giovedì 21 febbraio 2008

Le nanotecnologie nella lotta contro i tumori


Nella immagine che mi è stata gentilmente fornita dal Ce.Ri.Col, il Centro Ricerche Avanzate della Colorobbia SPA di Vinci (Firenze), si vede un vetrino di carne bovina in cui è stata impiantata una nanoparticella di un ossido di ferro. Successivamente il vetrino è stato investito da semplici onde radio e si vede chiaramente che attorno alla nanoparticella si registra un forte aumento della temperatura. Potrà sembrare strano, ma potrebbe essere veramente un'arma letale contro una delle malattie più letali: il cancro.
La lotta contro i tumori è una delle sfide più difficili per la medicina moderna. Qualche anno fa in Italia molto si parlò della somatostatina e del Dottor Luigi Di Bella, rimedio caduto nel dimenticatoio (secondo le chiacchere da bar perchè non interessava alle case farmaceutiche, in realtà di bufala si trattava...).
All'epoca facemmo ridere tutto il mondo civile: fu montato un caso politico basato sulla grave impreparazione tecnico-scientifica della nostra classe politica e sulla sua irresponsabile demagogia nei confronti di persone tanto disperate quanto prive di conoscenze scientifiche di base.
Venne poi il Dottor Folkmann con l'angiostatina, che doveva evitare la formazione di vasi sanguigni nella zona del tumore, uccidendolo per fame. La differenza fondamentale con la somatostatina è che, almeno in questo caso, si capiva il meccanismo di funzionamento del farmaco. Ma anche di questa via, che sembrava così promettente, si sono perse le tracce.
Adesso si sono aperte nuove possibilità, grazie alle applicazioni delle nanotecnologie. Nella ricerca contro il cancro si è appurato che le cellule tumorali sono più sensibili alla temperatura di quelle ordinarie: portandone la temperatura fin verso i 45 gradi, muoiono, mentre le cellule sane riescono ancora a resistere. Questo ha aperto una strada molto interessante: le nanotecnologie si basano sul fatto che un materiale, quando ridotto in dimensioni molto piccole, dell'ordine del milionesimo di millimetro, incrementa i valori di alcune sue caratteristiche o ne riceve di nuove.
Alcuni minerali ferromagnetici, come per esempio ferrite, magnetite ed altri ossidi, alla nanoscala incrementano le capacità magnetiche e quindi, se eccitati con onde radio, si riscaldano. Se le nanoparticelle vengono poste vicino a cellule tumorali e vegono investite da onde radio, il loro calore si irraggia nei dintorni e uccide le cellule malate.
Quindi curare il cancro con la “ipertermia fluida magnetica”, meglio nota con la sigla inglese MFH (Magnetic fluid Hypertermia) è una fra le possibili strade della ricerca.
Un vantaggio non trascurabile è che, essendo il corpo umano trasparente alle onde radio, non ci sarebbero particolari effetti collaterali. Quindi la MFH si porrebbe come una vantaggiosa alternariva alla chemioterapia, trattamento decisamente invasivo per il paziente e quindi duro da sopportare.
Ci sono ancora delle difficoltà: in primo luogo le particelle vanno protette con un guscio per evitare che il ciclo biochimico del ferro se ne impossessi e le digerisca. La tecnologia sta sviluppando dei “gusci” che contengano le particelle magnetiche e le isolino dall'esterno.
Ma la cosa più difficile potrebbe essere quella di inviarle nel posto giusto.
Vi ricordate il film “Salto nel buio” in cui il tenente pilota Tuck Pendleton (Dennis Quaid) partecipa ad un'esperimento che lo miniaturizza e la navicella con dentro Tuck viene inserita in una siringa e in seguito iniettata in una persona? Beh, sarà proprio così!!
Esiste nel corpo umano una eccellente rete di vasi sanguigni, che consente di arrivare dappertutto con i capillari (il concetto di capillarità, per esempio nella distribuzione delle merci, è un termine che dice proprio “arriviamo dappertutto”). Naturalmente i nanodispositivi devono essere più piccoli di un capillare, ma questo non è poi un grande problema, visto che lo devono essere anche per avere queste grandi proprietà magnetiche.....
Ci sono 3 possibilità: o farle girare fino a che non si fermano nei pressi del tumore (approfittando del fatto che nei pressi del tumore i vasi sanguigni sono rotti), o usare dei recettori specifici che “sentano” dov'è il tumore e quindi arrivati lì fermino la particella. La terza possibilità è guidare la particella usando un campo magnetico, la cosiddetta “consegna a guida magnetica del farmaco” o magnetic – targeted drug delivery.
Sarà la volta buona? Ci sono già i primi risultati in-vitro e in-vivo. Quelli in-vitro li ho visti e sono confortanti soprattutto dal punto di vista della estensione molto limitata della zona riscaldata, che garantisce quindi la sicurezza per le cellule sane vicine.
Non si sa ancora quando si potrà incominciare effettivamente a curare così il cancro. Due fatti mi fanno ben sperare: innanzitutto non si tratta del lavoro di un singolo o di una singola equipe: in tutto il mondo, Italia compresa come abbiamo visto all'inizio, ci sono gruppi di studio che se ne occupano. Poi il fatto che la ricerca prosegua zitta, senza clamori, anche se ogni tanto qualche notizia viene riportata.
E' chiaro comunque che la prevenzione dei tumori sarà sempre la strada maestra da seguire.

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