulla conoscenza dei vulcani andini


Sulla costa del Cile meridionale si è svegliato il Chaiten, un vulcano la cui ultima eruzione è datata a oltre 9300 anni. Nell'immagine di Google Earth (ripresa prima dell'eruzione) si vede chiaramente una depressione calderica (come quelle dei laghi vulcanici laziali) causata dallo sprofondamento del terreno quando la camera magmatica sotto il vulcano si svuota e il suo soffitto cede per il peso delle rocce sovrastanti. Dentro questa caldera, parzialmente tuttora occupata da un paio di laghetti, si è formato nell'ultima eruzione un “duomo lavico”: la lava, per la sua estrema viscosità, non è riuscita a muoversi e si è ammucchiata intorno al punto in cui è venuta in superficie.
Come conseguenza l'omonima città di Chaiten, posta a meno di 10 kilometri dal vulcano, è stata evacuata dagli abitanti, sfollati a Puerto Mott, ad oltre 200 km di distanza (attualmente è allo studio il trasferimento del bestiame): il rischio di fare la fine di Pompei è elevatissimo: vulcani di questo genere possono infatti collassare e provocare la formazione di “nubi ardenti”, frane di materiale incandescente che distruggono tutto quello che trovano nel loro percorso e la cui velocità (vicina ai 200 km/h) impedisce qualsiasi possibilità di salvezza a chi è in zona. Questo scenario è molto temuto anche se, ovviamente, non è sicuro che avvenga.
Anche senza il collasso del vulcano e la conseguente ignimbrite, la situazione è difficilissima: nell'ultima eruzione si è deposto uno strato di ceneri spesso fino a 1,50 m. e già la poca cenere caduta fino ad ora è di grave ostacolo per le attività agricole e, dato che da quelle parti piove pochissimo, c'è il rischio che per parecchio tempo rimanga lì, senza essere dilavata. I problemi sono molto gravi anche ad est del vulcano, dove i venti hanno spinto la cenere addirittura sull'Oceano Atlantico e sono state evacuati città e villaggi anche in Argentina.I pochi abitanti rimasti a Futaleufu (città argentina sul confine cileno) hanno il grosso problema che le polveri finissime non consentono di utilizzare l'acqua.
Oggi (13 maggio) nella città di Chaiten è straripato il Rio Blanco, a causa della cenere che lo ha ostruito più a valle.
L'ultima eruzione del Chaiten è stata datata a 9370 anni fa. Questo dato è molto importante: convenzionalmente si definisce “attivo” un vulcano che ha eruttato meno di 10.000 anni fa e quindi il Chaiten risulta nella casistica per un pelo.
Questo limite convenzionale ha una certa logica ma mi lascia perplesso, perchè non tiene conto delle differenze fra i vari tipi di vulcani e perchè alcuni di essi, anche in Italia, hanno presentato periodi di quiescenza più lunghi di 10.000 anni. A me personalmente piacerebbe un'altra soluzione e cioè considerare “attivo” o, meglio, “potenzialmente attivo” un vulcano se il tempo trascorso dall'ultima eruzione ad oggi è minore dell'intervallo più lungo fra due cicli di attività. Ma obbiettivamente l'autorevolezza dello Smithsonian Institute è infinitamente maggiore della mia e quindi trovo corretto attenersi alla regola dei 10.000 anni.
Il Chaiten appartiene a quella lunga serie di vulcani che contraddistingue la costa pacifica delle Americhe, ad eccezione di un segmento compreso fra California e Messico settentrionale
Sono fra i vulcani più pericolosi del mondo e la cosa più tragica è che attualmente non si sa neanche quanti siano quelli “potenzialmente attivi”: considerando il solo segmento andino il loro numero oscilla tra i 200 e i 300. Qualcuno potrà sobbalzare sulla sedia leggendo questo dato, non tanto per il numero in se stesso, quanto per la sua incertezza.
Quali sono i motivi di questa grande incertezza? I vulcani andini hanno una vita media stimata di circa un milione di anni e molti, come il Chaiten, sono caratterizzati da una attività sporadica, con lunghi intervalli fra due eruzioni. Purtroppo i dati storici che abbiamo a disposizione riguardano poche centinaia di anni: ne consegue che, per considerare un vulcano attivo o no, l'unica via è studiarne la storia. Attualmente pochi sono quelli monitorati (soprattutto quelli vicini a grandi città come Quito o Santiago del Cile), ma dovunque ci sono abitanti e quindi c'è un rischio per la vita umana.
Fra l'altro, oltre ai “normali” rischi vulcanici, i vulcani andini ne hanno un altro, assolutamente peculiare: essendo molto alti, spesso ospitano sulle pendici dei ghiacciai, che, in caso di inizio di attività vulcanica, possono fondersi in poco tempo, dando origine a violente ed improvvise alluvioni. Questo accadde nel 1985 ad Armero, in Colombia: 25.000 persone morirono a causa dello scioglimento dei ghiacciai sulle pendici del Nevado del Ruiz.
Il Chaiten, oltre ad essere un esempio di un vulcano che ha dormito a lungo, è anche molto significativo della confusione che regna sui vulcani andini: nella descrizione dello Smithsonian Institute si legge che “il vicino vulcano Yelcho non esiste” (!!)., da cui si deduce che qualcuno abbia preso un abbaglio prendendo per il resto di un vulcano un lago con una parziale forma cilindrica. Inoltre quando alla fine di aprile iniziò la sequenza sismica, non si pensò subito al Chaiten, ma era stato indicato come origine il Minchinmávida, ad una quarantina di kilometri di distanza, di cui si ricorda un'eruzione nel 1834/35, vista anche da Charles Darwin.

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