lunedì 25 febbraio 2008

La corsa al Polo nord: dove la ricerca geologica è spinta dall'economia (ma forse l'Orso Bianco fermerà tutto..)


Negli ultimi giorni è passata praticamente inosservata una notizia molto importante: l'Università del New Hampshire e la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), hanno comunicato che la scarpata continentale a largo dell'Alaska è molto più estesa del previsto, fino alla “Chukchi Cap”, un promontorio sottomarino della piattaforma. Informano anche che la presidenza degli Stati Uniti sta prestando molta attenzione a questo. Anche russi, canadesi e danesi (la Groenlandia fa parte della Danimarca) mostrano grande agitazione in materia: i russi stanno esaminando la zona del polo nord, per vedere se fosse in continuità con la piattaforma continentale siberiana, i danesi stanno esaminando la dorsale Lomonsov, per capire se sia o no collegata con la Groenlandia e anche i canadesi non stanno a guardare. Ma perchè sta succedendo tutto ciò? Forse che il Presidente Bush è preso da una incontrollabile smania di conoscenze scientifiche? Tutti gli oceani sono stati così ben studiati che non resta da fare altro? No, le motivazioni sono ben altre, di interesse economico.
La superficie terrestre è suddivisa in zone a crosta continentale (con un'altitudine media sopra i 200 metri) e zone a crosta oceanica, con una profondità media di 4.000 metri. Le terre emerse e i fondi oceanici sono collegati fra loro da una zona sommersa a crosta continentale che ha una profondità media di circa 200 metri e che, alla fine, è limitata dalla scarpata continentale. A causa delle calotte glaciali il livello del mare è più basso di quello “normale” dell'ultimo miliardo di anni e quindi i mari si estendono poco sulla crosta continentale. Tra le eccezioni annoveriamo il Mare del Nord, l'Adriatico e i mari intorno alle isole dell'Indonesia e delle Filippiine. Se però alziamo il livello marino di solo una settantina di metri molte zone attualmente emerse sarebbero sommerse
La Convenzione di Montego Bay del 1982 ha segnato un punto fermo nella storia del Diritto Marittimo, tentando di armonizzare le legislazioni degli stati costieri, che erano molto diverse fra loro e soprattutto ha indicato un modo di comporre le vertenze fra nazioni in contrasto fra loro sulla rivendicazione di diritti su una zona marina. Secondo questo documento le acque della piattaforma continentale sono di libero passaggio per chiunque (al contrario delle acque territoriali, considerate parte dello stato costiero), ma il loro sfruttamento, sia in materia di pesca che di risorse minerarie sul fondo marino e sotto di esso, sono di esclusiva pertinenza di esso.
Siccome le piattaforme continentali possono essere piuttosto larghe, specialmente se associate ad un margine continentale “passivo”, cioè geologicamente tranqullo, mentre sono molto più strette se associate ad un margine “attivo” come quelli che bordano il Pacifico, è stato inserito il concetto di “zona economica esclusiva” che può arrivare fino a 200 miglia marine dalla costa, indipendentemente dalla minore larghezza della piattaforma continentale La convenzione non lo dice esperessamente, ma è chiaro che se la piattaforma fosse più larga di 200 kilometri, i diritti di sfruttamente sarebbero comnque attribuiti allo stato costiero anche oltre questa distanza convenzionale.
Numerosi indizi geologici fanno pensare che la piattaforma continentale a largo di Siberia ed Alaska contenga significative risorse di petrolio e gas naturale. Per questo gli stati rivieraschi stanno facendo tutte queste spedizioni per accertarne la effettiva larghezza e quindi accaparrarsene i diritti. Comunque non penso proprio che al di là della piattaforma, la crosta oceanica del mare di Beaufort contenga qualcosa di economicamente utile. Nella immagine (tratta daWikipedia) le zone in verde più chiaro sono le piattaforme continentali. Come si vede non c'è un limite preciso fra quella siberiana e quella nordamericana, il che potrebbe portare a dispute fra queste due nazioni. (cie ne sono già fra Canada e USA) I rischi per un ecosostema così delicato sono enormi, ma il Governo dello Stato dell'Alaska fa finta di niente, pianificando la costruzione di nuovi oleodotti e gasdotti. Ma c'è pronta a cadere sullo sviluppo (chiamiamolo così) dell'area una grossa tegola l'Orso Polare. Infatti se questa specie entrerà fra le specie protette dall' “endangered species law” dovranno essere prese delle misure tese a salvaguardare il suo habitat e che ovviamente contrastano con le esplorazioni petrolifere. Non a caso quindi i governanti dell'Alaska si stanno battendo contro questa possibilità. Il che suona veramente strano se si pensa all'Orso Bianco come l'animale simbolo di questo stato.

Aggiornamenti alla situazione: il 14 maggio 2008 l'Orso Bianco è stato inserito nell'elenco delle specie in pericolo dall'amministrazione federale americana. Pertanto, almeno in teoria, lo sfruttamento dell'artico dovrà continuare con la massima attenzione per l'ambiente ed è previsto un attento monitoraggio delle operazioni di ricerca e produzione di gas e petrolio nel mare di Beaufort. Viene comunque escluso che, nonostante la acclarata relazione fra aumento di gas-serra e diminuzione dell'habitat della specie (per la continua perdita di estensione dei ghiacci), non ci saranno per questo motivo restrizioni alle emissioni in atmosfera. Inoltre non ci saranno limitazioni alla produzioe da parte dei nativi di oggetti fatti con ossa o altre parti anatomiche degli orsi bianchi

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