venerdì 28 marzo 2008

Dinosauri nel paleocene? Si, no, forse, mah...


Il mondo scientifico si sta accapigliando per una dozzina o poco più di ossa di adrosauri, erbivori di corporatura media (per un dinosauro...), raffigurati in questo bellissimo olio su tela di proprietà della “Dinosaur Society”. Ma che ossa! Se fossero davvero del paleocene inferiore e quindi successive alla fine del Cretaceo, vorrebbe dire che almeno qualche dinosauro sia sopravvissuto alla estinzione di massa della fine dell'era mesozoica.
Nelle scienze esistono delle teorie ormai elevate allo stato di dogmi, perchè spiegano in un quadro coerente un insieme di fenomeni e di osservazioni provenienti dalle più disparate discipline. Nelle scienze della vita il dogma principale è l'evoluzionismo, ormai contestato solo da una sparuta ma rumorosa minoranza di persone (creazionisti e sostenitori dell'Intelligent Design), più su dati religiosi che su dati di fatto e pronti a cogliere in fallo gli evoluzionisti per ogni picola contraddizione. Nelle Scienze della Terra c'è la Tettonica a zolle. In questo caso ci sono delle voci contrarie anche in ambiente accademico, ma non godono del favore della maggior parte dei ricercatori, soprattutto perchè questa teoria inquadra troppo elegantemente tutti i fenomeni geologici e tettonici (terremoti, vulcani, metamorfismo etc etc).
Un altro dogma, sia pure di livello meno generale ma sempre importante e che investe sia le scienze della terra che quelle della vita è che l'estinzione di massa che ha contrassegnato la fine del cretaceo sia dovuta all'impatto di un meteorite (che comunque c'è stato).
Non è l'unica estinzione di massa nella storia, ce ne sono state altre ancora più massicce, ma la consideriamo molto importante essendo la più recente fra quelle massicce e perchè ha causato ò'estinione dei più noti fra gli animali del passato e consentito l'esplosione dei mammiferi. Lo studio delle estinzioni di massa presenta un problema: il criterio dell'attualismo, perno delle ricerche geologiche e biologiche, secondo il quale i fenomeni adesso attivi sono gli stessi che hanno governato gli eventi del passato, non le può spiegare perchè in quei momenti c'è stato qualcosa di diverso ripetto all'ordinario corso degli avvenimenti.
In effetti alla fine del Cretaceo è successo di tutto: oltren al meteorite di Chicxculub, probabilmente accompagnato da altri impatti più o meno coevi, massicce eruzioni vulcaniche (i Trappi del Deccan in India, che secondo un'altra corrente di pensiero hanno immesso in atmosfera una quantità sproprositata di gas tali da guastare il clima e provocare l'estinzione (questa è l'ipotesi che io trovo più verosimile), e da ultimo non dimentichiamo che per motivi ancora sconosciuti c'è stato un abbassamento del livello marino. Un periodo veramente sfigato....
In ogni caso, qualunque ne sia stata la causa, l'”evento K/T”, come è chiamato, segna la fine dell'era mesozoica e l'inizio di quella terziaria. L'estinzione è stata molto selettiva, avendo distrutto totalmente o quasi alcuni gruppi di animali, lasciandone altri quasi perfettamente intatti. Fra quelli totalmente distrutti annoveriamo i dinosauri (con appunto l'eccezione di alcuni uccelli). E questo è fino ad oggi coerentemente supportato da valide e numerosissime osservazioni stratigrafiche e paleontologiche.
In Nordamerica ci sono osservazioni che stanno ponendo dei dubbi al riguardo. Il bacino di San Juan, fra il New Mexico e il Colorado, è stato ed è tuttora una grande fonte di fossili di dinosauri (e non solo), un ambiente palustre e lagunare in cui le molte e ricorrenti alluvioni sono servite a preservare una gran quantità di reperti nella Fruitland Formation e nella sovraastante Kirtland Formation, di età Campaniano – Maastrichtiano, cioè le fasi finali del cretaceo, l'ultimo periodo dell'era mesozoica.
La fine della sedimentazione della Kirtland Formation è stata contrassegnata circa 8 milioni di anni prima dell'evento K/T da una fase tettonica in cui il basamento si è sollevata. Se da un lato questo è stato una fortuna perchè ci ha consentito di avere delle bellissime esposizioni di queste rocce e dei fossili eccezionali, dall'altro è' un vero peccato che la fine della sedimentazione ci abbia impedito di osservare altrettanto bene le ultime fasi del Cretaceo.
Dopo il sollevamento si sono sedimentate le arenarie di Ojo Alamo, brecce e sabbie riconducibili a fiumi di ambiente pedemontano, tipo quelli dell'Emilia nella zona immediatamente adiacente all'Appennino. Erano state genericamente riferite al Cretaceo “per la presenza di fossili di dinosauri” (annotiamo: con molta meno biodiversità rispetto alla Kirtland Formation) e sono state intensamente studiate da un team con a capo J.E.Fasset, geologo emerito del Servizio Geologico degli Stati Uniti.
Fasset recentemente ha annunciato che in base ad alcuni pollini ritrovati in un livello carbonioso posto qualche metro sotto un femore di adrosauro l'età di queste rocce sarebbe paleocenica. L'osso si è sicuramente fossilizzato lì: non presenta tracce di trasporto dopo la sua deposizione e la composizione chimica è la stessa delle altre ossa rinvenute nelle Arenarie di Ojo Alamo e diversa da quelle trovate nelle sottostanti formazioni. Non c'è soltanto Fosset a dichiarare queste rocce di età paleocenica. Anche altri autori, periodicamente, lo hanno sostenuto, segnalandone l'incoerenza “dogmatica”).
Fasset ha quindi proposto una età paleocenica per tutte le Arenarie di Ojo Alamo. Ed è anche riuscito a trovare un buon numero di ossa appartenenti ad un unico individuo, sempre un adrosauro. Per cui si è convinto che almeno alcuni adrosauri siano sopravvissuti all'estinzione di massa, almeno per un milione di anni. Tutti d'accodo? Direi di no. Molti autori hanno grossi dubbi: in primo luogo il livello carbonioso è stato trovato a circa un kilometro dal fossile e le correlazioni stratigrafiche in un sedimento di ambiente pedemontano non sono semplicissime anche fra località molto vicine. Poi sarebbe da dimostrare che l'inizio della sedimentazione delle Arenarie di Ojo Alamo sia avvenuta proprio sul limite K/T, una casualità molto improbabile... Fassett ha poi portato delle prove magnetostratigrafiche, anche esse coerenti con una data di 64,4 Milioni di anni, cioè 900.000 anni circa dopo l'evento K/T. Queste prove sono state giudicate errate da altri autori, come Robert M. Sullivan, del Museo Geologico di Stato della Pennsylvania: dopo aver studiato il livello incriminato, ne smentisce l'età paleocenica, avendovi ritrovato solo pollini riferibili alla fine del cretaceo e conclude che la presenza di molti fossili di dinosauri esclude una datazione posteriore al Maastrichtiano (questo, ovviamente, su fondate basi dogmatiche....).
Ci sono frequenti “rumors” sulla persistenza in Nordamerica di qualche dinosauro oltre al fine del Maastrichtiano. In particolare nella zona fra Wyoming, Montana ed Alberta il gruppo di Keith Righby Jr sostiene che ci sia stata una progressiva sostituzione di dinosauri erbivori con mammiferi ungulati, acceleratasi violentemente circa 300.000 anni prima del limite K/T. Però molti studiosi rispondono che i fossili nei livelli paleocenici sono probabilmente risedimentati da rocce cretacee (ed in effetti sono stati trovati soltanto denti ed altre ossa isolate, mai nidi, impronte oppure più ossa riferibili ad uno stesso animale). Per inciso situazioni del genere sono comuni in Cina, dove è accettato che si tratti di reperti fossilizzatisi precedentemente in altro luogo, asportati per l'erosione e risedimentati altrove.
Un altra situazione in cui è possibile la persistenza di qualche dinosauro oltre il limite K/T è nella Moreno Formation della California. Lo sostiene Kerry Workman Ford dell'Università Statale della California. Anche lui nota che il Maastrichtiano si distingue per un progressivo impoverimento della fauna rettiliana e che ancora una volta è possibile che qualche adrosauro (sempre loro...) sia sopravvissuto per un po' di tempo oltre il limite K/T.
Come si vede le notizie sono piuttosto frammentarie e sul significato di alcuni ritrovamenti sussistono dei grossi contrasti. Inoltre Fasset ci mette del suo a rendersi ridicolo (quasi non ci credo che abbia detto questo): ipotizza che gli adrosauri paleocenici siano sopravvissuti perchè erano uova prodotte qualche ora prima dell'impatto con l'asteroide e il cataclisma successivo le avrebbe seppellite preservandole e facendo da incubatrice. Si dimentica evidentemente che, come gli uccelli, i piccoli dei dinosauri non potevano sopravvivere senza cure parentali!
Concludendo possiamo dire che ancora non ci sono prove sicure che dei dinosauri non aviani siano sopravvissuti all'evento K/T.

martedì 18 marzo 2008

I grandi terremoti scandinavi di 10.000 anni fa: un effetto collaterale dello scioglimento della calotta polare fennoscandinava

L'unica traccia di attività geologica in corso in Scandinavia è un forte sollevamento, con epicentro nel golfo di Botnia, e che procede ad un ritmo dell'ordine del centimetro l'anno. In alcuni punti, osservando delle paleospiagge, si ottiene un valore totale del fenomeno di ben 300 metri (in poco piùdi 10.000 anni non è proprio poca cosa...). Nel golfo di Botnia sono documentati progressivi spostamenti degli insediamenti abitativi a causa dell'arretramento della linea di costa. Notoriamente questo fenomeno è associato alla scomparsa della spessa calotta glaciale che ricopriva la regione fino a poche migliaia di anni fa e non è associato a nessuna risposta sismica.
Per il resto la Scandinavia non è propriamente nota per essere una regione sismicamente attiva, tutt'altro: un terremoto con M=3 “fa notizia” e si conoscono nella storia pochi eventi che, a parte qualche danno, non dovrebbero aver provocato morti. La storia recente (in senso geologico...) della Scandinavia comunque non è tranquillissima: sembra che circa 20 milioni di anni fa ci sia stato un forte sollevamento (circa 2 km) avente come centro la Svezia meridionale, di cui ancora non si conosce la causa. Escluso uno scioglimento di ghiacci, che ancora non si erano formati, sono stati ipotizzati vari meccanismi geofisici, collegati alla dorsale medioatlantica e all'Islanda oppure alla presenza di flussi di materiale nella astenosfera sottostante. Anche il settore danese e quello del mare del Nord sono stati interessati da movimenti simili in tempi antecedenti.
E' stato quindi molto sorprendente vedere tracce di liquefazione del terreno e di frane, datate a circa 10.000 anni fa, chiaramente riferibili a terremoti piuttosto intensi: studiando le faglie, ben visibili a causa della poca copertura vegetale, si ricava un valore per la magnitudo di circa 8 gradi. Considerando la bassa profondità devono essere stati eventi terribili e non stupisce che abbiano lasciato delle forti evidenze. Il problema è cosa possa aver causato questi terremoti totalmente inaspettati viste le caratteristiche geofisiche dell'area.
C'è una coincidenza temporale con il quasi contemporaneo scioglimento della calotta glaciale. Questo dato è un po' troppo stringente per essere casuale. Una ulteriore conferma che i terremoti debbano essere in qualche modo correlati alla deglaciazione è il loro spostamento progressivo: iniziati nel sud della Svezia 12.000 anni fa si sono spostati verso il nord con una certa regolarità fino a interessare la Lapponia 9.000 anni fa.
Inoltre sembrerebbe (il condizionale è d'obbligo perchè ho trovato solo voci frammentarie in materia) che anche alla fine della “piccola era glaciale”, verso la fine del medioevo, la Scandinavia sia stata interessata da alcuni terremoti: anche in questo caso si verrebbe a creare un legame fra deglaciazione e fenomeni sismici.
Ci sono due possibilità: o il rilascio improvviso del peso sovrastante ha innescato un campo di sforzi tale da provocare questi terremoti, oppure il peso di una calotta ghiacciata in qualche modo impedisce, o limita molto, il movimento di rottura delle faglie nella crosta sottostante. Ne segue un accumulo di energia elastica anomalmente alto per la zona che quindi si è liberato improvvisamente, al rilascio della pressione. I due modelli differiscono fra loro sulla azione della calotta: nel primo il rilascio di pressione è la causa dei terremoti, nel secondo li rende suoi “effetti collaterali”.
Il secondo modello è quello attualmente preferito. A questo proposito è stato sviluppato un modello matematico molto sofisticato, che lo ha confermato. Secondo Andrea Hempel, della Università di Bochum, nel modello la presenza di una calotta impedisce lo sviluppo dei terremoti, mentre il suo scioglimento li promuove. In più, aumentando lo spessore della calotta, aumenta anche l'intensità delle scosse al momento della deglaciazione
Questa situazione ha delle forti implicazioni con il presente: l'influenza di una calotta sui movimenti delle faglie è una spiegazione plausibile sulla bassissima sismicità, ad esempio, dell'Antartide e della Groenlandia. E' quindi possibile (se non addirittura probabile...) che l'eventuale scoglimento, anche parziale, delle loro calotte polari, possa scatenare fenomeni simili. Sembra che la sismicità stia cominciando ad aumentare già in zone circoscritte deglaciate dell'Alaska, pur senza raggiungere i valori scandinavi, probabilmente per il basso spessore del ghiaccio preesistente. La situazione dello stato americano è particolarmente delicata perchè al contrario delle altre zone, qui siamo in un ambiente geologicamente molto attivo ed in cui si registrano continuamente, nella fascia pacifica, terremoti di forte intensità.
Terremoti associati al rilascio di pressione possono essere collegati ad altre situazioni, come la perdita di ingenti masse d'acqua. Il modello infatti è stato applicato anche per spiegare degli intensi paleosismi avvenuti nello Utah, in corispondenza dell'improvviso svuotamento di un lago.

venerdì 14 marzo 2008

Una nuova popolazione "nana" scoperta nel Pacifico: quando i dati genetici all'inizio sembrano un abbaglio ma poi dicono il vero

Qualche giorno fa un team di ricerca internazionale ha annunciato con un articolo il cui primo firmatario è il Professor Lee R. Berger dell'Università di Joannesburg, la scoperta in una grotta a Palau, un arcipelago del Pacifico a ovest delle Filippine, di una serie di scheletri di uomini ad altezza ridotta di età compresa fra il 900 AC e il 600 DC. Purtroppo l'acqua del mare, entrando durante le tempeste, ha disperso le ossa, il che ne rende più difficile lo studio. Ce ne sono comunque tantissime. E sembra che almeno una decina di altre grotte contengano reperti di questo tipo. Non essendoci tracce che facciano pensare ad un uso abitativo delle grotte è sicuro che siano state utilizzate solo per le inumazioni. Curiosamente nello stesso sito si trovano individui di dimensioni normali di un'età 400 anni posteriore (concentrata a cavallo del 1000 DC) Dopo il famoso “Hobbit", l'uomo di Flores, è la seconda volta in pochi anni che vengono scoperti ominidi di piccole dimensioni.
Fino ad oggi si pensava che gli abitanti di Palau fossero originari dell'Indonesia orientale. Alla luce di questa scoperta, si deve supporre qualcosa di più complesso (da un punto di vista genetico era già venuto fuori qualcosa di strano più di 10 anni fa). I dati cronologici sono in linea con le osservazioni che davano almeno a 3.000 anni fa il primo popolamento di queste terre (lo studio dei pollini porta addirittura ad almeno 4000 anni fa). Purtroppo potevano essere usati solo dati indiretti: i più antichi reperti ritrovati sono all'incirca del 300 DC; ciò si spiega con l'elevato tasso di abbassamento che interessa queste antiche isole vulcaniche (valutato a circa 0,55 mm all'anno): siccome è probabile che questi uomini traessero sostentamento dal mare eventuali resti archeologici dovrebbero trovarsi sotto il mare (in 3.000 anni lo sprofondamento è stato di oltre un metro e mezzo).
Ma siamo di fronte a un caso di nanismo insulare in una normale popolazione di Homo Sapiens o ad una nuova specie? E perchè questa popolazione è scomparsa? Le ossa appartengono ad individui maturi umani di dimensioni ridotte e mostrano delle fondamentali differenze con Homo Floresensis: nel caso di Flores la “miniaturizzazione” interessa anche il cranio, mentre a Palau il cranio è sì di dimensioni ridotte, ai limiti della gamma per Homo Sapiens (per inciso un valore che cade nell'intervallo appropriato per Homo Erectus), ma è proprozionalmente più grande rispetto al corpo che in un uomo di altezza normale. Quindi si è rimpicciolito, ma non come il resto.
La cosa più probabile, quindi, è che gli uomini di Palau derivino da una popolazione colonizzatrice di piccole dimensioni corporee.
Ci sono delle variazioni temporali nelle dimensioni e questo può essere spiegato in vari modi. Il più convincente è che le popolazioni delle isole del Pacifico sono molto a rischio e possono essere passate attraverso numerosi episodi di decimazione, attraverso malattie provenienti dall'esterno (in caso di scambi con altre comunità o virus trasportati da uccelli marini) oppure a causa di disastri naturali come tifoni o tsunami (nel dicembre 2004 i negritos delle Andamane si temeva fossero scomparsi, ed in effetti hanno subito delle gravi perdite). Quindi la deriva genetica provocata da questi episodi, che hanno concesso la riproduzione soltanto a pochi individui, ha avuto molta influenza sul loro DNA e sulla loro morfologia.
Le ossa presentano alcune caratteristiche che potrebbero essere considerate primitive (o, quantomeno, tendenti a ritornare alle condizioni primitive), per esempio la presenza dell'arco sopraccigliare ormai poco diffusa nella nostra specie. Sull'uomo di Flores si è detto (e si sta dicendo) di tutto: nanismo insulare o nanismo per malattia? Discendente diretto di Homo Erectus o di Homo Sapiens? Specie a se stante o solamente una popolazione dalla corporatura particolarmente minuta?
Suppongo che sulle ossa di Palau non si scatenerà una lotta come per l'Hobbit indonesiano, soprattutto a causa della loro età, davvero troppo recente. Personalmente la penso come Richard Dawkins: dobbiamo per forza classificare le cose e nella storia umana ci sono state naturalmente delle forme intermedie che complicano il tutto: non è che la mamma Homo Erectus abbia partorito un figlio Homo Sapiens (idem dicasi sulla transizione fra Australopitecus e Homo....). Quindi trovo inutile l'accapigliarsi degli studiosi fra chi sostiene che uno scheletro appartenga a Homo Erectus o a Homo Sapiens se mostra caratteri più simili al primo insieme ad altri più simili al secondo.
Ma, alla fine, quello che interessa è sapere chi erano questi uomini e, possibilmente, con quali popolazioni attuali e/o passate sono in relazione e come mai la popolazione attuale non mosta queste caratteristiche (se non nel genoma, come vedremo). Alcune ossa di Palau hanno dei parametri molto simili a quelle degli Onge, una tribù di Negritos delle isole Andamane.
I Negritos sono un insieme di popolazioni dell'Asia Orientale, caratterizzate da statura piccola, pelle scura e capelli crespi. Vivono in gruppi isolati distruibuiti in tutta l'Asia Sudoccidentale: Negritos propriamente detti sono presenti nelle Isole Andamane, in Malaysia, nelle Filippine e nell'Australia Settentrionale. Altre popolazioni hanno dei tratti fisici che li ricordano: in generale tutti gli australiani ed i polinesiani, e poi i Vedda dello Skri Lanka e i Kadar del Kerala nell'India Meridionale (entrambe popolazioni il cui arrivo in zona predata quello delle popolazioni oggi dominanti).
E' quindi possibile che tutta questa vasta area sia stata popolata da genti di stirpe Negrito, che hanno lasciato tracce consistenti anche nelle popolazioni che poi, migrando dal continente, hanno occupato le loro aree e si sono mescolate a loro. Ed è anche possibile che, insistendo con le ricerche, vengano trovati altrove nell'area altri reperti simili.
La correlazione con gli Onge spiegherebbe anche un albero filogenetico presentato da Cavalli Sforza, usando le variazini di alcuni geni di 25 popolazioni del sudest asiatico (cinesi meridionali, indocinesi, indonesiani e austronesiani), secondo il quale gli attuali abitanti di Palau sarebbero geneticamente correlati con i negritos delle Filippine e proprio il grande genetista osserva che “gli isolani di Palau e i Negritos (delle Filippine, ndr) costituiscono una coppia impropria e di difficile interpretazione”. Probabilmente la popolazione attuale delle isole, fondamentalmente di derivazione indonesiana, ha una forte componente genetica della originaria popolazione negrito.
Se osserviamo un albero filogenetico strettamente limitato alle popolazioni delle isole pacifiche invece, i palauani occupano una posizione vicina agli abitanti delle Marshall e delle Samoa (queste ultime geograficamente piuttosto lontane). Queste 3 popolazioni hanno una breve distanza genetica fra loro, ma contemporaneamente sono molto distanti dalle altre. Nel caso delle Samoa è possibile una mescolanza durante il “passaggio” dei antenati dei samoani nella micronesia.

mercoledì 5 marzo 2008

Un satellite in orbita attorno a Marte inquadra una valanga mentre cade


Qualche tempo fa ha fatto rumore la foto sulla supposta statua presente su Marte. Mi sono astenuto da qualsiasi commento. Ne ho solo fatto uno in un forum di informatica (nella sezione "bufale" dove qualcuno, un pò esaltato dall'idea, vedeva addirittura delle "nebbie" in lontananza.
La foto comunque l'avevo scaricata direttamente dal “padre di tutti i siti” e cioè dal mitico www.nasa.gov. Invito comunque tutti gli appassionati di scienze a visitare il sito della NASA: anche se un po' in ribasso rispetto algi anni eroici, la NASA è sempre una grande istituzione scientifica.
Ho preferito l'originale perchè sicuramente non era alterato da ufologi o altri ciarlatani. Ammetto di non avere ancora capito cosa sia (ma sono in buona compagnia.....): probabilmente un misto fra erosione e giochi di luce e ombra.
Ritengo molto più interessante, anche se ha fatto meno rumore, questa nuova foto marziana: la fotocamera HiRISE (High resolution Imaging Science Experiment) a bordo del satellite Mars Reconnaisance Orbiter ha catturato l'immagine di una valanga durante la sua caduta (si vede distintamente la nuvola di polvere).
Siamo vicini al polo nord (oltre 85° di latitudine) e la zona in bianco dovrebbe essere ghiaccio di acqua e non di anidride carbonica. L'evento è situato lungo una scarpata alta circa 700 metri. Viene considerata una valanga (avalanche) e non una frana (landslide), perchè probabilmente la maggior parte della nuvola è formata da ghiaccio, sia pure sporcato dal materiale roccioso.
Non è un indizio di attività tettonica attuale: è evidente che una scarpata così si sia formata durante un periodo di attività tettonica ma non è avvenuto certo adesso, bensì oltre due miliardi d di anni fa. La spiegazione più semplice è che il ghiaccio accumulatosi durante l'inverno marziano si stia sciogliendo, visto che nell'emisfero nord sta iniziando la primavera.
La cosa interessante è vedere una modificazione morfologica attuale, quando la stragrande maggioranza di quello che vediamo sul pianeta rosso si è formato appunto centinaia di milioni se non miliardi di anni fa e così è rimasto. Questa scoperta potrà comunque contribuire a descrivere il quadro del ciclo dell'acqua del pianeta.
Di frane su Marte ne sono state notate molte, ma è raro che siano avvenute di recente (una probabilmente è avvenuta un anno fa circa, viste le differenze morfologiche fra due foto della stessa area scattate in periodi diversi). Di valanghe ancora non erano state notate e, soprattutto, nessuna foto aveva “catturato” un evento simile in diretta.
Questa scoperta non è casuale, ma è la dimostrazione dell'accuratezza con cui viene attualmente studiato il pianeta rosso e che si riflette anche nelle migliaia di foto a disposizione di scienziati e appassionati, non solo sul sito della NASA, ma anche in quelli dell'ESA e delle istituzioni di ricerca che collaborano ai progetti.